L’UE vuole riscrivere le regole di internet
La Commissione ha presentato una serie di proposte per imporre nuove responsabilità ai servizi di internet e favorire la concorrenza nel digitale
La Commissione europea ha presentato martedì una serie di proposte per regolamentare il settore digitale, favorire la libera concorrenza e ridurre il dominio delle grandi piattaforme di internet come Amazon, Facebook e Google, minacciando sanzioni molto pesanti e perfino lo scorporo delle aziende in caso di infrazione. Le proposte rappresentano il più grande tentativo di regolare internet e l’economia digitale fatto negli ultimi anni, non soltanto in Europa.
Le proposte sono state presentate da Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione con delega al digitale e alla concorrenza, e Thierry Breton, commissario europeo al Mercato interno. Le nuove regole sul digitale sono divise in due parti: il Digital Services Act (DSA), che si propone di regolare la sicurezza, la trasparenza e l’accesso ai servizi di internet, e il Digital Markets Act (DMA), che si propone di individuare, limitare e punire i comportamenti anticompetitivi delle piattaforme. Le nuove regole, ha detto Vestager, «porteranno ordine nel caos».
Le proposte rafforzano il ruolo dell’Unione Europea come avanguardia nella regolamentazione di internet e rientrano nell’ambito della politica di «sovranità digitale» inaugurata dalla Commissione di Ursula von der Leyen. L’UE cerca di confermarsi anche come principale contrappeso al potere delle grandi piattaforme statunitensi di internet, spesso giudicato eccessivo. Un aneddoto per descrivere il clima con cui sono state accolte le norme: un membro del team di comunicazione del commissario Breton poco prima della presentazione delle proposte ha pubblicato la foto di una caricatura in cui Vestager e Breton, raffigurati come i contadini del dipinto American Gothic, infilzano i loghi di Apple, Facebook e Google.
It’s about time. pic.twitter.com/krl8HTo5SA
— Terence Zakka (@Mr_Zakka) December 15, 2020
Digital Services Act (DSA)
Il DSA si occupa principalmente di istituire nuove regole sul modo in cui le piattaforme devono gestire i «contenuti illegali», una categoria molto ampia che riguarda per esempio i contenuti che esaltano il terrorismo o la violenza sui minori, i contenuti d’odio, ma anche le violazioni del copyright. Il DSA intende dividere i fornitori di servizi digitali in varie categorie, a seconda del loro ruolo e delle loro dimensioni: dai servizi di intermediazione, come i provider di internet, che hanno poco potere nella moderazione dei contenuti, alle grandi piattaforme online come Facebook e Google, che invece nella moderazione dei contenuti hanno un ruolo fondamentale.
Per tutti questi fornitori di servizi, e in maniera crescente in base al ruolo, il DSA prevede tutta una serie di nuovi obblighi per la rimozione rapida dei contenuti illegali, e diverse responsabilità tra cui garantire alle istituzioni un accesso molto maggiore ai loro dati interni e produrre tutti gli anni un rapporto sullo stato di rischio dei loro servizi online. Le grandi piattaforme dovranno inoltre nominare un revisore esterno che verifichi il rispetto delle regole.
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Un articolo della proposta prevede anche che le piattaforme debbano fornire agli utenti «informazioni significative» e in tempo reale sui meccanismi che regolano la pubblicità online, spiegando perché gli utenti vedono un annuncio e non un altro. Non è chiaro, però, cosa si intenda per «informazioni significative», visto che piattaforme come Facebook e Google forniscono già agli utenti alcuni dati sul modo in cui sono scelte le pubblicità che vedono. Il DSA rafforza anche il potere dei regolatori nazionali, e istituisce multe che possono arrivare fino al 6 per cento dei ricavi mondiali nel caso in cui una grande piattaforma violi le regole e non agisca come dovuto contro i contenuti illegali.
Pur avendo presentato molte proposte ambiziose, il DSA non modifica l’immunità legale di cui le piattaforme godono per i contenuti pubblicati dai loro utenti (significa che generalmente se un utente di Facebook pubblica un contenuto illegale a risponderne è solo l’utente e non Facebook). L’eliminazione o la modifica di questa immunità è discussa in molti paesi del mondo tra cui gli Stati Uniti, dove il presidente eletto Joe Biden durante la campagna elettorale ha detto più volte di essere favorevole alla sua rimozione. Sempre martedì anche il Regno Unito ha presentato proposte per la regolamentazione dei contenuti simili a quelle del DSA.
Digital Market Act (DMA)
La proposta più ambiziosa e criticata dalle piattaforme è il Digital Market Act (DMA), che ha come obiettivo il rilancio della competizione in un settore dominato dalle grandi aziende americane della Silicon Valley. Il punto principale del DMA è l’individuazione dei cosiddetti «gatekeeper» (letteralmente “guardiani del cancello”), cioè le piattaforme che godono di una posizione di forza e che possono impedire o contrastare l’ingresso di nuove aziende in un determinato settore, come i social network, il cloud computing, la ricerca online, la messaggistica, lo streaming video.
I gatekeeper, secondo il DMA, sono le aziende che in un anno registrano entrate in Europa di almeno 6,5 miliardi di euro, o che hanno almeno 45 milioni di utenti tra i cittadini dell’Unione. Saranno qualificate come gatekeeper anche aziende più piccole, che magari non rispettano i criteri di fatturato e di utenti, ma che sono dominanti in settori specifici.
I gatekeeper, una volta definiti, saranno soggetti a numerose nuove regole per evitare comportamenti anticompetitivi, che in generale riflettono un nuovo atteggiamento: anziché sanzionare ex post e imbarcarsi in lunghissime azioni legali, la Commissione vuole agire preventivamente, vietando i comportamenti illeciti. Le piattaforme non potranno per esempio favorire in nessun modo i propri servizi a scapito di quelli della concorrenza, cosa che, in vari modi, sono accusati di fare Amazon, Apple e Google.
Le aziende che gestiscono gli store delle applicazioni, come per esempio Apple, e che al tempo stesso vendono prodotti sul loro store, saranno obbligati a garantire alla concorrenza un trattamento equo, dovranno condividere molti più dati di quanto non facciano adesso, non potranno favorire i propri prodotti e dovranno garantire alla concorrenza un accesso maggiore, per esempio consentendo l’utilizzo di sistemi di pagamento e abbonamento diversi. Negli scorsi mesi diverse aziende, tra cui il produttore di videogiochi Epic e il servizio di musica in streaming Spotify, hanno accusato Apple di pratiche anticoncorrenziali perché sul suo App Store non consente, tra le altre cose, pagamenti fuori dalla piattaforma.
I gatekeeper che gestiscono sistemi operativi dovranno consentire agli utenti di cancellare le app preinstallate. Quando un gatekeeper intende acquisire un’altra azienda, inoltre, dovrà informare l’Unione Europea e ottenerne il permesso.
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La violazione delle norme potrebbe provocare sanzioni molto dure, tra cui multe una tantum che potrebbero arrivare al 10 per cento del fatturato mondiale dell’azienda (nel caso di Google si parlerebbe di una multa da 16 miliardi di dollari, nel caso di Apple o di Amazon di 27-28 miliardi), oppure multe periodiche corrispondenti al cinque per cento delle entrate giornaliere. Nel caso in cui le violazioni fossero sistematiche e un’azienda fosse multata tre volte nel giro di cinque anni, l’UE passerebbe però a sanzioni più drastiche, che potrebbero arrivare a imporre lo scorporo dell’azienda.
Le proposte di Vestager e Breton non sono ancora legge, e avranno bisogno di molto tempo prima di essere approvate. Il Parlamento europeo e i governi degli stati membri dovranno intervenire sul testo, e l’iter legislativo sarà lungo: si prevede che non saranno definitive prima del 2023. Ci sono anche numerosi elementi che probabilmente saranno oggetto di una discussione serrata, come per esempio la definizione di gatekeeper, che ha importanti conseguenze e sarà molto contestata dalle piattaforme, e il tema di chi farà rispettare le regole: molti poteri dipendono dalle autorità antitrust dei singoli stati membri, ma quelle dei paesi dove risiede la maggior parte delle compagnie tecnologiche, l’Irlanda e il Lussemburgo, sono piccole e già in affanno nelle indagini.