Cosa non ha funzionato con il reddito di cittadinanza
Non solo non è servito a dare un nuovo lavoro ai beneficiari come si sperava, ma ora anche chi lo ha progettato vuole cambiarlo
A un anno e dieci mesi dalla sua introduzione, il reddito di cittadinanza non è riuscito a centrare uno dei due obiettivi per cui era stato pensato: l’attivazione del mercato del lavoro. L’altro obiettivo, parzialmente raggiunto, è il contrasto alla povertà. L’ambizione di raggiungere entrambi i risultati non è stata soddisfatta: lo dicono i dati e lo dicono soprattutto alcuni dei politici che hanno sostenuto con forza questa misura approvata a metà gennaio 2019 dal primo governo Conte, formato grazie a un’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Lega. L’autocritica non arriva dalla Lega, ora all’opposizione, ma da Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e capo politico del Movimento 5 Stelle fino a gennaio 2020.
Di Maio ha inviato al Foglio un lungo intervento in cui ha spiegato il suo “piano trasversale per l’Italia del futuro”, cioè una serie di proposte politiche per rilanciare l’economia italiana dopo l’emergenza coronavirus. Nel punto intitolato “Lavoro e welfare”, Di Maio ha scritto che è «opportuno in questa fase ripensare alcuni meccanismi separando nettamente gli strumenti di lotta alla povertà dai sostegni al reddito in mancanza di occupazione. Già in più di una occasione ho ribadito la necessità di affinare lo strumento del reddito di cittadinanza, motivando i percettori a svolgere lavori socialmente utili». Le parole più importanti di questo passaggio sono “separando nettamente”. Sono parole importanti perché sconfessano l’obiettivo originario e “duale” del reddito di cittadinanza, da sempre definito “una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà”.
Negli ultimi mesi non sono mancate altre critiche. A fine settembre, in collegamento con il festival dell’economia di Trento, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva detto che l’Italia era «assolutamente in ritardo sul progetto di inserimento nel mondo del lavoro». Il 30 novembre, invece, il presidente dell’INPS Pasquale Tridico ha detto di vedere «il reddito di cittadinanza come uno strumento di sostegno al reddito, di lotta alla povertà, piuttosto che di politiche attive».
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Ma i limiti del reddito di cittadinanza non sono una novità. Già durante la fase di approvazione della misura, infatti, molti esperti avevano avvertito che sarebbe stato necessario riformare il rapporto tra regioni, comuni, centri per l’impiego e ANPAL, cioè l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. I problemi più grandi, infatti, sono emersi a causa del mancato coordinamento tra questi enti. Insomma, non si riesce ancora a capire “chi-fa-cosa”. La crisi dell’occupazione, aumentata con l’arrivo dell’epidemia da coronavirus, ha aggravato una situazione già difficile.
Tutti i numeri del reddito di cittadinanza
Il reddito di cittadinanza è un sussidio di disoccupazione pensato per le famiglie che si trovano in difficoltà economica. Non è universale e perenne, ma temporaneo, e vincolato alla partecipazione delle persone che lo ricevono a un percorso di inserimento lavorativo. Da aprile 2019 viene destinato solo ai cittadini italiani o a chi risiede in Italia da almeno 10 anni. Ci sono anche parametri economici per ricevere il sostegno economico: il nucleo famigliare deve avere un valore ISEE inferiore a 9.360 euro. L’ISEE è un indicatore che accerta lo stato economico di una famiglia: comprende non solo il reddito complessivo annuo, ma anche rendite e beni di proprietà.
L’assegno è mensile e non ha un importo fisso: dipende dal numero di componenti della famiglia, dall’ISEE, dalle eventuali integrazioni per pagare l’affitto. In ogni caso, l’importo minimo è di 480 euro l’anno.
A inizio novembre INPS ha pubblicato gli ultimi dati che mostrano quante persone ricevono il reddito di cittadinanza in tutta Italia. Da aprile 2019 a ottobre 2020 sono state presentate 2 milioni e 564mila domande.
Rispetto al totale delle domande presentate, ne sono state accolte 1 milione e 541mila e ne sono state respinte 575mila. Risultano ancora sotto esame 447mila domande. La misura sostiene economicamente 832mila famiglie per un totale di 2 milioni e 49mila persone coinvolte. L’assegno ha un importo medio di 550 euro al mese. La pensione di cittadinanza, invece, è la versione del reddito di cittadinanza per le persone sopra i 67 anni: viene ricevuta da 138mila nuclei famigliari, per un totale di 157mila persone coinvolte. In questo caso l’importo medio dell’assegno è inferiore: 246 euro.
Nell’ultimo aggiornamento dei dati, INPS ha aggiunto anche un numero importante, cioè quante persone hanno terminato il primo periodo di erogazione che dura 18 mesi. In tutta Italia sono 381mila le domande che sono considerate “terminate”, ma per 298mila è già stato chiesto il rinnovo.
Anche la distribuzione geografica è interessante: 685mila domande sono state presentate da persone che abitano nelle regioni del nord, 416mila nel centro e 1 milione e 462mila al sud.
In questa mappa viene visualizzata la percentuale di persone coinvolte nel reddito di cittadinanza rispetto alla popolazione residente nelle singole province.
Finora sono stati distribuiti alle famiglie 9 miliardi e 702 milioni di euro. Al momento, il picco mensile di spesa è stato toccato a settembre 2020 con 674 milioni di euro. A ottobre la spesa è calata a 460 milioni di euro per effetto della conclusione del primo ciclo di erogazione da 18 mesi.
I problemi sono tanti
I problemi del reddito di cittadinanza sono tanti e quasi tutti legati a quelle che vengono chiamate “politiche attive per il lavoro”, cioè volte alla ricerca del lavoro per i beneficiari della misura di sostegno. A un anno e dieci mesi dalla partenza del reddito di cittadinanza, infatti, non è ancora chiaro quante persone abbiano davvero trovato un lavoro. A differenza del numero degli assegni erogati, diffuso ogni mese dall’INPS, non esiste nessun report periodico che spieghi quanti contratti sono stati firmati e di che tipo.
Alcuni numeri sono stati diffusi da Domenico Parisi, presidente di ANPAL, in audizione alla commissione Lavoro della Camera, a inizio novembre. Parisi ha detto che al 31 ottobre, 352mila persone hanno avuto almeno un rapporto di lavoro «successivamente alla domanda per ottenere il reddito di cittadinanza». Si tratta del 25,7% del totale di 1 milione e 369mila persone tenute alla sottoscrizione del “Patto per il lavoro”, cioè le persone che possono lavorare e non sono in condizioni tali da chiedere l’aiuto dei servizi sociali.
Sempre al 31 ottobre, però, risulta che i contratti di lavoro attivi fossero 192mila. Per tutti gli altri, quindi, il contratto di lavoro era già stato rescisso perché scaduto, oppure per altri motivi. Solo il 15,4% dei beneficiari ha firmato un contratto a tempo indeterminato, il 4,1% un contratto di apprendistato, e il 65% ha ottenuto un contratto a termine. Gli altri beneficiari hanno avuto collaborazioni o contratti intermittenti.
Durante l’audizione alla commissione Lavoro, Parisi ha dato qualche numero anche sulla distribuzione territoriale. In provincia di Trento, il 47,5% di chi ha firmato il “patto per il lavoro” ha trovato un impiego. La percentuale scende al 35,8% in Veneto, al 37% in Emilia-Romagna e al 31,1% in Lombardia. In Calabria la percentuale è al 24,1%, al 19,2% in Sicilia e al 19% in Campania.
Questi dati, però, sono molto diversi da quelli citati in un documento pubblicato dalla stessa ANPAL a febbraio 2020 e intitolato “Lo stato di avanzamento della Fase 2 del Reddito di Cittadinanza”. Nel report era stato detto che «alla data del 10 febbraio 2020, i beneficiari del RdC che hanno avuto un rapporto di lavoro dopo l’approvazione della domanda sono 39.760». Quindi da febbraio e fino al 31 ottobre sarebbero stati firmati 152mila nuovi contratti di lavoro. Un divario che ha suscitato qualche dubbio.
Un’altra incognita riguarda il ruolo dei navigator, cioè i nuovi dipendenti di ANPAL assunti per aiutare i beneficiari del reddito di cittadinanza a trovare un lavoro. Sono tremila in tutta Italia. Dai dati, però, non è possibile sapere quali siano i risultati concreti del loro lavoro. I 352mila nuovi rapporti di lavoro dichiarati da Parisi sono stati firmati «successivamente alla domanda per ottenere il reddito di cittadinanza»: al momento, quindi, non si riesce a capire quanti contratti siano stati firmati con l’aiuto dei navigator e quanti in autonomia.
Il lavoro di chi trova lavoro, cioè dei navigator, è un altro problema. Il contratto dei tremila dipendenti di ANPAL scade ad aprile 2021 e non si sa ancora se il governo riuscirà a trovare i soldi per rinnovarlo.
Tra i tanti ritardi, uno degli obblighi previsti dal reddito di cittadinanza è più in ritardo degli altri. Si tratta dell’adesione ai PUC, i progetti utili alla collettività: piccoli lavori di volontariato, come la manutenzione di beni pubblici o la pulizia di parchi e giardini. Chi riceve il sostegno dovrebbe svolgere almeno 8 ore settimanali, aumentabili fino a 16.
I progetti utili alla collettività devono essere organizzati dai comuni in collaborazione con i centri per l’impiego e ANPAL. Al momento, però, sono poche le convenzioni sottoscritte dalle amministrazioni. L’epidemia da coronavirus, inoltre, ha causato nuovi ritardi. Non è mai stato diffuso nessun report per spiegare a che punto sono i progetti utili alla collettività.
I controlli
Fin dall’avvio del reddito di cittadinanza, i titoli e gli articoli che hanno trovato più spazio sui giornali riguardano i tentativi di alcuni beneficiari di percepire l’assegno senza avere i requisiti. Dal punto di vista politico e comunicativo, è uno dei problemi più difficili da gestire per il governo. Ed è uno dei tanti motivi che hanno spinto Conte e Di Maio a parlare di una revisione della misura. Secondo il bilancio operativo della Guardia di Finanza, nel 2019 sono state denunciate 709 persone per “indebite percezioni del reddito di cittadinanza”.
L’ultimo caso è del 19 novembre: la Guardia di Finanza di Agrigento ha sequestrato 19 “social card”, appartenenti a «soggetti sottoposti a misura detentiva per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, attualmente detenuti, nonché per reati associativi finalizzati al traffico di sostanze stupefacenti, furto, ed altri reati comuni». Hanno ricevuto 110 mila euro senza averne diritto. Uno dei requisiti per accedere al reddito di cittadinanza, infatti, è non aver ricevuto condanne per gravi delitti.
L’1 dicembre il Garante per la protezione dei dati personali ha approvato le misure per acquisire informazioni indispensabili per effettuare controlli più puntuali. Grazie a questa approvazione potranno essere verificati molti dati: possesso di beni immobili, intestazione di autoveicoli, ricovero in strutture pubbliche di lunga degenza, condanne o misure cautelari personali. In questo modo i tentativi di percepire indebitamente l’assegno dovrebbero essere scoperti in anticipo rispetto a quanto avvenuto finora.
Cosa succede adesso
Tutto quello che non ha funzionato rischia di compromettere il futuro del reddito di cittadinanza così come è stato pensato. La legge di Bilancio prevede uno stanziamento di quattro miliardi in più in 9 anni. La dotazione per il reddito di cittadinanza, si legge nella prima versione della manovra, è incrementata di 196,3 milioni di euro per il 2021, e 477 milioni all’anno strutturali dal 2029.
Durante l’audizione in commissione Bilancio del 23 novembre, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha detto che «sarà necessario integrare ulteriormente» le risorse per il reddito di cittadinanza. Insomma, se continuerà la crescita dei beneficiari, i soldi stanziati non basteranno.
Come già spiegato, c’è la volontà politica di confermare il reddito di cittadinanza, ma con qualche modifica. Al momento, però, ci sono solo dichiarazioni e nessuna ipotesi operativa.