La vera storia dell’Isola delle Rose
Ora che è arrivato su Netflix il film "L’incredibile storia dell’Isola delle Rose"
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, da oggi su Netflix, è un film – diretto da Sydney Sibilia e prodotto da Groenlandia – che racconta, come i più attenti avranno intuito dal titolo, una versione un po’ romanzata di cosa fu l’Isola delle Rose, una micronazione – mai riconosciuta dallo Stato italiano – costruita negli anni Sessanta, al largo di Rimini, dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa. Il consiglio, come quasi sempre in questi casi, è di guardare prima il film.
Nel 1958 Giorgio Rosa – che era nato nel 1925 – ebbe l’idea di progettare una sorta di isola artificiale da collocare al largo di Rimini, a circa 12 chilometri dalla costa, oltre le acque territoriali italiane. Per un paio di anni, Rosa fece numerosi sopralluoghi nella zona, studiando il sistema migliore per ancorare la sua piattaforma al fondale. Superati alcuni problemi tecnici e finanziari, fu avviata la costruzione della struttura che richiese diversi anni, anche perché a causa delle condizioni del mare e del meteo non era possibile lavorare molte ore alla settimana nei pressi della piattaforma.
I lavori di Giorgio Rosa non passarono naturalmente inosservati e verso la fine del 1966 la Capitaneria di porto di Rimini chiese che i lavori fossero fermati, anche perché diverse aree nella zona erano state date in concessione all’ENI. Anche la polizia si interessò alla vicenda, ma Rosa riuscì comunque a proseguire l’opera di costruzione e nell’estate del 1967 aprì al pubblico la sua isola, anche se c’era ancora molto lavoro da fare per ampliarla e migliorarla. La piattaforma (una sorta di grande palafitta) aveva una superficie di circa 400 metri quadrati e Rosa dispose l’avvio della costruzione di un secondo piano, per raddoppiare lo spazio a disposizione.
Il primo maggio del 1968 Rosa dichiarò unilateralmente l’indipendenza della sua isola artificiale, nominandosene presidente. Chiamò la nuova micronazione “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose” (“Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj”) e la dotò di una lingua ufficiale (l’esperanto), di un governo e di una propria valuta. Il mese seguente tenne anche una conferenza stampa per comunicare al mondo la costituzione del nuovo stato.
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Le autorità italiane non la presero bene, anche perché nacquero diversi sospetti sulla possibilità che la trovata di Rosa fosse uno stratagemma per non pagare le tasse sui ricavi ottenuti grazie all’arrivo di numerosi turisti e curiosi. Fu disposta una sorta di blocco navale intorno all’Isola delle Rose, in seguito al quale Rosa ottenne un colloquio con uno dei responsabili del Servizio informazioni difesa, i servizi segreti militari italiani, ma non se ne ricavò molto.
Sempre a giugno, una decina di pilotine della polizia con a bordo agenti e militari presero possesso dell’Isola delle Rose, che in quel momento era abitata solamente dal guardiano e dalla sua compagna. Rosa inviò quindi un telegramma di protesta all’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, senza ottenere risposta. Nelle settimane seguenti ci furono alcune interrogazioni parlamentari a riguardo e l’invio a Rosa di diverse proposte di acquisto della piattaforma.
Ad agosto il ministero della Marina mercantile inviò alla Capitaneria di porto di Rimini un dispaccio, in cui veniva richiesto a Rosa di demolire la piattaforma costruita al largo di Rimini. L’ingegnere presentò un ricorso che fu respinto nonostante l’interessamento di alcuni esponenti politici, e nel novembre del 1968 a Rimini furono sbarcati a terra tutti i materiali trasportabili trovati sull’Isola delle Rose, in vista della demolizione con esplosivo della piattaforma.
Lo smantellamento avvenne nei primi mesi del 1969, la struttura resistette a due diverse esplosioni controllate, ma gravemente danneggiata si inabissò comunque in seguito a una burrasca di fine febbraio.
La vicenda ebbe numerosi strascichi, anche perché non aveva precedenti nella nostra storia giuridica. Le polemiche continuarono anche dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, secondo il quale le pretese di indipendenza e sovranità accampate dai proprietari della piattaforma erano infondate. Anche fuori dall’Italia, si concluse, i cittadini italiani dovevano sottostare alle leggi statali.
La Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose non fu mai riconosciuta da alcuno stato del mondo nel suo breve periodo di vita. La micronazione aveva come simbolo uno stemma su cui erano rappresentate tre rose rosse, con uno scudo bianco a fare da sfondo. La bandiera era arancione con al centro lo stemma della repubblica. L’inno della micronazione era un brano tratto dalla prima scena del terzo atto dell’Olandese volante, opera di Richard Wagner. La valuta scelta da Rosa e da chi partecipò al governo dell’isola – familiari e conoscenti di Rosa – fu il Mill, con un cambio alla pari rispetto alla lira italiana. La repubblica non produsse mai banconote e monete della propria valuta, ma solamente alcune emissioni di francobolli. Una delle emissioni mostrava la cartina dell’Italia con in evidenza la posizione in cui si trovava la piattaforma.
Negli anni si è tornati più volte a parlare dell’Isola delle Rose. In anni recenti era successo, tra le altre cose, grazie al romanzo L’isola e le rose (scritto nel 2012 da Walter Veltroni, che è anche stato consulente per il film di Netflix) e poi, nel 2017, in seguito alla morte di Rosa, a 92 anni.
All’Isola delle Rose e alla sua storia sono dedicate anche alcune pagine dell’Atlante delle micronazioni, un libro di Graziano Graziani sulle storie – spesso molto strambe – di decine di altre micronazioni, presenti o passate, di vario tipo. Graziani parla dell’Isola delle Rose come del «più ambizioso tentativo italiano di creare una “nazione di fondazione”». Lo stesso Rosa raccontò la sua storia in una sorta di memoriale, intitolato “Il fulmine e il temporale di Isola delle Rose“.
Per chi voglia approfondire la vera storia dell’Isola delle Rose, su YouTube c’è anche un documentario.