Il disperato tentativo del Texas di ribaltare il risultato elettorale
Ha presentato alla Corte Suprema una causa giudicata dagli esperti assurda e senza basi, per provare a far vincere Trump
ha presentato un ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti che chiede di invalidare il risultato delle elezioni dello scorso 3 novembre in quattro stati vinti da Joe Biden: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Georgia. È l’ultimo tentativo degli alleati del presidente uscente Donald Trump di ribaltare il risultato delle presidenziali, che lo ha visto uscire sconfitto. Il ricorso presentato dal Texas ha ricevuto il sostegno di 17 stati governati dai Repubblicani e 106 parlamentari Repubblicani, ma nonostante Trump l’abbia definito «quello grosso», secondo gli esperti di materie giuridiche non ha speranze di essere accettato, ed è stato estesamente definito un tentativo «senza precedenti» di annullare senza ragioni la volontà di milioni di elettori.
Lo stato americano del TexasWe will be INTERVENING in the Texas (plus many other states) case. This is the big one. Our Country needs a victory!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) December 9, 2020
La causa è stata presentata dal procuratore generale del Texas Ken Paxton, un politico controverso attualmente sotto indagine per diversi reati, e accusa essenzialmente i quattro stati citati di aver applicato delle regole elettorali, in particolare quelle che hanno permesso il conteggio dei voti arrivati per posta dopo il giorno delle elezioni, che hanno compromesso la regolarità delle elezioni, il cui risultato non dovrebbe quindi essere considerato valido. Il Texas sostiene che queste decisioni, che pure sono una prerogativa degli stati in questione, abbiano influenzato il risultato nazionale e quindi abbiano delle conseguenze anche su tutti gli altri stati.
Questo principio è stato criticato da molti esperti di cose legali, in quanto giudicato un’intromissione negli affari degli altri stati (che peraltro arriva curiosamente dal Texas, lo stato storicamente più indipendentista di tutti). Edward B. Foley, docente di legge alla Ohio State University, ha spiegato al New York Times che i regolamenti elettorali sono di competenza degli stati, e che è come se il Texas facesse ricorso contro il modo in cui la Pennsylvania elegge i suoi senatori.
Ma c’è anche un problema di competenze: normalmente una causa legale deve passare dai tribunali locali, poi dalle Corti Supreme statali e solo alla fine di questo processo, in certi casi, arriva fino alla Corte Suprema federale. Ci sono alcune questioni, come i diritti sull’acqua pubblica o le dispute sui confini, in cui uno stato può presentare un ricorso direttamente alla Corte Suprema federale, ma i regolamenti elettorali non sembrano essere tra queste. C’è anche una sentenza della Corte Suprema dell’anno scorso che sembra confermarlo. Per di più, la causa è stata probabilmente presentata troppo tardi: lunedì prossimo i grandi elettori si riuniranno nei vari stati per confermare il risultato elettorale, che sarà ufficialmente certificato dal Congresso il prossimo 6 gennaio.
Nel ricorso del Texas ci sono poi degli argomenti legali debolissimi, quando non falsi: si cita per esempio una stima, che era peraltro già stata menzionata dalla portavoce della Casa Bianca, secondo cui le possibilità di Biden di vincere nei quattro stati in questione erano inferiori a una su un milione di miliardi: un’affermazione assurda e smentita da qualsiasi analisi statistica conosciuta.
Le cose che rendono traballante se non assurda la causa legale sono tante. Nella lettera con cui l’hanno sostenuta, per esempio, gli stati hanno detto che accettare i voti oltre il giorno delle elezioni compromette la fiducia nella democrazia. Ma Kansas e Mississippi, che l’hanno firmata, hanno la stessa regola (solo che lì ha vinto Trump). La causa dice poi che le regole elettorali non dovrebbero essere decise dal ramo esecutivo ma dai parlamenti statali: ma perfino in Texas sono state modificate dal governatore.
Secondo Brad Heath, corrispondente da Washington di Reuters, è possibile che diversi dei 17 stati che hanno sostenuto la causa non l’avrebbero fatto se avessero qualche sospetto che possa andare a buon fine. Perché concretamente, quello che sta provando a fare il Texas è annullare il voto di decine di milioni di persone e cambiare il risultato delle elezioni in quattro altri stati, un’intrusione nella sovranità statale inedita nella storia statunitense.
In teoria la Corte Suprema potrebbe decidere di impedire temporaneamente ai grandi elettori degli stati in questione di confermare il voto per Biden, spiega il New York Times, ma l’esito di gran lunga più probabile è che rifiuti del tutto di prendere in considerazione la causa.
A cinque settimane dalle elezioni presidenziali, e a un mese dalla proclamazione ufficiosa di Biden, Trump non ha ancora riconosciuto la sconfitta alle presidenziali e continua ad avanzare accuse di brogli e irregolarità che non è mai riuscito a provare in alcun modo. Le decine di cause e ricorsi presentati finora nei tribunali di diversi stati sono stati tutti respinti o archiviati. Nonostante la sua ostinazione iniziale, la transizione tra la sua amministrazione e quella di Biden è cominciata, pur con ritardo e vari ostacoli che potrebbero compromettere l’efficacia della successione.
Questa settimana è stata superata la scadenza del cosiddetto “safe harbour”, cioè il giorno entro il quale gli stati devono certificare i propri risultati se vogliono evitare che il Congresso abbia teoricamente il diritto di contestarli. Quasi tutti gli stati lo hanno fatto in tempo, riducendo quindi ulteriormente le già risibili possibilità che il risultato possa cambiare. Con il voto dei grandi elettori di lunedì, queste possibilità – a questo punto praticamente nulle – si ridurranno ancora di più.