La lunga coda per il cibo a Milano
I volontari dell'associazione "Pane Quotidiano" hanno visto molte nuove persone mettersi in fila, negli ultimi mesi
di Isaia Invernizzi
Da qualche mese ormai ogni mattina a Milano, in viale Toscana, quasi duemila persone si mettono in coda per ricevere un sacchetto di generi alimentari. La coda non è nuova, di per sé: porta alla sede dell’associazione “Pane Quotidiano”, che dal 1898 aiuta chi chiede qualcosa da mangiare. Ma è molto più lunga di prima. La stessa fila ordinata si vede in viale Monza, di fronte alla seconda sede dell’associazione. Nel sacchetto con la scritta “Pane Quotidiano” ci sono un pacco di pasta, scatole di legumi, frutta fresca e pane.
In coda ci sono stranieri e anziani, molte famiglie, e negli ultimi mesi i volontari hanno notato anche giovani che hanno perso il lavoro a causa della pandemia. Non succede solo a Milano: in tutta Italia molti sindaci dicono che sempre più persone indigenti si presentano ai servizi sociali per chiedere un aiuto. Molti sono lavoratori irregolari, lavoratori in nero che non hanno percepito cassa integrazione né ristori. Ci sono anche i rider, in fila per ritirare il sacchetto indossando lo zaino che da lì a poche ore conterrà il cibo consegnato nelle case dei milanesi.
A Milano, Caritas ha fornito una tessera per fare la spesa a oltre novemila famiglie bisognose: tra ottobre e novembre se ne sono aggiunte 672. Il comune di Milano ha aperto un bando da 7 milioni e 279 mila euro che verranno destinati ai buoni spesa per garantire la “solidarietà alimentare”. Secondo un recente studio di Coldiretti, in tutta la Lombardia 300mila persone chiederanno una razione alimentare durante il periodo del Natale.
Sabato scorso è stato girato e diffuso sui social un breve video che mostrava la lunga coda di persone in attesa. Il video è circolato moltissimo e la storia di “Pane Quotidiano” è arrivata sulle prime pagine dei giornali, ma chi passa spesso da quella zona sa che sabato non c’erano molte persone in più rispetto a un giorno qualunque.
Lo scorso marzo “Pane Quotidiano” aveva chiuso, a causa del rischio di assembramenti in un periodo in cui era difficile trovare le mascherine. All’inizio di giugno, dopo la riapertura, le code si sono allungate rispetto al periodo precedente alla pandemia. «La richiesta è aumentata», dice Claudio Falavigna, responsabile dei 150 volontari organizzati in turni nelle due sedi di Milano. «Adesso si mettono in fila anche molti giovani, persone di mezza età che non avevamo mai visto, badanti che hanno perso il lavoro». Falavigna, come tutti i volontari, indossa una maglietta arancione. Ha 68 anni, e prima di andare in pensione è stato dirigente di un’azienda farmaceutica. Si aggira con fare frenetico tra carrelli colmi di mele e banane.
In questi anni Falavigna ha conosciuto molte delle persone che chiedono un aiuto. «A volte basta poco per strappare un sorriso, anche solo un cenno d’intesa. Ce n’è bisogno», spiega. «Vengo qui con piacere e sempre con una certa emozione. Credo sia importante essere vicino al disagio e alla sofferenza, che queste persone purtroppo provano ogni giorno».
In coda c’è anche Teresa: ha 50 anni, è disoccupata dal 2004. Ha sempre fatto le pulizie, fino a quando non ha perso il lavoro senza più trovare un nuovo impiego nonostante continui a cercarlo. Teresa riceve il reddito di cittadinanza, ma l’accredito mensile sulla “social card” le basta solo per pagare la luce, il gas e le spese condominiali. Le prime volte in cui ha chiesto aiuto a “Pane Quotidiano” si copriva il viso con una sciarpa, perché non voleva correre il rischio di essere riconosciuta. Teresa dice che adesso si presenta a testa alta ai cancelli dell’associazione. «Non ho un lavoro, non voglio lavorare in nero, e sono lontana dalla pensione. Chi mi dà un posto, alla mia età?», dice. «Quando arriva il reddito di cittadinanza compro il pollo per me e i miei figli. Ci concediamo un piatto di carne, poi il resto del mese ci arrangiamo. Tutto quello che mi viene dato è qualcosa in più. Anche uno yogurt è tanto per me».
Tutte le persone in fila indossano la mascherina e cercano di mantenere il distanziamento, anche se non è semplice. In questi mesi di epidemia i volontari hanno dato maggiore attenzione agli anziani, tra i più a rischio di contagio. Lino ha 88 anni, e si è messo in coda al freddo della mattina nonostante la paura di ammalarsi. Gli si intravedono gli occhi tra il berretto, la mascherina e il triplo giro di sciarpa. «Vengo qui da vent’anni e non ho mai visto così tanta gente come in questi giorni», dice. «Prima venivo un giorno sì e un giorno no, adesso più spesso perché la pensione non basta a pagare tutte le spese. Devo portare pazienza».
Da quasi 123 anni, il principio su cui si basa “Pane Quotidiano” è che il cibo è un diritto di tutti. “Fratello, Sorella nessuno qui ti domanderà chi sei né perché hai bisogno, né quali sono le tue opinioni», è il motto dell’associazione. Il diritto di avere ogni giorno qualcosa da mangiare viene garantito grazie alle donazioni di tante aziende che portano all’associazione la produzione in eccesso. Da lunedì 14 dicembre “Pane Quotidiano” ha iniziato a distribuire anche dei pacchi natalizi, con dentro un regalo.
Nei magazzini ci sono bancali colmi di pacchi di pasta e scatole di legumi, che verranno distribuiti nel giro di pochi giorni. Ma i cancelli sono sempre aperti anche per i privati che vogliono donare qualcosa. Alessandro è tra i donatori più assidui. Sulla sessantina, entra nel piazzale con una Mercedes. I volontari lo salutano con affetto, perché è di casa: si presenta qui due o tre volte a settimana per svuotare il bagagliaio dell’auto pieno di generi alimentari. «Un gesto doveroso», dice vincendo la ritrosia a parlare. «Quando vado a fare la spesa compro sempre molte più cose di quelle che mi servono e vengo a lasciarle qui. Abito qui vicino e mi sono sempre sentito in dovere di contribuire come potevo. Per me un pacco di pasta è qualcosa di banale, per le persone qui in coda no».
Il vice presidente dell’associazione, Luigi Rossi, dice che il momento più difficile degli ultimi mesi è stata la chiusura a causa del lockdown, perché non era mai successo in quasi 123 anni di storia. L’attività, però, non si è fermata: l’associazione ha continuato a ritirare gli alimenti e nel giro di poco tempo ha trovato un’alternativa per la distribuzione in sicurezza. «Pane Quotidiano ha resistito alle guerre, ma con il primo lockdown ci siamo dovuti fermare», spiega Rossi. «Ci siamo riconvertiti: le razioni alimentari sono state consegnate alla Protezione Civile o alla Croce Rossa che hanno provveduto a distribuirle a domicilio alle persone che ne avevano bisogno. In questo momento distribuiamo circa 3.500 razioni al giorno, nelle due sedi».
Per Rossi è difficile dire che il peggio sia passato. L’allungamento della fila di gente in coda è un segnale degli effetti che l’epidemia causerà al mondo del lavoro, anche quando il rischio sanitario avrà cominciato a scemare. «Chissà cosa succederà nelle prossime settimane», si chiede Rossi. «Le previsioni non sono ottimistiche, ma speriamo di sbagliarci. Questa epidemia ha creato molti danni e ne creerà anche quando sarà finita. Vedremo quante attività riusciranno a stare in piedi, se ci saranno licenziamenti. Noi faremo il possibile. Saremo sempre qui».