Perché si parla di crisi di governo?

Da giorni nella maggioranza si litiga su diversi temi, e c'è chi pensa che possa esserci un rimpasto o una nuova maggioranza

(ANSA/FABIO FRUSTACI)
(ANSA/FABIO FRUSTACI)

Da alcuni giorni sui giornali e nei programmi televisivi di politica si parla sempre più spesso della possibilità che l’attuale governo guidato da Giuseppe Conte possa essere sfiduciato da uno o più dei partiti che compongono la maggioranza, o che le pressioni dei partiti possano portare il presidente del Consiglio a decidere per il cosiddetto “rimpasto” del governo, con un ricambio di tutti o alcuni ministri.

Per ora nessun partito della maggioranza – Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali – ha chiesto esplicitamente un rimpasto o minacciato credibilmente una crisi di governo, ma già da qualche tempo ci sono problemi di coesione e il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha parlato dell’esigenza di «un rilancio, una ripartenza».

Tutto è iniziato con la discussione su come gestire il Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè il piano che conterrà i circa 100 progetti che saranno finanziati con i soldi del Recovery Fund, il principale strumento comunitario per bilanciare la crisi economica provocata dalla pandemia da coronavirus.

L’idea di Conte è creare una «cabina di regia», composta dalla presidenza del Consiglio, dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri – del Partito Democratico – e da quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, del Movimento 5 Stelle. Il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola dovrebbe fare da referente unico con la Commissione europea.

Ai ministri, stando ai piani di Conte, dovrebbero essere affiancati sei manager per ciascuna delle macrocategorie dei progetti, che a loro volta dovrebbero sovrintendere una “task force“ di “tecnici”, il cui numero non è ancora stato definito. La struttura dovrebbe essere istituita con un emendamento alla legge di bilancio che le garantisca poteri speciali.

A opporsi a questo tipo di gestione del piano è stata soprattutto Italia Viva, il partito dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi che sostiene la maggioranza. Secondo Italia Viva questa forma di gestione creerebbe una struttura parallela che, anziché snellire l’iter di realizzazione dei progetti, andrebbe a sovrapporsi ai ministeri esistenti.

In un’intervista al giornale spagnolo El PaisRenzi ha detto che «se Conte vuole pieni poteri come Salvini, io dico no», e alla domanda se fosse disposto a far cadere il governo nel caso in cui Conte non dovesse fare un passo indietro ha risposto «sì, perché questo non è un problema di posti, che pure mi hanno offerto. Il meccanismo del dibattito sulle regole istituzionali non può essere compensato con un piccolo accordo».

Nel frattempo la bozza del piano non è ancora stata discussa in Consiglio dei ministri, e non è ancora chiaro se alla fine verrà inserita nella legge di bilancio. Domenica, durante la trasmissione Mezz’ora in più, la capogruppo di Italia Viva alla Camera, Maria Elena Boschi, ha detto che «quello che chiediamo è che ora c’è questa bozza, che non andrà nella manovra, parliamone in Parlamento, in commissione con gli esperti. Leggo sui giornali, non abbiamo avuto nessuna convocazione o confronto con il governo e il presidente del Consiglio né sono previsti incontri in settimana, leggo che dovrebbero esserci, aspettiamo».

Non c’è solo Italia Viva a contestare la cosiddetta “task force” sul piano di gestione del Recovery Fund: si sono detti contrari anche alcuni deputati del PD e i presidenti di alcune regioni, i quali vorrebbero avere un ruolo maggiore nella progettazione, realizzazione e gestione dei piani nazionali sui fondi.

In un’intervista al Corriereil segretario del PD e presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti ha detto che in questo momento l’idea di un rimpasto di governo non è prioritaria, e tantomeno quella di una crisi di governo che ha definito «una crisi al buio che non prospetta alcunché di buono per il futuro della Repubblica». Per quanto riguarda il Recovery Fund ha detto che «in campo ci sarà una proposta nei prossimi giorni del Consiglio dei ministri aperta ad un confronto ampio nel Parlamento, coinvolgendo le opposizioni, e nel Paese, coinvolgendo le forze dell’impresa e del lavoro, gli amministratori, la cultura , il mondo dell’associazionismo sociale. È stato fatto un buon lavoro, ma esso può ulteriormente migliorare se c’è la volontà politica di farlo».

Se per qualche ragione i partiti della maggioranza dovessero accordarsi per un rimpasto di governo, i problemi di coesione tra i partiti verrebbero risolti senza grossi traumi e il governo dovrebbe proseguire sostenuto dagli stessi partiti. Se invece dovesse succedere che si aprisse una vera crisi di governo – un’ipotesi al momento piuttosto remota – ci sarebbero due possibilità: un nuovo governo sostenuto da una nuova maggioranza o elezioni anticipate.

Di queste possibilità per ora sembra si stia discutendo più tra i partiti di opposizione che tra quelli della maggioranza, che vorrebbero evitare elezioni durante la pandemia e che dal voto uscirebbero probabilmente ridimensionati. Il leader della Lega Matteo Salvini ha parlato della possibilità di un nuovo governo di coalizione, che si occupi delle questioni più urgenti fino a quando sarà possibile tornare a votare e che sia sostenuto dal centrodestra e dai «tanti parlamentari» insoddisfatti dell’attuale governo. In una lettera pubblicata lunedì dal Corriere della Sera, Silvio Berlusconi ha invece parlato della possibilità che nel prossimo futuro «al di là delle ragioni di schieramento si possa trovare una convergenza sulle concrete esigenze del Paese». L’ipotesi di un nuovo governo sostenuto in parte dal centrodestra, per ora, è stata però giudicata irrealizzabile da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, il più influente partito dell’opposizione dopo la Lega.

Intanto, la settimana scorsa, il governo ha superato un’altra possibile crisi sull’approvazione della proposta di riforma del MES, il Meccanismo europeo di stabilità. Per giorni era sembrato che il governo avrebbe faticato molto a ottenere la maggioranza dei voti in Senato, con conseguenze imprevedibili sulla sua stabilità. Alla fine però i partiti della maggioranza avevano trovato un accordo politico, per rassicurare i parlamentari contrari alla riforma ed evitare sorprese. A causare la crisi questa volta rischiava di essere il Movimento 5 Stelle, da sempre scettico nei confronti del MES, percepito come uno strumento di intrusione delle istituzioni europee nelle dinamiche nazionali. Infine la proposta è stata approvata dal Senato con 156 sì, 129 no e 4 astenuti.

Nelle prossime settimane, però, ci sono in programma diversi appuntamenti che potrebbero creare nuove tensioni all’interno della maggioranza, a cominciare dal voto in Senato su un nuovo decreto legge Ristori – il primo scadrà il 26 dicembre – che accorperà tutti i decreti Ristori approvati finora e che prevede una serie di emendamenti, tra cui la sospensione del pagamento delle rate dei mutui sulla prima casa fino alla fine del 2021. Il governo presenterà un maxi-emendamento al decreto su cui porrà la fiducia e che verrà votato martedì 15 dicembre. L’ultimo appuntamento dell’anno, infine, sarà l’approvazione della legge di bilancio, la cui discussione alla Camera dovrebbe iniziare il 18 dicembre e ci si attende venga votata in Senato entro il 28 dicembre, in modo da non dover fare ricorso al famigerato “esercizio provvisorio”.