La grande protesta dei contadini in India
Va avanti da settimane contro le leggi sulla liberalizzazione del commercio agricolo decise da Narendra Modi, molto temute dai piccoli produttori
Martedì in India è stato organizzato un nuovo sciopero generale (“bharat bandh”) dei contadini contro le recenti leggi sulla liberalizzazione del commercio agricolo, approvate a fine settembre dal governo guidato dal primo ministro Narendra Modi. Le proteste erano iniziate circa tre mesi fa, ed erano culminate con l’enorme marcia su Delhi dello scorso 26 novembre. Una marcia lunga chilometri di persone a piedi, sulle moto o sui trattori, con rimorchi pieni di pentole e padelle, riso, cipolle, lenticchie, farina e paglia su cui dormire. Alcuni giornali hanno definito la protesta come la più grande crisi che Modi si è trovato finora ad affrontare. Gli agricoltori costituiscono quasi la metà dell’intera popolazione indiana: sono 650 milioni.
Lo scorso 20 settembre, senza alcuna consultazione preventiva con le organizzazioni agricole, il governo aveva fatto approvare dal Parlamento tre leggi che liberalizzano la vendita dei prodotti agricoli e vanno nella direzione di un mercato unico. In base alla riforma, i contadini e i commercianti hanno ora la libertà di vendere e acquistare senza vincoli di prezzo: e non più soltanto sui mercati regolamentati dallo stato (i cosiddetti “mandis”) e nelle sedi fisiche previste dalle varie legislazioni statali, ma con il coinvolgimento diretto anche dei privati.
Fino ad ora, i comitati statali con competenze agricole avevano imposto delle restrizioni sulle piazze commerciali, gli intermediari e anche i flussi tra gli stati. Questo sistema aveva permesso al governo di accumulare scorte strategiche, principalmente di riso e grano, che venivano poi redistribuite a prezzi bassi alla popolazione più in difficoltà e che garantivano ai produttori un reddito dignitoso: più dell’86 per cento dei terreni agricoli coltivati in India è controllato da piccoli agricoltori che possiedono meno di due ettari di terra ciascuno.
Senza questa struttura, i contadini temono che non avranno abbastanza potere per trattare con le grandi società di distribuzione che verranno direttamente a comprare le loro produzioni, e di non riuscire a ottenere il prezzo necessario a mantenere uno standard di vita dignitoso. Dicono che i principali beneficiari delle nuove norme saranno le società agricole più grandi e solide, che i commercianti potranno fare scorte di cibo e trarre vantaggi dall’aumento dei prezzi, per esempio durante una pandemia, e che le loro garanzie sono stato di fatto smantellate. Dicono, infine, che la legge sarà un preludio all’eliminazione da parte del governo del sistema di prezzi minimi di sostegno (MSP), già da tempo sotto attacco, che fornisce stabilità agli agricoltori fissando il prezzo dei vari prodotti.
Il primo ministro Narendra Modi sostiene invece che la riforma “libererà” gli agricoltori dagli intermediari, che porterà beneficio, che aumenteranno gli investimenti privati nel settore e che il reddito agricolo aumenterà. Modi ha poi incolpato i partiti politici dell’opposizione per aver diffuso false voci sulle conseguenze della riforma sul futuro degli agricoltori, spiegando che «sperimenteremo i vantaggi di queste nuove leggi nei prossimi giorni».
A settembre, l’approvazione della riforma aveva provocato una protesta diffusa. Inizialmente gli agricoltori avevano risposto con proteste locali. In Punjab – considerato “il granaio dell’India” – avevano bloccato per settimane il passaggio dei treni. A fine novembre, dopo un allargamento del dissenso ad altri stati come l’Haryana, l’Uttarakhand e l’Uttar Pradesh, i leader delle proteste avevano organizzato uno sciopero a cui avrebbero aderito 250 milioni di lavoratori, e avevano deciso di marciare in centinaia di migliaia verso la capitale in quella che è stata chiamata dai giornali con il nome di “Dilli Chalo”, cioè “Andiamo a Delhi”. Lungo la strada i contadini erano stati fermati con violenza dalla polizia che aveva usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua.
La polizia aveva anche chiesto al governatore di Delhi, Arvind Kejriwal, del Partito dell’uomo comune (Aap), di poter utilizzare gli stadi di cricket della capitale come prigioni temporanee per rinchiudere i manifestanti. Kejriwal si era rifiutato, difendendo i contadini: «Invece di rimuovere le leggi contro i contadini, agli agricoltori viene impedito di organizzare proteste pacifiche. Contro di loro vengono usati i cannoni ad acqua. Dimostrare pacificamente è un diritto costituzionale», aveva scritto sui social network. Dopo ore di scontri, il governo si era finalmente offerto di assegnare ai manifestanti uno spazio nel nord della capitale, ma solo un centinaio di loro aveva accettato di andarci. La maggior parte aveva rifiutato: «Resteremo qui, non andremo in questa prigione a cielo aperto» avevano detto durante una conferenza stampa, consapevoli che bloccare le strade della capitale avrebbe dato maggior peso alla loro protesta. «Siamo contadini indiani, non terroristi», si leggeva sui loro cartelli.
Attualmente ci sono presidi su tre diverse importanti strade che collegano Delhi agli stati vicini. I manifestanti dormono in centinaia di rimorchi attaccati a trattori allineati per diversi chilometri, mangiano cibo preparato in cucine da campo, ci sono volontari che distribuiscono mascherine gratuite, alcuni medici hanno allestito degli ambulatori improvvisati ed è stato montato un palco con degli altoparlanti. Dicono che non se ne andranno fino a quando il governo non cambierà idea sulla riforma.
Nelle ultime settimane, alcuni ministri del governo federale hanno cercato di negoziare con gli agricoltori, ma senza successo. Nei cinque incontri che si sono svolti finora, il governo ha assicurato il mantenimento del sostegno ai prezzi e ha detto di essere disponibile a modificare alcune disposizioni, ma gli agricoltori hanno ribadito la richiesta più drastica della revoca generale delle riforme, rifiutando modifiche circoscritte. Un nuovo incontro è in programma per mercoledì 9 dicembre.
A sostegno dei coltivatori si sono espressi anche diversi partiti: il Congresso nazionale indiano (INC), principale forza di opposizione, il Partito dell’uomo comune (Aap), al governo a Nuova Delhi, e altre formazioni socialiste e comuniste.