Come i medici di famiglia devono trattare la COVID-19
Un documento del ministero della Salute spiega quali terapie prescrivere ai malati in casa con sintomi lievi, e quando fare intervenire il 112
Il ministero della Salute ha pubblicato un documento che spiega come trattare la malattia COVID-19 a casa, e quando è necessario chiamare i soccorsi in caso si aggravino le condizioni di salute. Il documento si chiama “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2”: è stato pubblicato soprattutto per dare indicazioni precise ai medici di famiglia. Le ultime linee guida ufficiali, infatti, erano state diffuse nei primi mesi dell’emergenza, a marzo. Da allora le terapie sono cambiate e sono stati studiati nuovi protocolli, a livello nazionale e internazionale.
A metà novembre, per esempio, gli Ordini dei medici di tutte le province della Lombardia hanno trasmesso una circolare che contiene una serie di indicazioni per tutti i medici di famiglia. Il ministero della Salute è intervenuto con un documento definitivo che delinea un’unica strategia, con prescrizioni che devono essere seguite in tutta Italia.
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Il decorso clinico
La prima parte del documento mostra le tre fasi del decorso clinico. Nella prima fase della malattia, i sintomi più comuni sono malessere generale, febbre e tosse secca. Chi non migliora ed entra nella seconda fase affronta sintomi più gravi, come polmonite interstiziale, molto spesso bilaterale. Bisogna prestare attenzione anche in caso di sintomi lievi. Il documento del ministero, infatti, spiega che in questa fase della COVID-19 può verificarsi il fenomeno della cosiddetta “ipossiemia silente”, cioè una bassa ossigenazione del sangue e lesioni ai polmoni, ma in assenza di crisi respiratorie.
La terza e ultima fase è la più pericolosa, con i polmoni ormai compromessi e la possibilità di avere trombosi dei piccoli vasi. «Questo gravissimo quadro clinico porta ad una ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) grave e in alcuni casi all’innesco di fenomeni di coagulazione intravascolare disseminata», quindi al blocco dei piccoli vasi sanguigni in tutto il corpo.
Il ministero spiega che i dati raccolti finora hanno mostrato un’associazione tra la malattia nella fase più grave e condizioni come «l’età avanzata, soprattutto oltre i 70 anni, il numero e la tipologia di patologie associate, il sesso maschile e la latenza tra l’inizio dei sintomi e la prima valutazione medica». Quindi è importante essere visitati da un medico in tempi rapidi, poco dopo la comparsa dei sintomi. Sono più a rischio le persone affette da ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, diabete mellito, insufficienza renale e malattia coronarica.
L’importanza del saturimetro
I malati con sintomi lievi dovrebbero essere comunque visitati dal medico di famiglia o dalle USCA, le Unità Speciali di Continuità Assistenziale, cioè squadre di medici e infermieri che hanno il compito di assistere i malati a domicilio. L’avanzamento della malattia, e gli eventuali rischi di un peggioramento, possono essere monitorati anche in autonomia dopo la prima visita del medico. Il parametro più importante da controllare è la saturazione dell’ossigeno nel sangue. Si può misurare grazie a un saturimetro, uno strumento che funziona a infrarossi e mostra la percentuale di ossigeno nel sangue di una persona.
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In pazienti sani adulti, non fumatori, è considerata normale una saturazione superiore a 95 per cento. «I pazienti affetti da Covid-19 a maggior rischio di mortalità sono quelli che si presentano con livelli più bassi di ossigenazione ematica», si legge nel documento. «Sulla base dell’analisi della letteratura scientifica disponibile ad oggi e sulla base delle caratteristiche tecniche dei saturimetri disponibili in commercio per uso extra-ospedaliero, si ritiene di considerare come valore soglia di sicurezza per un paziente COVID-19 domiciliato il 92 per cento di saturazione dell’ossigeno (SpO2) in aria ambiente».
Per valutare le condizioni in modo ancora più preciso, il saturimetro può essere utilizzato anche dopo due semplici test sotto sforzo. Sono chiamati “test del cammino” e “test della sedia”. Il test del cammino consiste nel camminare per un massimo di sei minuti lungo un percorso di 30 metri monitorando la saturazione dell’ossigeno.
Il test della sedia, invece, consiste nell’utilizzo di una sedia senza braccioli, alta circa 45 centimetri, appoggiata alla parete: il paziente, senza l’aiuto delle mani e delle braccia, deve eseguire in un minuto il maggior numero possibile di ripetizioni alzandosi e sedendosi con gambe piegate a 90 gradi, monitorando la saturazione dell’ossigeno.
Se le condizioni si aggravano, quindi se scende la percentuale di ossigeno nel sangue, il medico di famiglia deve valutare un eventuale ricovero in ospedale. Nel documento del ministero si trova uno schema che spiega quando serve l’intervento del 112.
Quali farmaci usare e quali no
La terapia da seguire per curare i malati con sintomi lievi è molto precisa. Nel documento vengono elencate tutte le azioni da seguire per garantire una corretta gestione del paziente da parte del medico (come sempre, si devono evitare soluzioni fai-da-te).
Si parte da una «vigile attesa» e dalla «misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno». Il passaggio successivo è l’utilizzo del paracetamolo, a cui seguono appropriata idratazione e nutrizione. Le normali terapie per malattie croniche non devono essere interrotte. Non vanno utilizzati con regolarità i farmaci corticosteroidi, cioè il cortisone. L’uso del cortisone a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti «il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri».
Non deve essere usata nemmeno l’eparina, indicata solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione. Niente antibiotici: il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di febbre persistente per oltre 72 ore.
Come già dimostrato da studi clinici, l’idrossiclorochina non è efficace e quindi non va somministrata. L’ultima raccomandazione avverte di non somministrare farmaci mediante aerosol se il malato è in isolamento con altri conviventi, perché aumenterebbe il rischio di circolazione del virus. Il ministero chiarisce, inoltre, che non esistono studi che dimostrino l’efficacia di vitamine e integratori alimentari contro la COVID-19.
Il farmaco davvero utile per la cura a casa, quindi, è il paracetamolo. In alternativa, sempre secondo le indicazioni del ministero, possono essere utilizzati anche farmaci FANS, cioè anti-infiammatori non steroidei, come l’aspirina o l’ibuprofene. Questi farmaci servono solo in caso di febbre, dolori articolari o muscolari (a meno che non esista chiara controindicazione all’uso). «Altri farmaci sintomatici potranno essere utilizzati su giudizio clinico», dice il ministero.
Gestire i malati in modo corretto nelle loro case è importante anche per evitare ricoveri inutili e quindi sovraffolamento negli ospedali, in particolare nei reparti di pronto soccorso. «Anche in occasione di questa seconda ondata pandemica, esiste la necessità di razionalizzare le risorse al fine di poter garantire la giusta assistenza a ogni singolo cittadino in maniera commisurata alla gravità del quadro clinico», spiega il ministero. «Una corretta gestione del caso fin dalla diagnosi consente di attuare un flusso che abbia il duplice scopo di mettere in sicurezza il paziente e di non affollare in maniera non giustificata gli ospedali e soprattutto le strutture di pronto soccorso».
Come dicevamo, le indicazioni contenute nel documento del ministero sono rivolte ai medici di famiglia che hanno in carico pazienti con infezione da SARS-CoV-2 e non vanno intese come istruzioni che i pazienti possono applicare in autonomia. In caso di dubbi, è sempre bene fare riferimento al proprio medico.