I pescatori trattenuti in Libia sono stati liberati
Erano a Bengasi da 108 giorni: oggi Giuseppe Conte e Luigi di Maio sono andati personalmente a trattare la loro liberazione
I 18 pescatori che dal primo settembre erano trattenuti in Libia, con l’accusa di avere sconfinato nelle acque libiche, sono stati liberati. Questa mattina il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sono andati personalmente a Bengasi, in Libia, per trattarne la liberazione. Al momento non si conoscono i dettagli della liberazione, ma in tarda mattinata Di Maio ha scritto su Facebook che «i nostri pescatori sono liberi», aggiungendo che «il governo continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione della Libia. È ciò che io e il presidente Giuseppe Conte abbiamo ribadito oggi stesso ad Haftar, durante il nostro colloquio a Bengasi».
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— Giuseppe Conte (@GiuseppeConteIT) December 17, 2020
I pescherecci “Medinea” e “Antartide” e i loro equipaggi – otto italiani, sei tunisini, due filippini e due senegalesi – erano partiti da Mazara del Vallo, nella Sicilia occidentale, e fermati lo scorso primo settembre a una quarantina di miglia dalle coste della Libia. Le autorità libiche ne contestavano la presenza all’interno di una porzione di mare che la Libia rivendica dal 2005 unilateralmente come propria zona economica esclusiva, cioè la fascia di mare in cui un paese ha diritto esclusivo allo sfruttamento economico delle risorse marine. Da quel momento, a parte una telefonata del 16 settembre, non c’erano state più notizie dei pescatori fino al 10 novembre, quando alcuni familiari avevano potuto sentirli in una breve telefonata.
In questi 108 giorni i familiari dei pescatori hanno continuato a chiedere l’intervento del governo per la loro liberazione, organizzando manifestazioni a Mazara del Vallo e anche sit-in a Roma in piazza di Montecitorio, davanti alla sede del Parlamento.
Una delle ipotesi più discusse circa il sequestro dei 18 pescatori era che il maresciallo Khalifa Haftar, che governa nella Libia orientale, volesse barattare la loro con la scarcerazione di quattro scafisti libici che stanno scontando una pena di 30 anni di carcere in Italia. Il ministro per i Rapporti col parlamento, Federico D’Incà, aveva però spiegato che le richieste di organizzare uno scambio di prigionieri non erano «né confermate né in alcun modo formalizzate».
Allo stesso tempo, a fine settembre un alto funzionario vicino ad Haftar, Khaled Al-Mahjoub, aveva detto che i pescatori sarebbero stati processati secondo le leggi locali per aver violato le acque territoriali libiche.
La porzione di mare adiacente alle coste di un certo stato, il cosiddetto mare territoriale, si estende per un massimo di 12 miglia nautiche, cioè circa 22 chilometri; anche se è tenuto a consentire il passaggio di navi straniere purché non comportino un rischio per l’ordine e la pace, lo stato vi esercita una sovranità – cioè pieni poteri – pari a quella esercitata sulla terraferma. Nella zona contigua, ovvero quella che si estende fra le 12 e le 24 miglia nautiche, lo stato invece ha poteri di controllo sulle navi straniere per evitare che commettano reati all’interno del proprio territorio, nel mare territoriale così come sulla terraferma. Le autorità libiche contestano la presenza dei due pescherecci all’interno di una fascia di 62 chilometri oltre i primi 12 che la Libia rivendica dal 2005 unilateralmente come propria zona economica esclusiva.
Stando a quanto aveva fatto sapere il ministero degli Esteri a metà ottobre la notizia del processo era ufficiosa, e pertanto non si sapeva se i pescatori sarebbero effettivamente stati processati né quando.
Una delle altre ipotesi, aveva spiegato il giornalista di Prima Pagina Mazara, Francesco Mezzapelle, era che il sequestro dei pescatori potesse essere collegato a un accordo commerciale dell’anno scorso poi sfumato. Nell’estate del 2019 la federazione italiana Federpesca – che fa capo a Confindustria – e un’agenzia di investimento legata al maresciallo Haftar avevano concluso un accordo attraverso una società maltese per consentire ad alcuni pescherecci italiani di pescare nella zona economica esclusiva rivendicata unilateralmente dai libici, dietro pagamento di una quota mensile. Secondo Mezzapelle il sequestro da parte delle milizie di Haftar poteva essere una «ripicca» nei confronti dell’Italia perché l’accordo con Federpesca era stato rinviato per le proteste del governo libico del primo ministro Fayez al Serraj; e visto che l’Italia riconosce solo il governo di Serraj, avversario di quello di Haftar, quest’ultimo avrebbe risposto sequestrando i pescatori per sollecitare nuove trattative.