Le proteste degli artisti a Cuba
Manifestano per una maggiore libertà di espressione e contro il controllo del governo sulle loro attività, ed è una cosa molto insolita per Cuba
Da qualche settimana c’è un gruppo di artisti e intellettuali cubani che si è mobilitato per chiedere il riconoscimento degli spazi culturali indipendenti e la fine della censura ideologica nel paese. È una cosa rara vedere proteste a Cuba, un paese dove negli ultimi decenni il regime comunista ha lasciato pochissimo spazio a chi manifesta dissenso nei confronti del governo. Tuttavia le immagini di alcuni arresti di persone legate al collettivo artistico Movimento San Isidro circolate su internet hanno fatto riunire davanti al ministero della Cultura a L’Avana centinaia di artisti e intellettuali per difendere la libertà di espressione in maniera pacifica. Per il momento il dialogo col governo non ha avuto alcun esito, ma la mobilitazione sta continuando anche su internet, una cosa impossibile fino a pochi anni fa.
Al ritrovo davanti al ministero della Cultura, lo scorso 27 novembre, hanno partecipato poeti, intellettuali, sceneggiatori, artisti, rapper e cantanti, alcuni anche piuttosto famosi a Cuba. Come ha spiegato Tania Bruguera, una delle artiste e attiviste che hanno partecipato al ritrovo, si sono mobilitati non necessariamente perché condividano le visioni delle persone arrestate, quanto «per difendere il diritto al dissenso di tutti gli artisti».
Lo storico cubano Rafael Rojas, che insegna in Messico, ha spiegato che dopo così tanti decenni di censura da parte del regime, gli artisti stanno contestando alcune norme che secondo loro violano la Costituzione del paese. Si tratta in particolare del decreto 349 emanato dal governo del presidente Miguel Díaz-Canel, che nell’aprile del 2018 ha preso il posto di Raúl Castro, fratello del noto dittatore comunista Fidel Castro che aveva guidato il paese per quasi cinquant’anni. Questo decreto stabilisce che lo stato abbia il controllo su tutte le arti e che gli ispettori del governo possano decidere chi si qualifichi come artista e chi no. Negli ultimi anni a Cuba sono nati sia spazi dedicati alla musica e alla poesia, sia nuove gallerie d’arte private, ma chi non ha ottenuto l’approvazione del governo non può esporre i propri lavori né esibirsi in pubblico. Chi non rispetta «l’ideologia totalitaria» è descritto dai media del regime come un nemico del paese, ha raccontato lo scrittore e giornalista Carlos Manuel Álvarez, vicino al Movimento San Isidro.
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Per via delle loro opere irriverenti o provocatorie, i membri del Movimento sono considerati dissidenti: in più, dal momento che alcuni di loro hanno legami con funzionari governativi americani, i media cubani li hanno definiti come «mercenari al servizio del governo degli Stati Uniti», che avrebbero l’obiettivo di creare caos e confusione a Cuba. In generale, alle proteste si sono unite anche centinaia di altri artisti che hanno detto di averne abbastanza dei limiti imposti all’espressione personale a Cuba attraverso la censura e la repressione. Come ha detto Bruguera: «Qualunque artista decida di alzare la voce, o metta in discussione quello che dice il governo, o faccia domande scomode attraverso la propria arte potrebbe ricevere lo stesso trattamento».
José Miguel Vivanco, direttore del programma dedicato alle Americhe della ong Human Rights Watch, ha parlato di questa mobilitazione pacifica come di qualcosa che non ha precedenti a Cuba: un paese in cui l’opposizione al Partito Comunista quasi non esiste e dove il governo alimenta il nazionalismo e la propaganda anche attraverso le istituzioni culturali.
La vicenda che fece avviare le proteste fu l’arresto di un famoso rapper cubano, Denis Solís, a inizio novembre. Solís aveva ripreso con lo smartphone e trasmesso live su Facebook il suo arresto, e nei giorni seguenti fu condannato a otto mesi di carcere per oltraggio a pubblico ufficiale. In segno di solidarietà nei suoi confronti, un gruppo di amici del collettivo San Isidro iniziò uno sciopero della fame, che dopo circa dieci giorni venne interrotto dalla polizia: gli artisti che avevano aderito furono arrestati, ma a loro volta ripresero e condivisero sui social media le immagini del loro arresto. Durante la notte del 26 novembre la polizia represse con violenza le prime proteste, e il giorno seguente furono organizzate diverse manifestazioni in sostegno di Solís, tra cui quella più grossa fu appunto quella davanti al ministero della Cultura. La tv di stato mostrò peraltro un video in cui il rapper aveva detto che un americano di origine cubana conosciuto in Florida gli aveva offerto 200 dollari per portare avanti progetti politici.
A fine novembre una delegazione di attivisti aveva potuto parlare con i funzionari del governo per avanzare le proprie richieste, ma poi la protesta è proseguita per lo più attraverso i social media. Un collettivo di artisti ha anche creato un gruppo organizzato che si chiama 27N, come il 27 novembre, il giorno in cui è stato fondato; 27N ha una pagina Facebook e sta portando avanti una serie di campagne di informazione e attività online.
Come ha spiegato William LeoGrande, esperto di America Latina della American University di Washington, questo «risveglio della società civile» è stato agevolato in maniera particolare dalla diffusione di internet e dei social media, attraverso cui i cittadini stanno «mettendo alla prova il governo» per la prima volta da alcuni decenni a questa parte.
A Cuba è possibile utilizzare internet sui cellulari soltanto da due anni: per molto tempo il regime ha temuto che la diffusione delle informazioni attraverso media che non fossero quelli controllati dallo stato avrebbe potuto far aumentare il dissenso interno. Secondo i dati ufficiali oggi circa due terzi della popolazione – più di 7 milioni sugli oltre 11 che abitano sull’isola – hanno accesso a internet. Il governo ha bloccato diversi siti considerati dissidenti, come Radio Martí, un portale di notizie che è finanziato dagli Stati Uniti ed è considerato sgradito al regime; tuttavia si può accedere liberamente alla maggior parte dei giornali statunitensi e a WhatsApp, Facebook e YouTube.
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Dopo l’incontro di fine novembre il dialogo tra i rappresentanti degli artisti e il governo si era interrotto. Radio Martí ha scritto che mercoledì c’è stato un altro incontro con il viceministro della Cultura, Fernando Rojas, che Rojas ha sminuito le richieste degli artisti, e che il regime ha «perso l’opportunità di rispettare i diritti del popolo cubano».
Tra le altre cose, negli ultimi giorni diversi artisti hanno segnalato di aver subito intimidazioni da parte delle forze dell’ordine. Molti di quelli che avevano partecipato al ritrovo davanti al ministero della Cultura hanno detto che ora ci sono auto della polizia parcheggiate fuori dalle loro case, come se fossero agli “arresti domiciliari”. Altri sono stati accusati di aver violato le misure restrittive introdotte per combattere la diffusione della pandemia da coronavirus mentre Bruguera, per esempio, è stata fermata due volte uscendo di casa e ha detto che i poliziotti hanno lasciato intendere che lei e altri artisti potrebbero essere incriminati per i reati di «eversione e disobbedienza civile».
A ogni modo, il movimento sta continuando a circolare attraverso i messaggi sulle chat di gruppo e i post sui social media, dove per il momento ha raggiunto alcune migliaia di persone senza blocchi o censure.