Una canzone di Gavin Bryars

Mancano due settimane a Natale, e volevate non parlarne ancora?

(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, ci si iscrive qui.
Ok, d’accordo così: da lunedì Le Canzoni vanno in una specie di vacanza. Ovvero io mi prendo un mese per smaltire altri progetti, e la newsletter continuerà ad arrivare ogni sera nella forma di repliche delle canzoni scelte un anno fa, che 4 su 5 di voi non hanno mai ricevuto perché non si erano ancora iscritti (al quinto su 5 va la mia gratitudine per la fedeltà e il consiglio di occupare questo mese riascoltando le quasi 300 canzoni spedite finora). Da lunedì 11 gennaio poi torno in diretta.
130 anni fa oggi nacque Carlos Gardel.
vivir con el alma aferrada
a un dulce recuerdo
que lloro otra vez

Per metterla anche qui “where it belongs” ho anticipato di qualche giorno un’altra tradizione (oltre a quella qui sotto), la lista delle canzoni che ho ascoltato di più in quest’anno: ma se siete qui da un po’ le conoscete tutte.

Jesus blood never failed me yet
Però prima di avviare questa serie di “repliche” – ehi, canzoni meravigliose –  che scavalcherà il Natale, non voglio correre il rischio che ci sia anche uno o una sola di voi che lo passi senza conoscere ancora questa. E in più, è una vecchia tradizione.

A Natale, mi chiamano i parenti. Ogni anno. Che c’è di strano, direte voi. È che non mi fanno gli auguri. Si dimenticano. Mi hanno chiamato solo per un motivo. Sanno che scrivo di musica e hanno un sacco di regali da fare. Mi consigli dei cd da regalare?, dicono. Se esito, se mi diffondo in alternative, si seccano. Vogliono andare a colpo sicuro, entrare nel negozio con un foglietto e i nomi. Quest’anno mi sono preparato. Dirò “Is a woman” dei Lambchop ai più anziani, e “Unplugged” di Lauryn Hill ai più giovani. Risolto. Ma non è di questo che volevo parlare. Volevo parlare del fatto che qualche volta, dopo Natale, qualcuno mi chiama per ringraziare. Un ottimo consiglio, dicono, è stato molto apprezzato. Bene: nove anni fa mi richiamarono tutti. Tutti: mia madre, le mie tre zie, mio fratello, mia cugina, la mia matrigna, quattro amici, il mio ex professore di storia dell’arte. Un successone. Che avevo fatto? Gli avevo raccontato una storia.

La storia è questa. Gavin Bryars è un musicista contemporaneo non facile da etichettare. Nei negozi quando ce l’hanno lo mettono a volte nel reparto classica, a volte in quello jazz, a volte nelle colonne sonore, a volte dove capita. Ha fatto musiche per opere teatrali, per film, per programmi tv, opere classiche a se stanti, progetti d’avanguardia. Una volta stava girando per Londra con un registratore in cerca di suoni per un programma della BBC. Si imbattè in un barbone forse ubriaco che trascinava ripetitivamente tra i pochi denti una canzoncina. Non era proprio una canzoncina. Una specie di canto religioso: diceva “Il sangue di Gesù non mi ha mai tradito finora”, e lo ridiceva, e lo ridiceva. Bryars si portò a casa il suo nastro e lo tenne lì. Ogni tanto lo riascoltava e ci pensava su.
Jesus blood never failed me yet fu pubblicato nel 1993. Dura settantatré minuti. Per settantatré minuti ripete circa centocinquanta volte la stessa strofa sottratta quella notte alla voce del barbone londinese, campionata e ripetuta per tutta l’opera e accompagnata da un arrangiamento orchestrale sempre più denso, che parte da pochi archi e si arricchisce man mano di altri strumenti, cori, e infine una seconda voce solista che chiude la composizione sottobraccio al barbone. Una voce straordinaria, e la più associabile a quella di un barbone ubriaco, avrà pensato Bryars prima di telefonare a Tom Waits. Il disco è straordinario, unico, notturno, struggente. E natalizio.

Quando spiego loro di cosa è fatto, i parenti sorridono. Diffidano. Sai che noia, vorrebbero dire. Come voi adesso. Non hai niente di più normale? Poi lo ascoltano, e sorridono ancora. Alcuni fingono di addormentarsi, per prendermi in giro. Dopo lo riascoltano, e ancora. Poi, una sera che mi hanno invitato a cena, glielo trovo accanto allo stereo. Mi affaccio alla cucina dove il padrone di casa sta lavorando con un mestolo e una pentola, e il grembiule attorno alla vita, e glielo sventolo davanti agli occhi. Sorridono ancora. L’hanno comprato; dopo lunghe ricerche, perché non è facile da trovare.


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