Come va il sistema di accoglienza dei migranti in Italia, in numeri
Tra le altre cose: quante richieste di asilo sono state presentate in Italia? Quanti sono stati gli esiti positivi? (pochi) E quanti rifugiati ci sono?
Il numero di persone in fuga dal loro paese e in cerca di protezione cresce in tutto il mondo e in Europa aumentano le richieste di domande d’asilo, ma non è così in Italia. Nel 2019 le domande d’asilo sono diminuite del 18 per cento rispetto al 2018: sono state 43.783, cioè meno di una ogni mille abitanti. E sebbene le richieste esaminate siano state 93 mila a causa degli arretrati degli anni passati, gli esiti positivi sono stati il 34 per cento. Secondo la Fondazione Migrantes – legata alla Conferenza Episcopale Italiana – che presenta oggi il Report 2020 sul diritto d’asilo, è il segno «che il nostro paese vede decrescere la sua capacità di riconoscere e dare protezione». Abbiamo scelto dieci dati per raccontare i problemi delle persone migranti nel mondo e nel nostro paese, e verificare la tenuta del sistema di accoglienza in Italia.
1 – Richieste d’asilo respinte nel 65 per cento dei casi
Dai dati EUROSTAT, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, risulta che nel 2019 le domande di asilo in Europa siano aumentate rispetto al 2018 di circa l’11 per cento arrivando ad essere in totale 676.250: di queste, circa 17.700 sono state fatte da minori stranieri non accompagnati. L’aumento ha avuto ricadute su pochi paesi dell’UE, tre in particolare: Francia, Germania e Spagna, che hanno ricevuto più della metà di tutte le domande d’asilo complessive dell’Unione. In Italia, per il secondo anno consecutivo, le domande d’asilo sono diminuite: del 18 per cento rispetto al 2018. Le richieste sono state in totale 43.783, cioè meno di una richiesta d’asilo ogni mille abitanti.
I paesi dell’Unione Europea sono riusciti ad analizzare solo 540 mila delle oltre 670 mila domande presentate e gli esiti che si sono avuti sono stati positivi per quasi 300 mila persone (più del 60 per cento). In Italia, le domande analizzate nel 2019 a fronte di 43.783 richieste sono state 93 mila poiché c’erano molti arretrati dagli anni passati, ma gli esiti positivi sono stati solo il 34 per cento. Per circa il 65 per cento (61.588 persone) l’esito è stato per ora negativo e non è stata dunque riconosciuta alcuna protezione.
Il rapporto dice: «L’Italia in Unione europea, nel 2019, rappresenta un’eccezione in controtendenza: mentre cioè il numero di persone in fuga e in cerca di protezione nel mondo cresce, e di conseguenza anche le richieste di domande d’asilo in Europa crescono, il nostro paese vede decrescere le sue domande d’asilo e anche la sua capacità di riconoscere e dare protezione diminuisce. (…) I decreti sicurezza e le chiusure dei porti portano a lasciare fuori del paese e senza un permesso di soggiorno un numero molto elevato di persone fragili e in cerca di protezione».
2 – Nel 2020 un richiedente asilo su cinque ha ottenuto protezione
Nei primi sei mesi del 2020, le nuove richieste d’asilo nell’Unione Europea sono state meno di 200 mila: c’entrano le restrizioni e i lockdown conseguenti alla pandemia. In Italia, nei primi otto mesi del 2020 sono stati riconosciuti meno di 5.900 benefici fra status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione speciale: in generale, un richiedente asilo su cinque ha ottenuto uno dei tre riconoscimenti.
3- Tre rifugiati ogni mille abitanti
Oggi vivono in Italia circa 208 mila persone rifugiate (cioè persone con uno status di protezione): all’incirca tre ogni mille abitanti. In Francia il rapporto è di sei ogni mille e in Grecia di otto ogni mille. A Malta di venti ogni mille.
4 – I 22 milioni alla Libia
La Libia ci riguarda. Lo scorso luglio, la Camera aveva approvato il rifinanziamento delle missioni militari internazionali: 10 dei 58 milioni di euro stanziati sono andati alla missione bilaterale di assistenza alla cosiddetta Guardia Costiera libica, compresa la formazione e l’addestramento, 3 milioni in più rispetto allo scorso anno. Dalla firma del controverso Memorandum d’intesa (PDF) di accordo Italia-Libia del 2017, che prevedeva un sostegno diretto alla Guardia Costiera libica, i fondi stanziati dall’Italia sono saliti a 22 milioni.
Negli ultimi anni giornali italiani e internazionali e inchieste delle Nazioni Unite hanno raccontato estesamente come la cosiddetta Guardia costiera libica, che dovrebbe pattugliare 600 chilometri di costa libica e fermare i migranti che vogliono andare in Europa, sia di fatto gestita dalle stesse milizie che guadagnano anche con il traffico di esseri umani e con la gestione dei centri di detenzione per migranti; e hanno mostrato come in questi centri i migranti subiscano violenze, torture, abusi e violazioni dei loro diritti fondamentali.
I rifugiati e le persone migranti rinchiuse nei centri di detenzione “governativi” risultano, da una stima dello scorso settembre, 2.400. Ma, dice il rapporto, «un numero sconosciuto di persone è prigioniero in centri di detenzione “non ufficiali” e magazzini, gestiti da trafficanti di esseri umani».
I rifugiati e le persone migranti intercettate dalla Guardia costiera libica e fatte sbarcare nel paese, dal primo gennaio al 30 settembre 2020, sono state 8.998. Ogni 10 rifugiati e migranti che sono riusciti a sbarcare in Italia o a Malta, se ne contano tre che sono stati intercettati e riportati in Libia. Alla fine di agosto gli intercettati di quest’anno erano 7.825 (più 32 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019): soprattutto sudanesi (2.073) ma anche bengalesi, maliani, nigeriani, ivoriani, guineani, somali, marocchini, camerunensi, egiziani; si trattava di 5.794 uomini, 504 donne, 544 minori e 983 di genere ed età non registrati.
Dal 2016 al 30 settembre 2020 i rifugiati e i migranti intercettati e fatti sbarcare in territorio libico sono 63-67 mila (a seconda che si considerino i dati rispettivamente di UNHCR e OIM).
Il rapporto riporta anche le conclusioni del progetto “Forensic Oceanography” della Goldsmiths University of London, che ha studiato 13 casi di tentati “respingimenti privatizzati” nel Mediterraneo centrale, avvenuti fra il luglio 2018 e il maggio 2019: si tratta di casi in cui le autorità di stato si sono servite di navi mercantili, dopo un salvataggio di migranti, per respingimenti con gravi sospetti di illegalità. In 11 casi il respingimento ha avuto successo: fra questi, otto si sono conclusi in Libia, e tre in Tunisia. «Da pratica marginale ed episodica, dal luglio 2018 i respingimenti privatizzati sono diventati strutturali», dice il report. A fine 2019, i giuristi del Global legal action network (GLAN) per la prima volta hanno denunciato l’Italia al Comitato ONU per i diritti umani per conto di un migrante fuggito dalla Libia coinvolto in uno di questi episodi.
5 – Quasi 3mila minori stranieri non accompagnati
Sono 2.978 i nuovi minori stranieri non accompagnati segnalati in territorio italiano al 28 settembre 2020 (erano stati 6.251 in tutto il 2019). Sono arrivati soprattutto da Bangladesh, Egitto, Albania, Afghanistan e Tunisia. La principale regione di arrivo è la Sicilia (33 per cento del totale), ma seguono due regioni raggiunte via terra attraverso la “rotta balcanica”: il Friuli Venezia Giulia (17 per cento) e la Lombardia (13 per cento).
Sono 706 i minori stranieri non accompagnati che si sono allontanati dall’accoglienza, sempre nel primo semestre 2020, e sono 5.016 quelli in accoglienza in Italia al 30 giugno 2020.
Gli esiti della richiesta di protezione in Italia dei minori stranieri non accompagnati:
6 – Due morti e dispersi ogni 100 arrivi nel Mediterraneo centrale
Nel 2020, la “rotta” migratoria del Mediterraneo centrale ha visto una forte crescita degli arrivi di rifugiati e migranti in Italia rispetto ai due anni precedenti. La gran parte degli sbarchi in Italia, oggi, avviene in maniera autonoma. E meno di un rifugiato su cinque è soccorso dalle ONG.
Il Mediterraneo centrale rimane il settore più pericoloso per la vita delle persone in fuga o in viaggio: secondo i dati provvisori per il 2020 (probabilmente sottostime del fenomeno reale), la rotta verso l’Italia e Malta totalizza il 70 per cento dei morti e dispersi registrati in tutto il Mediterraneo: due morti e dispersi ogni 100 arrivi a Malta e in Italia. Nel 2019 c’è stata la percentuale più alta di sempre: otto morti e dispersi ogni 100 arrivi. Solo fra 2015 e 2020 i morti e i dispersi sulla rotta sono stati oltre 13.600.
7 – I porti chiusi e i tempi di attesa
In due anni, fra la metà del 2018 e la fine dell’estate 2020, le situazioni di “stallo” in cui si sono trovate le navi con migranti soccorsi a bordo sono state 61, da quella della nave Aquarius del 6-17 giugno 2018 a quella della Open Arms dell’11-18 settembre 2020. Ben 43 crisi su 61 si sono concluse in Italia (fra queste, in due casi ha contribuito alla soluzione anche Malta; le restanti 18 situazioni di stallo sono terminate a Malta, in Spagna o in Tunisia).
In media, nel periodo del primo governo Conte, il tempo di attesa in mare per le navi è stato di circa 10 giorni, mentre nel periodo del secondo governo Conte è stato di sei.
8 – Solo un quarto dei Comuni coinvolti nel sistema di accoglienza
Per quanto riguarda le modalità con cui viene gestito il flusso degli arrivi e il sistema dell’accoglienza, manca in Italia (nonostante siano anni che le cose vanno così) un sistema permanente, uniforme e coordinato sia dal punto di vista della normativa che, di conseguenza, dal punto di vista delle procedure.
A fine settembre 2020 il totale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nei servizi di accoglienza italiani, circa 82.100 persone, ha toccato il minimo dell’ultimo periodo, dice il rapporto: un valore così basso lo si trova solo nel 2014 (66.066 persone accolte a fine anno). Rispetto al valore massimo di fine 2017, oggi l’accoglienza si è più che dimezzata.
Quelli che dovevano essere i centri di accoglienza “straordinaria” (CAS) sono rimasti il tipo di struttura più diffuso e che sostiene, di fatto, l’accoglienza in Italia: nell’autunno del 2019 accoglievano quasi 70 mila persone, contro le appena 25 mila nei progetti della rete di enti locali del SIPROIMI (l’ex SPRAR, che si basa sulla partecipazione volontaria degli enti locali e sulla loro collaborazione). Questa rete coinvolge oggi circa 1.800 comuni (come titolari di progetto o anche solo come sede di una struttura): meno di un quarto del totale nazionale.
Il rapporto aggiunge che tra i “luoghi di accoglienza”, nel 2020 si potrebbero anche inserire le navi quarantena anti-Covid-19. La prima nave è entrata in servizio in aprile e alla fine di settembre erano già cinque, con oltre 2 mila persone a bordo. Una scelta che comunque è stata molto contestata.
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9 – Gli sfollati interni
A fine 2019, nel mondo, le persone costrette a fuggire da guerre o persecuzioni che sono rimaste all’interno del paese di origine sono più di 50 milioni: 45,7 per conflitti o violenze (il peggior dato di sempre) e 5,1 per disastri ambientali. Sono 8,5 milioni i nuovi sfollati riferiti al solo 2019 a causa di conflitti e violenze.
10 – I nuovi sfollati per disastri ambientali
I nuovi sfollati per disastri ambientali, nel solo 2019, sono 24,9 milioni. La percentuale di nuovi sfollati, rispetto al totale, che i disastri ambientali hanno prodotto nella macro-regione Asia orientale e Pacifico è pari al 39 per cento (Filippine 4,1 milioni, Cina 4 milioni). La percentuale di nuovi sfollati, rispetto al totale, che i disastri ambientali hanno prodotto nella macro-regione Asia meridionale, è invece pari al 38 per cento: l’India è al primo posto con 5 milioni di persone, ed è anche il paese con il numero più elevato al mondo, segue il Bangladesh (4,1 milioni di persone).
Sono 916 mila i nuovi sfollati da disastri ambientali registrati negli Stati Uniti, e 101 mila quelli fra Europa e Asia centrale.
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