I rapimenti in Messico sono ancora un grosso problema
Soprattutto a San Fernando, dove spesso i familiari si organizzano per farsi giustizia da soli visto che la polizia rimane indifferente
In un lungo articolo pubblicato domenica scorsa, il New York Times ha raccontato la storia di Miriam Rodríguez, una donna messicana di San Fernando che nel 2014 aveva iniziato a cercare i responsabili del rapimento e dell’uccisione di sua figlia Karen. Nel giro di tre anni Rodríguez è riuscita a individuare e a far arrestare circa dieci persone coinvolte, camuffandosi e intraprendendo accuratissime indagini in solitaria, ma soprattutto dimostrando una tenacia che spesso manca alle forze dell’ordine locali. In tutto il Messico, infatti, i sequestri e le estorsioni da parte dei gruppi criminali legati al traffico di droga sono molto frequenti e sia la polizia sia i testimoni spesso non si espongono per timore di ritorsioni. Rodríguez fu uccisa nel 2017 ma di recente c’è stato un altro caso che ha fatto parlare di quanto sia stato determinante il suo contributo per la comunità di San Fernando.
La storia di Rodríguez ebbe inizio nel gennaio del 2014, quando Karen, ventenne, fu rapita mentre era a bordo del suo pick-up. Nei giorni seguenti la donna seguì tutte le istruzioni che le avevano dato al telefono i rapitori e pagò il riscatto che le era stato chiesto per la liberazione di Karen, ma dal momento che della figlia non c’era ancora nessuna traccia pretese di vedere uno dei rapitori. La donna incontrò quindi un giovane noto come El Junior in un ristorante: lui le disse che il “cartello” – il nome con cui sono conosciuti i principali gruppi criminali messicani – non c’entrava niente col rapimento, e le chiese 2mila dollari per aiutarla a cercare Karen. Rodríguez pagò quella e altre somme, ma dopo qualche settimana capì che sua figlia era morta: e dato che la polizia sembrò indifferente al caso, intraprese un’indagine per trovare da sola i responsabili.
Cosa succede in Messico
Il New York Times ha spiegato che la cattiva reputazione di San Fernando, così come i problemi legati ai cartelli della droga, sono in parte dovuti alla posizione strategica del Messico, che si trova tra Stati Uniti e Sudamerica.
Fino a qualche anno fa i cartelli messicani si occupavano per lo più del traffico internazionale di droga ed erano associazioni a delinquere molto solide e strutturate. La strategia adottata negli ultimi anni dal governo per indebolire i cartelli, cioè catturare i boss con l’idea che tolto di mezzo il capo il resto del gruppo si sarebbe sciolto, ha creato in realtà un’ulteriore frammentazione dei gruppi criminali: sono diventati più violenti e difficilmente controllabili rispetto a quelli originari, e in più si sono specializzati in attività illegali diverse dal traffico di droga: estorsioni, sequestri, prostituzione, furti di carburante e traffico di esseri umani.
San Fernando è una città di circa 60mila abitanti che si trova un centinaio di chilometri a sud del confine con gli Stati Uniti. Accanto alle diverse autostrade che passano di fianco alla città e portano verso il confine con gli Stati Uniti, ha spiegato il New York Times, ci sono numerose strade sterrate che permettono ai componenti dei cartelli di far perdere le proprie tracce piuttosto facilmente. Anche qui, come in molte zone del paese, negli ultimi anni i rapimenti a scopo di estorsione e gli omicidi violenti sono stati frequenti. Nel 2010 i componenti del cartello Los Zetas massacrarono 72 migranti provenienti dal Sudamerica e diretti verso gli Stati Uniti, che si erano rifiutati di lavorare per loro o pagare un riscatto per essere liberati; l’anno successivo dirottarono diversi bus e uccisero quasi 200 persone, seppellendole in fosse comuni. Allo stesso tempo, i bar e i ristoranti dello stato di Tamaulipas – dove si trova San Fernando – erano spesso chiusi per timore delle sparatorie.
Negli ultimi quindici anni in Messico risultano scomparse quasi 80mila persone, con numeri in crescita in particolare dal 2016, e negli ultimi cinque anni gli omicidi sono quasi raddoppiati. La maggior parte dei cittadini non parla del crimine organizzato: i poliziotti e i funzionari del sistema di giustizia sono spesso corrotti, e secondo alcuni chi sa qualcosa rimane in silenzio per timore di ritorsioni o perché a sua volta è coinvolto in attività criminali di qualche tipo. Una delle conseguenze è che omicidi e rapimenti rimangono spesso senza un colpevole, e la violenza resta impunita.
Cosa ha fatto Rodríguez
Dal 2014 al 2017 Rodríguez ha cercato le persone responsabili del rapimento e dell’uccisione della figlia, contribuendo a farne arrestare una decina. Innanzitutto si tinse i capelli per non farsi riconoscere e avvicinò i familiari delle persone che sospettava, per ottenere informazioni sul loro conto presentandosi come operatrice sanitaria o sondaggista; ottenne i nomi e gli indirizzi delle persone coinvolte, studiò le loro storie e le loro abitudini, annotando tutto scrupolosamente. In questo modo riuscì a rintracciare e far arrestare, tra gli altri, un uomo che si era reinventato vendendo fiori al confine con gli Stati Uniti, un giovane che aveva riscoperto la fede, un venditore di auto e una donna che era diventata babysitter, tutti in qualche modo coinvolti nel rapimento e nell’omicidio di sua figlia.
Una delle persone che vennero arrestate grazie al contributo di Rodríguez fu un giovane di 18 anni che si offrì di portare la polizia al ranch dove i membri del cartello avevano ucciso e sepolto persone rapite. Lì i poliziotti trovarono alcuni cadaveri ma non quello di Karen; la donna però riconobbe una sciarpa e un cuscino che stavano sul pick-up della figlia e insistette perché le ricerche proseguissero. L’anno successivo la polizia trovò un femore che apparteneva alla ragazza.
Durante le sue indagini, soltanto un agente della polizia federale si era offerto di aiutare Rodríguez: il poliziotto ha parlato col New York Times – chiedendo di restare anonimo perché non aveva ottenuto l’autorizzazione dei propri superiori per parlare con la stampa – e ha raccontato che «i dettagli e le informazioni raccolti da questa donna, che lavorava completamente da sola, erano incredibili». Tra le altre cose, Rodríguez riuscì a scoprire che una sua vicina di casa aveva una relazione con uno dei rapitori e a capire che alcune delle chiamate con cui le chiedevano i riscatti erano partite proprio da casa sua. Inoltre fece arrestare anche El Junior, dopo che era riuscita a ricostruire la sua identità attraverso Facebook.
Il significato delle indagini di Rodríguez per San Fernando
Nel marzo del 2017 una ventina di detenuti scapparono dal carcere di Ciudad Victoria, la capitale dello stato di Tamaulipas, dove Rodríguez aveva trovato la maggior parte delle persone coinvolte nel rapimento di Karen. Per paura di ritorsioni, la donna chiese protezione al governo e ottenne che una pattuglia di poliziotti piantonasse periodicamente la sua casa e il negozio dove lavorava. Poco dopo aver fatto arrestare l’ultima delle persone su cui aveva indagato – la babysitter – Rodríguez fu uccisa con diversi colpi di arma da fuoco davanti a casa sua: era il 10 maggio, il giorno della Festa della mamma.
– Leggi anche: Quanto è pericoloso il Messico?
La vicenda di Rodríguez aveva suscitato indignazione e avuto una grossa eco nella comunità di San Fernando. Per questa ragione, nei mesi successivi alla sua morte il governo si sforzò per continuare le ricerche che Rodríguez aveva avviato, e arrestò altre due persone coinvolte nel rapimento di Karen, uccidendone una terza. A oggi non si sa ancora chi siano gli assassini di Rodríguez, ma da fine 2017 per qualche tempo a San Fernando ci fu una relativa tranquillità.
Il caso di Luciano Leal Garza
Nel luglio di quest’anno, a sei anni dall’inizio delle indagini di Rodríguez, un caso ha risvegliato l’attenzione sul problema dei rapimenti da parte dei cartelli a San Fernando: il sequestro del quattordicenne Luciano Leal Garza, figlio di un imprenditore di successo che gestisce un negozio di materiali edili.
Lo scorso 8 luglio il giovane era stato rapito da persone che lo avevano contattato attraverso un profilo falso su Facebook, fingendosi una ragazzina che voleva conoscerlo. La famiglia sapeva di poter essere un obiettivo per il crimine organizzato, sia per via della sua ricchezza sia perché il padre del giovane nel 2012 era stato a sua volta rapito per 33 giorni.
A San Fernando i cittadini si mobilitarono organizzando manifestazioni e campagne per chiedere la liberazione del ragazzo. I genitori, che avevano pagato tutti i riscatti ma non avevano avuto alcuna notizia del figlio, andarono a Città del Messico per chiedere l’intervento del governo, ottenendo che venissero impiegati soldati, poliziotti e investigatori per fare ricerche almeno due volte alla settimana. I poliziotti provarono a rintracciare i familiari delle persone coinvolte nel rapimento attraverso Facebook e arrestarono un noto esponente del cartello, che però si rifiutò di collaborare; intanto la famiglia cominciò a ricevere minacce e chiamate anonime per far sospendere le ricerche. A ottobre il ragazzo è stato trovato morto, ma non si conosce ancora nessun dettaglio sul suo rapimento.
– Leggi anche: Il Messico sta per legalizzare la marijuana, con qualche problema