Cosa c’è di vero in Mank
Le storie delle persone citate nel nuovo film sulla vita del famoso sceneggiatore di Quarto Potere, a cominciare dalla sua
Mank, disponibile da venerdì su Netflix, è un nuovo film in bianco e nero, diretto da David Fincher, sullo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, ricordato soprattutto per avere scritto (e firmato insieme a Orson Welles) la sceneggiatura di Quarto Potere, da decenni celebrato come uno dei migliori film di sempre, se non proprio il migliore.
Così come Quarto Potere è costruito dal susseguirsi di una serie di flashback sulla vita del suo protagonista Charles Foster Kane, anche Mank – basato su una sceneggiatura scritta negli anni Novanta da Jack Fincher, padre del regista – alterna il suo presente (i mesi del 1940 in cui Mankiewicz scrisse la sua versione di Quarto Potere) a una serie di flashback sulla sua vita, sui tanti incontri con diversi personaggi noti della Hollywood degli anni Trenta e sulle elezioni del 1934 per eleggere il governatore della California.
Va da sé che aver visto o quantomeno sapere qualcosina su Quarto Potere arricchisce l’esperienza di chi guarda Mank. Ma forse, ancora di più, può essere utile conoscere qualcosa su tutte le persone con cui il protagonista di Mank ha a che fare durante il film. Qui avanti ci sono un po’ di cose sulle principali, a partire dal più importante: Herman J. Mankiewicz, per gli amici (e d’ora in poi anche per noi) Mank. Si possono leggere: dopo il film per schiarirsi le idee; prima, per non confondersi troppo guardandolo (ci sono ovviamente un po’ di spoiler, se si prende il concetto molto alla larga) o, addirittura – se siete quel tipo di persona e avete appena messo in pausa Mank per cercare qualcosa su Google – durante.
Herman J. Mankiewicz
Nato nel 1897 e figlio di immigrati tedeschi, prima di diventare uno sceneggiatore Mank era stato corrispondente da Berlino per il Chicago Tribune, critico teatrale per il New Yorker e il New York Times e anche drammaturgo, in anni in cui bazzicò la Tavola rotonda dell’Algonquin, un circolo di scrittori newyorkesi. Noto per il suo umorismo, Mank arrivò a Hollywood nel 1926 per fare lo sceneggiatore, prima nel cinema muto e poi in quello sonoro, mostrando un notevole talento nella scrittura dei dialoghi (una cosa su cui chi arrivava dal teatro era evidentemente più ferrato rispetto a chi per anni aveva scritto scene per il cinema muto).
Tanti altri noti giornalisti e scrittori di quel periodo (F. Scott Fitzgerald e William Faulkner, tra gli altri) passarono per Hollywood ma non ci restarono molto tempo; lui invece finì per fare solo quello, spesso lavorando anche per migliorare e aggiungere il suo tocco a copioni scritti da altri, senza però firmare le sceneggiature.
Prima di collaborare con il giovane Welles per Quarto Potere, prodotto dalla casa cinematografica RKO, Mank ci aveva lavorato scrivendo testi radiofonici per il Mercury Theatre, la compagnia teatrale fondata da Welles. Oltre a essere di certo talentuoso, Mank era anche una persona problematica: ci sono infatti diversi racconti sul suo alcolismo e sulla sua ludopatia, due cose che finirono per complicare e compromettere diverse sue relazioni e amicizie. «La sua vita» ha scritto Slate «fu caratterizzata da ostilità diluita con arguzia». È difficile sintetizzarlo in poche righe, ma sembra che per quanto concerne la politica fosse tendenzialmente un conservatore: è certo che si rifiutò di entrare a far parte del nascente sindacato degli sceneggiatori e sappiamo anche che, quando iniziò la Seconda guerra mondiale, era un isolazionista, contrario all’entrata in guerra del suo paese e vicino, da questo punto di vista, alle idee di Charles Lindbergh.
Mank si impegnò per aiutare alcuni emigranti europei, ma non ci sono prove, come viene detto nel film, che abbia salvato un intero villaggio. Sappiamo anche che nel 1933 aveva scritto la sceneggiatura per il film anti-nazista The Mad Dog of Europe: un film, poi mai girato, il cui protagonista si chiamava Adolf Mitler.
La sceneggiatura di Quarto Potere, Mank la scrisse tra la primavera e l’estate del 1940, a Victorville, in California, lontano da Welles, dopo un incidente in auto, mentre veniva assistito da un’infermiera tedesca e dalla segretaria e dattilografa Rita Alexander.
William Randolph Hearst
Nato nel 1863 e morto nel 1951 (dieci anni dopo l’uscita di Quarto Potere), è il magnate dell’editoria a cui è evidentemente ispirato il “cittadino Kane” protagonista di Quarto Potere, il cui titolo originale è Citizen Kane. Così come Joseph Pulitzer, quello del premio, Hearst promosse e rese assai popolare il giornalismo scandalistico e sensazionalista, trasformando un piccolo giornale della sera – il San Francisco Examiner – in un giornale molto noto e letto, a cui collaborarono tra gli altri anche Mark Twain e Jack London, e da lì partì per avviare una serie di altre iniziative editoriali di grande successo. Attraverso l’editoria e, più in generale, la sua ricchezza, Hearst ebbe per anni una grandissima influenza sull’opinione pubblica statunitense.
Welles sostenne più volte che Kane non fosse direttamente ispirato a Hearst e una volta disse: «Hearst nacque ricco, coccolato da una madre adorante. […] Kane nacque povero, e fu cresciuto da una banca». Ma ci sono anche tanti evidenti punti di contatto tra la vita cinematografica di Kane e quella reale di Hearst. Giusto per dirne tre: i genitori di entrambi devono la loro ricchezza a una miniera d’oro, entrambi – potendo scegliere molto altro – si dedicarono soprattutto ai giornali, ed entrambi si costruirono un faraonico castello: il Castello Hearst e quello che in Quarto Potere è lo Xanadu.
È certo che Mank frequentò le feste e le cene di Hearst, il quale lo apprezzava come interlocutore vivace, e pare che in effetti Hearst a un certo punto smise di invitare Mank perché il suo alcolismo lo rendeva un ospite problematico. Ed è vero che Hearst si attivò in vari modi per evitare l’uscita di Quarto Potere, aumentando così l’attesa per il film e legittimando lui stesso il parallelismo tra lui e Kane. È invece del tutto inventato il discorso su Don Chisciotte di Mank e la successiva risposta di Hearst che si vedono nel film.
Marion Davies
È l’attrice trentenne di cui si innamorò Hearst, di 34 anni più vecchio di lei. I due non si sposarono mai, ma lei divenne la sua amante “ufficiale”, e secondo le cronache di allora lei aveva una grande influenza su di lui. Così come è innegabile che Kane sia in tante cose Hearst, è anche vero che i parallelismi possibili tra la per nulla talentuosa Susan Alexander Kane (la seconda moglie di Kane in Quarto Potere) e Davies sono pochi, e che lo stesso Welles parlò di lei come di un’attrice di gran talento, che recitò in decine di film passando con una certa disinvoltura dal muto al sonoro.
Davies era considerata particolarmente brava nelle commedie («una delle più deliziose e dotate attrici comiche dell’intera storia del cinema» scrisse Welles), ma pare che Hearst la preferisse nei ruoli drammatici. È vero che passò dalla MGM alla Warner Bros – ed è vero che probabilmente c’entra il fatto che non fu scelta per interpretare Maria Antonietta – ma i tempi della cosa furono un po’ diversi da come li presenta Mank. Davies, anche lei con problemi di alcolismo, era amica di Mank, ma non ci sono prove del fatto che andò da lui, a Victorville, dopo aver saputo che lui stava scrivendo un film con diversi evidenti riferimenti a Hearst. Sembra anche che Davies, morta nel 1961 e autrice del libro The Times We Had, non volle mai nemmeno vederlo, quel film.
Charles Lederer
Nato nel 1910 e morto nel 1976, è stato un regista e soprattutto sceneggiatore, tra i tanti altri, anche di La signora del venerdì, Gli uomini preferiscono le bionde, Colpo grosso e Gli ammutinati del Bounty. Sua zia, con la quale era cresciuto, era Marion Davies. Il telegramma che in Mank (il film) Mank (lo sceneggiatore) gli manda (quello sui tantissimi soldi da fare, con un concorrenza di scarsissima qualità ) in realtà fu mandato, sempre da Mank, al drammaturgo Ben Hecht (anche uno dei personaggi del film) che ne parlò nella sua autobiografia A Child of the Century. Non ci sono prove che Mank mandò un telegramma di quel tipo anche ad altri, ma è vero che lui contribuì a reclutare nuovi sceneggiatori per la MGM.
Upton Sinclair
Fu un giornalista e scrittore: La giungla, il suo libro del 1906 sull’industria della carne e i suoi lavoratori, fu definito da Jack London «La capanna dello zio Tom degli schiavi salariati» e il film del 2007 Il petroliere prende spunto da un altro suo romanzo. Negli anni Quaranta vinse anche il premio Pulitzer per il romanzo Dragon’s Teeth, sull’ascesa al potere dei nazisti.
Sinclair si dedicò anche alla politica e dopo essere stato membro del Partito Socialista d’America, nel 1934 si candidò per il Partito Democratico alla carica di governatore della California. Il motto della sua campagna era “End Poverty In California”, il cui acronimo era EPIC, e in campagna elettorale Sinclair fece anche uscire il libro I, Governor of California, and How I Ended Poverty: A True Story of the Future, in cui raccontava la storia del futuro in cui lui, eletto governatore, aveva “cancellato la povertà”. Invece Sinclair perse: perché il suo socialismo faceva paura a molti, perché il suo essere un socialista diventato Democratico non piaceva a certi socialisti, e perché un terzo candidato, il progressista Raymond L. Haight, contribuì a togliere voti – diciamo di “centrosinistra” – a Sinclair.
E poi perché, come in parte raccontato da Mank, quasi tutto il cosiddetto establishment si oppose apertamente alla candidatura di Sinclair. E le potenti e influenti case cinematografiche della Hollywood di quegli anni produssero davvero – anche se con dinamiche un po’ diverse da quelle raccontate nel film – cinegiornali di propaganda a favore di Merriam, che Fincher (il regista di Mank) ha definito «anteprime delle fake news di oggi».
Dopo la sconfitta Sinclair lasciò la politica e scrisse, tra le altre cose, il libro I, Candidate for Governor: And How I Got Licked, in cui raccontava le tecniche usate da Merriam e dai suoi sostenitori. Certe posizioni e azioni proposte da Sinclair – che disse «gli americano accetteranno il socialismo, ma solo con un altro nome» – sono considerate da alcuni parte dell’influenza alla base del New Deal, il grande piano di riforme promosso da Franklin D. Roosevelt.
Louis B. Mayer
Nato nel 1882 in quello che ancora era l’impero russo e quando ancora il suo nome era Lazar Meir, a inizio Novecento Mayer divenne proprietario di una serie di sale cinematografiche. Poi andò a Hollywood, dove fu tra i fondatori della Metro-Goldwyn-Mayer: la MGM, una storica casa di produzione di Hollywood, quella del leone ruggente, di cui divenne anche capo, mettendo a frutto una proficua collaborazione con il produttore Irving Thalberg. Mayer non è di certo raccontato come il più accomodante dei capi, ma è certo che sotto la sua gestione la MGM andò benissimo, per anni. Nel 1927 fu anche fondatore dell’AMPAS, l’associazione che assegna gli Oscar.
Mayer, che nei primi anni Trenta fu capo del Partito Repubblicano della California, si schierò con forza contro la candidatura a governatore dello stato del Democratico Upton Sinclair e impose ai dipendenti della MGM di rinunciare a un giorno del loro stipendio per donarlo alla campagna del Repubblicano Frank Merriam. È anche vero, come mostra Mank e come racconta il libro Lion of Hollywood, che in un’altra occasione chiese ai dipendenti di rinunciare a parte del loro stipendio, promettendo di ripagarlo in seguito (cosa che poi non fece).
Irving G. Thalberg
Nato nel 1899 e anche lui tra i fondatori dell’AMPAS, è il produttore a cui è dedicato il premio alla memoria Irving G. Thalberg, un premio legato agli Oscar e dedicato ai produttori «il cui lavoro riflette una qualità costantemente elevata della produzione cinematografica». Thalberg era sposato con l’attrice Norma Shearer e Groucho Marx disse di lui: «Presumo che di geni nel cinema ce ne fossero un certo numero, ma io ne conobbi uno solo. Si chiamava Irving Thalberg, ed era talmente dotato che hanno perfino dato il suo nome a un palazzo della MGM».
Visto la realtà storica – ben diversa da quella cinematografica – sulle posizioni politiche (perlomeno quelle note e quindi pubbliche) di Mank, sembra improbabile che Thalberg lo obbligò a donare soldi alla campagna di Merriam. È anzi probabile, come ha scritto il sito History vs. Hollywood, «che Mank donò quei soldi volontariamente». Lo stesso sito scrive anche che «la più grande deviazione del film dalla realtà» sta nel fatto che non ci sono prove per dire che fu Mank, né direttamente né indirettamente, a dare a Thalberg l’idea dei finti cinegiornali. A questo proposito, bisogna anche dire che il personaggio di Shelly Metcalf (il regista dei cinegiornali) è del tutto inventato. A dirigerli fu Felix Feist Jr, e non ci sono elementi per dire che poi che se ne crucciò più di tanto.
Joseph L. Mankiewicz
Fratello minore del co-sceneggiatore di Quarto Potere, anche lui arrivò a Hollywood nella seconda metà degli anni Venti. Ma a differenza del fratello (di 13 anni più anziano di lui), oltre alla scrittura, Joseph si dedicò anche alla regia. Con notevolissimi risultati: nel 1950 e nel 1951 vinse quattro Oscar, per le regie e le sceneggiature di Lettera a tre mogli e per il molto più ricordato Eva contro Eva. E fu anche regista e sceneggiatore del Giulio Cesare con Marlon Brando e del colossal Cleopatra, quello lungo più di tre ore (in certe sue versioni persino più di quattro) con Elizabeth Taylor e Richard Burton. La carriera di Joseph L. Mankiewicz è stata grande e lunga, iniziata quando ancora il cinema muto doveva lasciare del tutto il passo al sonoro e finita nel 1972, con la regia del film Gli insospettabili. Tornando a Mank, Slate ha fatto notare che secondo diversi biografi, Joseph L. Mankiewicz – morto nel 1993 – scrisse per la radio dei testi di propaganda contro Sinclair.
John Houseman
Nato a Bucarest nel 1902, arrivò negli Stati Uniti nel 1925 e poco più di dieci anni dopo fondò con Welles il Mercury Theatre. Arrivò a Hollywood con Welles, e finì – tra le altre cose – per vincere un Oscar per il suo ruolo in Esami per la vita, del 1973, e per fare il produttore. Un’importante differenza rispetto a quanto mostrato in Mank è che, mentre c’era da scrivere la sceneggiatura di Quarto Potere, Houseman – che fu in effetti chiamato da Welles per controllare e tenere a bada Mank così che scrivesse senza troppe distrazioni – visse con lui a Victorville (e raccontò che per farlo bere, ma non troppo, era solito portarlo a un vicino bar per bere ogni sera un bicchiere, uno solo, di scotch).
A proposito dell’intricata vicenda su chi abbia davvero scritto Quarto Potere, nel 1962 Houseman spiegò di ritenerla «essenzialmente di Mank» e disse: «Penso che Welles abbia sinceramente pensato di aver scritto da solo Quarto Potere e ogni altra cosa che abbia mai diretto; fatta eccezione – forse – per le opere teatrali di Shakespeare».
Orson Welles
Per gran parte del film è quasi solo una voce, una presenza che si materializza per lo più nelle discussioni tra Houseman e Mank. Ma poi arriva, per parlare con Mank della sceneggiatura. La sua vita e la sua incredibile carriera – da attore, regista e sceneggiatore – qui non ci stanno, ma è fuori da ogni dubbio che Quarto Potere, uscito giusto una decina di anni dopo l’arrivo del sonoro, cambiò diverse cose nel modo di fare e di guardare i film, grazie a certe tecniche di racconto e ripresa, ribaltando certi aspetti che già allora erano diventati cliché e inventando cose che da lì in poi diventarono la nuova norma.
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È certo che Mank, anche grazie alla sua conoscenza diretta con Hearst, diede un grande contributo alla prima stesura di Quarto Potere (che si intitolava American), ma ci sono anche diverse prove del fatto che prima e dopo quella stesura Welles lavorò molto, da solo e con Mank, a quelle pagine. La sintesi di Hollywood vs. History è che «Mank elaborò una solida base per la storia, e che Welles la trasformò nel progetto per un capolavoro». Robert L. Carringer, che nel 1978 – dopo diversi altri articoli pro Mank e pro Welles – provò a mettere ordine alla questione, scrisse che Mank era in effetti l’autore principale della prima versione, più lunga, articolata e basata sulla vita di Hearst, e che però il contributo di Welles, che tra le altre cose sfumò certi riferimenti a Hearst, fu «sostanziale e inequivocabile».
Al di là del film in sé, la questione su chi scrisse Quarto Potere diede il via a un lungo dibattito su chi dovesse essere considerato “autore” di certi film: molto-molto in breve, solo chi li aveva diretti, oppure anche – e a volte pure di più – chi li aveva pensati?
Non si è mai davvero saputo, invece, perché Mank scelse (e Welles accettò) di ispirarsi proprio a Hearst. Il motivo raccontato da Fincher in Mank è quasi certamente inventato, ma – come ha scritto Slate – cinematograficamente giustificabile, perché «non puoi fare un film che parla di Quarto Potere senza un protagonista con una inguaribile cicatrice».
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