I problemi delle case di riposo in Svezia
Una indagine sulla risposta del governo alla pandemia ha trovato responsabilità nella gestione dei luoghi di ospitalità per gli anziani
La commissione incaricata di indagare sulla risposta della Svezia alla pandemia da coronavirus ha pubblicato i primi risultati della sua ricerca, che si sono concentrati sulla gestione delle case di riposo e sulla protezione delle fasce più a rischio della popolazione. Nel documento, la commissione scrive che ci sono state gravi mancanze strutturali e problemi nella risposta all’emergenza, e che la «responsabilità complessiva» di quanto accaduto è del governo attuale e di quelli che l’hanno preceduto.
Lo studio è interessante per diverse ragioni. Anzitutto perché la commissione svedese è una delle prime a pubblicare parte dei risultati delle sue indagini (anche se il report finale, riguardante tutti gli aspetti della risposta della Svezia alla pandemia, è atteso non prima del febbraio del 2022). In secondo luogo, perché durante la prima ondata il governo svedese ha adottato una strategia differente da quella di tutti gli altri paesi d’Europa, scegliendo di non imporre lockdown, limitandosi a diffondere raccomandazioni e affidandosi alla responsabilità individuale dei cittadini, in parte nel tentativo di salvare l’economia.
A causa di questa strategia, la scorsa primavera in Svezia non ci furono limitazioni alla libertà dei cittadini, ma i casi di contagio per abitante superarono quelli di Italia e Regno Unito (i morti per abitante furono leggermente inferiori), e soprattutto tutte le statistiche svedesi furono di gran lunga peggiori di quelle degli altri paesi nordici, Danimarca, Finlandia e Norvegia, che imposero lockdown rapidi e riuscirono ad abbattere la curva dei contagi in maniera abbastanza efficace, riducendo di molto le vittime.
Questo approccio è stato parzialmente rivisto durante la seconda ondata, anche perché in questo momento in Svezia la situazione della pandemia è piuttosto grave (ci torniamo). Nel frattempo, la commissione nominata dal governo ha individuato nella gestione e nella protezione delle case di cura e degli altri centri di ospitalità delle persone anziane uno dei principali problemi della risposta del governo.
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All’inizio di dicembre, ha scritto la commissione guidata dal giudice Matt Melin (il report è di 300 pagine, qui è possibile leggere un riassunto dei risultati, in inglese), dei circa 7.000 morti in Svezia il 90 per cento aveva più di 70 anni e la metà si trovava nei centri di ospitalità a lungo termine per anziani. Questi dati sono in linea con molti altri paesi ma, come scrive la commissione, «non tutti i paesi sono stati colpiti con la stessa durezza». La ragione principale della prevalenza di casi di contagio nelle case di riposo secondo la commissione è la «diffusione generale del virus nella società», ma ci sono stati anche numerosi problemi strutturali e di strategia che hanno influenzato il numero di morti nelle case di riposo.
Tra questi la frammentazione dell’organizzazione (le case di riposo sono gestite dalle 290 amministrazioni comunali svedesi, e la gestione della sanità è divisa tra le 21 regioni del paese, senza contare gli operatori privati) e la scarsità di personale preparato adeguatamente: secondo la commissione, il 20 per cento dei morti nelle case di riposo non è mai stato assistito da un medico e il 40 per cento non è mai stato assistito da un infermiere.
Il report inoltre critica il ritardo nel mettere a punto misure di protezione degli anziani, che sono diventate il centro dell’attenzione delle autorità sanitarie soltanto a pandemia inoltrata, e nel creare un sistema di test adeguato, di cui si è cominciato a parlare soltanto ad aprile. Inoltre, il governo ha deciso in ritardo di vietare le visite nelle case di cura, il primo aprile, ma poi è stato troppo rigido nell’applicare il divieto, permettendo che molti anziani morissero senza aver potuto vedere i loro cari: questo, secondo la commissione, è «inaccettabile».
La commissione non si è limitata a identificare i problemi ma attribuisce responsabilità: pur riconoscendo che la gestione delle case di riposo è divisa tra molte autorità, ritiene che la «responsabilità complessiva» di quanto avvenuto sia del governo e di quelli che l’hanno preceduto, che già sapevano dei problemi delle strutture per anziani.
Il primo ministro svedese, Stefan Löfven, durante una breve conferenza stampa a seguito della pubblicazione del report ha detto di concordare con il giudizio della commissione e ha riconosciuto le responsabilità del governo.
Nelle ultime settimane l’approccio della Svezia nei confronti della pandemia è cambiato. Lo stesso Löfven ha detto che l’arrivo di una seconda ondata molto grave ha in un certo modo sorpreso le autorità sanitarie svedesi: «Penso che i professionisti [sanitari] non abbiano visto una tale ondata davanti a loro, parlavano di cluster separati», ha detto pochi giorni fa in un’intervista al giornale Aftonbladet. A partire dalla fine di novembre, il governo ha imposto per la prima volta nuove misure restrittive: ha vietato gli assembramenti di più di otto persone, ha chiuso alcune scuole e vietato la vendita di bevande alcoliche dopo le 20.
Le misure svedesi rimangono comunque molto lasche rispetto a quelle adottate dal resto d’Europa: i ristoranti, i bar e tutti i negozi sono aperti, non c’è una raccomandazione ufficiale sull’utilizzo delle mascherine ed è da poco cominciata la stagione sciistica, con piste aperte e impianti funzionanti.
La situazione della pandemia però è diventata molto grave negli ultimi giorni: i posti letto in terapia intensiva sono quasi esauriti in tutto il paese, e nella regione di Stoccolma, la capitale, hanno già raggiunto il 100 per cento della capienza. Bjorn Eriksson, il direttore del sistema sanitario a Stoccolma, ha detto che «abbiamo bisogno di aiuto» e alcuni paesi vicini come la Finlandia e la Norvegia hanno detto di essere disponibili ad accogliere pazienti. Come ha scritto Bloomberg, inoltre, c’è grave carenza di personale sanitario, anche a causa di migliaia di dimissioni per via delle condizioni di lavoro proibitive.