Le migliori armi del delitto nella letteratura
Bottiglie di champagne, vipere, libri e l'indimenticabile cosciotto d'agnello di Roald Dahl
Per gli assassini della letteratura, uccidere è una faccenda spesso banale, non tanto per le motivazioni ma per le modalità, che sono alquanto limitate e devono essere plausibili: accoltellamento, avvelenamento, strangolamento, annegamento, investimento, spintone da un piano elevato con conseguente caduta, taglio della gola, colpi di pistola e colpi in testa, mazzate varie, esplosione, rogo. Di conseguenza, anche le armi usate sono ripetitive: coltelli, pistole, asce, seghe, martelli, fucili, pale, chiavi inglesi e iniezioni letali; una delle poche variazioni possibili è offerta dalla moltitudine di oggetti contundenti da sbattere in testa alla vittima. Da qui in poi troverete molti spoiler, quindi occhio.
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Tra questa casistica riconoscibile, spiccano alcune armi del delitto eccentriche e originali: tra le preferite dei redattori del Post ci sono, per esempio, il fallo in pietra di La donna della domenica, romanzo di Carlo Fruttero e Franco Lucentini del 1972 da cui venne tratto l’omonimo film di Luigi Comencini, e un sacchetto di acqua ghiacciata di un romanzo molto più recente che ci limitiamo a segnalare per evitare spoiler. Più esaustiva è la lista della scrittrice e giornalista Lynne Truss messa insieme su CrimeReads, sito dedicato a crime, gialli, thriller e noir.
Probabilmente l’arma del delitto più indimenticabile se la inventò lo scrittore britannico Roald Dahl nel racconto Lamb to the Slaughter (tradotto in italiano come Cosciotto d’agnello), pubblicato nel 1953 sulla rivista Harper’s Magazine. La protagonista è la giovane moglie di un poliziotto che si è appena sentita chiedere il divorzio: va in cantina, apre il freezer, trova un cosciotto d’agnello e con quello colpisce il marito alla testa e lo uccide.
A quel punto infila il cosciotto in forno, va a comprare le verdure per la cena, torna a casa, ritrova il marito disteso a terra e chiama in lacrime i suoi colleghi poliziotti; questi accorrono, cercano in tutta la casa l’arma del delitto – che reputano «non tagliente» ma «quasi certamente di metallo» – e si fermano infine a cena su invito della donna. Mentre continuano a discutere dell’arma introvabile la divorano a tavola: «Personalmente sono convinto che si trovi ancora qui in casa», dice uno e un altro risponde «Magari l’abbiamo proprio sotto il naso. Tu che dici, Jack?». Pare che Dahl avesse preso ispirazione da un commento dell’amico Ian Fleming, l’inventore di James Bond, che aveva augurato la morte a chiunque avesse tenuto in freezer troppo a lungo il cosciotto di agnello, duro come un sasso, che gli era stato appena servito.
Il racconto venne incluso nella raccolta Someone Like You, uscita nel 1954, e fu ripreso in un episodio di Hitchcock presenta Hitchcock, una serie tv con episodi slegati tra loro ma tutti con al centro un delitto, e poi di nuovo in un episodio della serie Tales of the Unexpected, che riprendeva molti racconti brevi di Dahl. Il motivo ebbe fortuna e fu ripreso anche dal regista spagnolo Pedro Almodóvar nel film Che ho fatto io per meritare questo? del 1984.
Un’altra arma soddisfacente, scrive sempre Truss, è la macchina da scrivere di Misery, un romanzo di Stephen King pubblicato nel 1987. La storia, per chi non la conoscesse o non temesse spoiler, è quella di un celebre scrittore, Paul Sheldon, che si risveglia dal coma e viene curato da Annie, un’ex infermiera sua ammiratrice che si rivelerà ben presto una carceriera dispotica. Alla fine del libro, lo scrittore brucia il suo ultimo romanzo davanti agli occhi di Annie, che cerca disperatamente di salvare le pagine; lui le lancia addosso la sua macchina da scrivere e poi cerca di soffocarla con le pagine bruciate; Annie però muore da sola, inciampando nella macchina da scrivere. Paul ne esce fuori indenne: il corpo di lei venne ritrovato vicino al fienile abbracciato alla motosega che voleva usare contro di lui. Qui la macchina da scrivere ha chiaramente un significato simbolico e catartico: rende bene il tormento dello scrittore, che si sente pressato dal dovere della scrittura, e allo stesso tempo il fatto che proprio la scrittura sia il modo per liberarsi dalle torture.
Non è originale ma è decisamente divertente, l’arma del racconto Mr Preble Gets Rid of His Wife, scritto da James Thurber e pubblicato sul New Yorker nel 1933 (lo trovate qui). Il protagonista progetta di uccidere la moglie, che però è molto più sveglia di lui: ne intuisce le intenzioni appena la invita ad andare in cantina insieme. Lei lo accompagna, gli dice di aver capito che vuole ucciderla e gli chiede come intenda farlo: «Pensavo di colpirti in testa con questa pala», risponde lui, con poca fantasia. E lei, anche stavolta, deve prendere la situazione in mano e suggerirgli di «uscire e scegliere un pezzo di ferro o qualcosa del genere che non è tuo». Non paga, mentre lui ubbidisce, gli urla dietro «E non metterci troppo! Non ho intenzione di restare a congelarmi in questa gelida cantina tutta la notte!».
Nel 1937 la scrittrice neozelandese Ngaio Marsh si servì di un’enorme bottiglia di Champagne come arma del delitto per il suo romanzo Vintage Murder, uscito nel 1937. Forse non è particolarmente bizzarra ma è difficile da dimenticare, anche per via delle copertine che mostrano sempre un’enorme bottiglia pronta a cadere addosso a chi guarda.
Anche gli animali possono essere complici inconsapevoli di un delitto. L’idea piaceva per esempio a Sir Arthur Conan Doyle, che la sfruttò più volte. In L’avventura della banda maculata – ottavo racconto della saga di Sherlock Holmes uscito nel 1892, nonché il preferito dello scrittore – è una vipera della palude, un non meglio precisato serpente velenoso indiano, a terrorizzare a morte una ricca ragazza a cui il patrigno voleva soffiare l’eredità. Nel Barbaglio d’Argento, tredicesimo racconto della saga uscito nello stesso anno, Holmes deve investigare sulla scomparsa di un cavallo da corsa, Barbaglio d’argento, e del suo allenatore. Alla fine (spoiler) si scoprirà che l’allenatore aveva rubato il cavallo per sfruttarlo alle corse e che il cavallo, impaurito, lo aveva ucciso con un calcio alla testa. Nel più recente Savage Run (2015) di C.J. Box, un attivista ambientalista muore in un’esplosione che si rivelerà un’esplosione di bestiame.
Truss dedica un’ultima parte ai delitti compiuti in librerie, biblioteche, in mezzo o attraverso i libri, un filone non trascurabile: in The Ghostwriter di Noreen Wald c’è un serial killer che ammazza ghostwriter a suon di librate di Delitto e Castigo e di Il Padrino, e in Clubbed to Death di Ruth Dudley qualcuno viene ucciso con una copia arrotolata dell’Economist. Il miglior delitto libresco resta però Il nome della rosa di Umberto Eco, uscito nel 1980.
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