Perché si parla di libri sui social
Dal punto di vista di tre "bookblogger" (anche se non vogliono essere chiamate così) che hanno curato una rassegna di incontri online del Circolo dei lettori
Periodicamente, negli ultimi anni, chi si interessa molto di libri ha assistito (o partecipato) a vivaci discussioni, in alcuni casi polemiche, sui cosiddetti bookblogger, booktuber o bookinfluencer, cioè su chi parla di libri sui social network o su YouTube, raccogliendo anche decine di migliaia di follower. Più volte sono stati accusati di parlare di libri in modo superficiale, di non avere le competenze per farlo (quelle di chi scrive di libri sui giornali) o ancora di dire tutti le stesse cose.
Il fenomeno ha però innegabilmente successo, tanto che le case editrici organizzano sempre più spesso attività promozionali insieme a chi parla di libri sui social, e per alcuni bookblogger farlo è diventato una specie di secondo lavoro. Per chi ama leggere, seguire su Instagram qualcuno che parla di libri e di cui si condividono i gusti è invece un modo per scegliere le letture successive, chiedere consigli (anche molto personalizzati) e in alcuni casi partecipare a letture di gruppo, come in un club del libro. In questo senso i social network sono diventati un nuovo strumento di scoperta e condivisione per i lettori. Social reading, un recente ciclo di eventi online del Circolo dei lettori di Torino, è stato organizzato proprio per questo, coinvolgendo tre persone che parlano di libri sui social: Francesca Marson, nota anche come Nuvole d’inchiostro, Stefania Soma, cioè Petunia Ollister, e Veronica Giuffré, che cura il profilo I calzini spaiati. Abbiamo parlato con loro del perché e del come si parla di libri sui social.
Giuffré, che su Instagram ha più di 18mila follower, di lavoro fa la social media manager per un grande gruppo editoriale e per una casa editrice più piccola. Lavora nell’editoria dal 2014, ma inizialmente faceva altro: ha ricevuto delle proposte di lavoro che l’hanno portata a fare la social media manager proprio grazie alla sua capacità di parlare di libri con il suo blog e il suo profilo personale. Continua a curarlo per «puro piacere» e per la «gioia di parlare con altri lettori»; ogni tanto le capita di diffondere qualche contenuto sponsorizzato, ma non si ritiene un’influencer, anche perché una gran parte dei libri di cui si occupa sono vecchie edizioni, recuperabili solo in biblioteca.
Anche Stefania Soma lavora nel mondo dell’editoria: negli anni ha fatto cose molto diverse per le redazioni di vari editori ed è specializzata in conservazione dei beni culturali, in particolare di archivi editoriali. È Petunia Ollister dal 2009 e dal 2015 si è fatta conoscere facendo foto di libri abbinate a una colazione. Nel tempo ha accumulato più di 48mila follower e nel tempo ha curato una rubrica sulla Stampa e una su Robinson, l’inserto culturale di Repubblica. Anche lei ogni tanto diffonde contenuti sponsorizzati attraverso il suo profilo personale, e come lavoro secondario le capita di occuparsi di presentazioni di libri (da quest’anno non solo dal vivo ma anche online). Non si sente un’influencer anche se è tra i dieci bookinfluencer italiani più influenti secondo un’analisi di quest’anno fatta dall’Osservatorio Alkemy-Sole24Ore. Scherzando dice che se dovesse definirsi in un qualche modo sarebbe «book-entusiasta».
Francesca Marson invece lavora come ufficio stampa e sul suo profilo Instagram ha quasi 24mila follower. Come Giuffré ha un blog – ci scrive dal 2014, quando ancora studiava all’università – e sul suo profilo personale non parla solo di libri. Non ama le etichette come bookblogger e bookinfluencer perché pensa che molto spesso siano usate con connotazioni negative legate alle discussioni online che ci sono state a proposito di chi parla di libri sui social. A sua volta non lo fa per lavoro, ma per passione, come si dice: nonostante il loro seguito, Giuffré, Soma e Marson per spiegare perché usano i social per condividere le proprie letture parlano soprattutto della voglia di trasmettere ad altri cose che gli sono molto piaciute, la stessa cosa che probabilmente direbbe qualunque lettore dopo aver messo su Instagram la foto di una pagina sottolineata del libro che sta leggendo. Loro sicuramente lo fanno con più metodo.
E in questo metodo ci sono le differenze tra il modo in cui parlano di libri i bookblogger e quello invece usato dai critici su giornali e riviste. Secondo Veronica Giuffré la differenza principale sta nel tono di voce: «I profili dedicati ai libri che funzionano sono quelli che raccontano un modo di guardare le cose e ti permettono di affezionarti a una voce, a una faccia, a un modo di vedere la realtà. Negli articoli il tono di voce invece è esterno».
Gli approcci cambiano da bookblogger (usiamo questa espressione per sintesi) a bookblogger, ma dato che i social network nascono come spazio di espressione personale, si usano per sconfinare anche in condivisioni private. Racconta Francesca Marson: «Per quanto mi riguarda il racconto di un libro è sempre qualcosa di personale che parte quasi sempre da un’esperienza privata. Di recente, ad esempio, ho raccontato che La città dei vivi di Nicola Lagioia, che per me è stato un libro importante, l’ho iniziato a leggere il giorno dopo la morte di mio suocero. Questo rende il mio racconto sul libro meno lecito di una recensione? Parlare dei libri sui social è una cosa diversa, e per i lettori può essere qualcosa di complementare alla lettura delle recensioni. Io sono la prima, anche per il lavoro che faccio, a consigliare di andare in edicola per leggere gli inserti culturali dei giornali».
Anche Stefania Soma concorda sul fatto che parlare dei libri sui social non sostituisca il lavoro dei critici, ma pensa che faccia qualcos’altro che per anni l’editoria ha cercato di fare senza molto successo: «Quando ho cominciato a postare foto di libri molte persone mi hanno detto che vederle comparire nei loro feed gli aveva fatto tornare voglia di leggere, di andare in libreria o in biblioteca. Dopo anni e anni di campagne di promozione della lettura che ti facevano venir voglia di fare di tutto fuorché leggere, ci ho visto una grande occasione. Molti mi avevano detto di essere un po’ intimiditi dalle persone che leggono molto (una reazione a cui ho assistito in passato quando alcune persone entrando in casa mia dicevano subito “Oddio, quanti libri!”), ma sui social hanno trovato un approccio diverso, si sono avvicinati alla lettura in modo più semplice».
Tra le critiche che negli anni sono state rivolte a chi usa i social per parlare di libri c’è anche quella di aver in un qualche senso sminuito i libri. Soma ad esempio è stata criticata per aver abbinato la lettura alla colazione, ma per lei accostare i libri a una tazza di caffè è sempre stato un modo per «liberare il libro, farlo tornare un oggetto quotidiano, non musealizzato».
Un’altra critica è quella dell’omologazione: i libri di cui parlano i bookblogger sarebbero sempre gli stessi, si succederebbero al ritmo delle campagne pubblicitarie portate avanti dagli uffici stampa degli editori per far arrivare un titolo o una copertina al maggior numero di persone.
Giuffré non si ritrova per nulla in questa descrizione, perché il suo «principale interesse sono libri fuori catalogo, che si trovano solo in biblioteca», e dice: «Io sono la prima a cercare i pareri degli altri rispetto ai libri nuovi, ma non appena sono usciti: voglio il parere di uno che l’ha letto, per capire se può fare per me. E cerco di fare la stessa cosa per chi mi segue. Quando capita a me di parlare di una novità, le do spazio dopo averla effettivamente letta per intero e dopo aver maturato un distacco rispetto ai contenuti già visti». «Per fortuna la pratica dello “spacchettamento” [o unboxing, dall’inglese, ndr] non va più di moda», aggiunge, «ma c’è ancora la tendenza, e questo è il lato della critica al mondo di chi parla di libri sui social che condivido, a riprendere quelle parole vuote che molto spesso affollano i comunicati stampa. Come quando sembra che tutti i libri siano “necessari”».
Soma vede questa tendenza anche sui giornali e sulle riviste però: «Ci sono le esclusive, ma anche sui diversi inserti culturali si parla degli stessi libri. È un fenomeno che annoia sui social come sui media tradizionali, dove spesso si vedono celebrazioni e recensioni che hanno i comunicati stampa come musica di sottofondo». Marson invece fa notare che è normale che sui social ognuno veda molto ciò che interessa e piace alla sua bolla, perché finiamo per vedere i contenuti delle persone che ci somigliano: «È scontato che certi libri, soprattutto se molto attesi, si vedano tanto, perché tutti ne vogliono parlare».
Soma aggiunge alle differenze rispetto agli spazi tradizionali dove si parla di libri l’indipendenza: «Instagram per me è uno spazio personale, dove scelgo di cosa parlare e di cosa no. A volte sono libri di narrativa super mainstream, altre volte libri su argomenti molto miei: ad esempio, per tanti anni mi sono occupata di archivi editoriali, e mi capita di parlare di temi affini». Chi scrive sulle riviste e sui giornali normalmente non può decidere di scrivere una recensione su un libro uscito sette anni fa.
«Un’altra differenza», continua Giuffré, «è il rapporto con l’approfondimento. Parlare di libri sui social è come avere una rubrica che riesci a curare in maniera più veloce, con tanti interventi vicini gli uni agli altri e messaggi più brevi: la profondità emerge dal racconto complessivo, seguendo con costanza il profilo. Tra i post e le storie alcuni contenuti sono spesso ribaditi, una cosa che per qualcuno potrebbe anche sembrare noiosa, ma che appunto dà spessore a quello di cui si parla. Se invece per parlare di un libro si ha un solo articolo, è lì che bisogna concentrare tutto l’approfondimento».
Ovviamente a tutto questo si aggiunge che sui social network si ricevono risposte e contro-consigli di lettura. «All’inizio quello che cercavo erano persone che avessero i miei stessi interessi», racconta Giuffré: «Ho sempre usato internet in questo modo, da quando ero una nerd delle chat di Ci6 e MSN, perché studiavo il violino in conservatorio, insomma sono sempre stata “una strana”, e per trovare qualcuno che avesse i miei stessi interessi dovevo cercarlo in capo al mondo, e lo trovavo che aveva 30 anni più di me».
Dice Marson: «Con i social si abbatte la famosa quarta parete e si arriva direttamente al lettore. Soprattutto in community più piccole, come la mia, hai davvero il rapporto uno a uno. Le conversazioni che avvengono nei messaggi diretti – io uso tantissimo i vocali – ti permette davvero di entrare nelle librerie delle altre persone». Giuffré aggiunge: «Tantissime interazioni sono nascoste nei messaggi privati: “mi puoi fotografare l’indice di quel libro, che vorrei vedere com’è e non si trova un estratto da nessuna parte?”. Io stessa mi trovo a chiedere delle cose ad altre persone. È come una piccola community che studia, che scopre, che vuole trovare le cose giuste da leggere».
Giuffré dedica un paio d’ore al giorno a rispondere ai messaggi che le arrivano, Marson ci si dedica soprattutto la domenica, quando tiene aperto un box delle domande, e Soma a colazione e il momento prima di andare a dormire. Tutte e tre rispondono a tutti e hanno avuto modo di conoscere di persona alcune delle persone che le seguono, ad esempio in occasione delle fiere editoriali, come il Salone del libro di Torino. «Costruisci un rapporto quasi quotidiano con certe persone, quasi le senti amiche» dice Giuffré: «Quando le vedi dal vivo e ci parli è come riprendere un discorso con un amico che hai lasciato al telefono. Diversamente dai miei amici poi queste persone saprebbero che libri regalarmi».
Social reading
Proprio attorno a questa idea di condivisione di consigli il Circolo dei lettori ha organizzato i tre incontri di Social reading in cui Marson, Soma e Giuffré hanno parlato di alcune delle loro letture. I tre eventi avrebbero dovuto tenersi dal vivo, ma poi sono stati spostati online e trasmessi dal profilo Instagram del Circolo dei lettori per via delle restrizioni per il coronavirus. Si sono svolti tra novembre e dicembre ma si possono tuttora rivedere, nell’IGTV del Circolo, oltre che in fondo a questo articolo.
Francesca Marson ha dedicato il suo incontro alle saghe familiari, una sua grande passione da lettrice, mettendo insieme una “playlist” di romanzi recenti e altri che possono considerarsi già classici.
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Stefania Soma invece ha dedicato la sua live a cosa succede, nella nostra testa, quando leggiamo e all’atto del leggere, partendo da Che cosa vediamo quando leggiamo, un libro sulla lettura scritto da Peter Mendelsund, un importante grafico editoriale americano.
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Infine Veronica Giuffré ha scelto il tema delle corrispondenze letterarie, perché da anni legge epistolari di grandi scrittori del Novecento per scoprire qualcosa in più su di loro: curiosità, abitudini di lettura, relazioni di amicizia e dichiarazioni di poetica, più o meno involontarie.
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