Manca poco all’approvazione dei primi vaccini
Moderna e Pfizer-BioNTech attendono che le autorità di controllo diano il loro parere: entro fine dicembre potrebbero essere distribuite le prime dosi, ma restano alcune domande
L’azienda statunitense di biotecnologie Moderna ha annunciato di avere avviato le pratiche negli Stati Uniti e in Europa per ottenere un’autorizzazione di emergenza per il proprio vaccino contro il coronavirus. Pochi giorni fa Pfizer-BioNTech avevano fatto altrettanto, dopo i risultati molto promettenti della loro soluzione. Entro fine anno potrebbe quindi essere approvato l’uso di due vaccini per rallentare la pandemia, a meno di un anno dall’avvio del loro sviluppo e della loro sperimentazione.
Moderna ha annunciato l’avvio della richiesta comunicando allo stesso tempo i risultati finali dei suoi test clinici, che hanno fatto rilevare un’efficacia del 94,1 per cento, in linea con il 94,5 per cento stimato alcune settimane fa in un’analisi preliminare basata su parte dei 30mila volontari che avevano partecipato alla sperimentazione. I casi di COVID-19 riscontrati sono stati 196: 185 si sono verificati nel gruppo che aveva ricevuto una sostanza che non fa nulla (placebo), mentre i restanti 11 nel gruppo che aveva ricevuto il vaccino vero e proprio.
Lo studio ha inoltre permesso di identificare 30 casi con sintomi gravi da COVID-19 nel gruppo del placebo, mentre tra i volontari con vaccino non sono stati rilevati casi gravi. Questa circostanza sembra indicare un’alta efficacia del vaccino nel ridurre i rischi di sviluppare anche le forme gravi della malattia, che nei soggetti più a rischio possono comportare diverse complicazioni e talvolta la morte.
Moderna non ha rilevato particolari differenze nell’efficacia al variare dell’età dei volontari o della loro provenienza geografica. Tra i 196 casi di COVID-19, 33 si sono verificati in persone anziane, tra le più a rischio.
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Dai nuovi dati non sono emersi particolari effetti avversi legati alla somministrazione del vaccino. I più comuni sono stati dolore nella sede dell’iniezione e mal di testa, effetti temporanei e che sono scomparsi in poco tempo, come avviene spesso dopo avere ricevuto una dose di un vaccino.
Sia Moderna sia Pfizer-BioNTech ritengono di avere raccolto materiale a sufficienza per richiedere un’autorizzazione di emergenza alla Food and Drug Administration, l’agenzia federale statunitense che si occupa di farmaci. L’avvio di queste pratiche consente di ottenere un’approvazione in tempi più rapidi rispetto al solito, mantenendo comunque alcuni passaggi per il controllo e l’analisi dei dati da parte dei responsabili dell’agenzia.
Il vaccino di Pfizer-BioNTech sarà rivisto da una prima commissione di esperti il prossimo 10 dicembre, mentre per quello di Moderna dovrebbe esserci una revisione il 17 dicembre. La commissione ha il compito di valutare i dati dei test clinici e di raccomandare o meno l’impiego dei nuovi vaccini, a cominciare dagli operatori sanitari e dalle fasce di popolazione più a rischio.
Salvo imprevisti, l’autorizzazione di emergenza per entrambi i vaccini dovrebbe essere concessa dalla FDA entro la fine dell’anno. Pfizer-BioNTech e Moderna sono inoltre al lavoro per ottenere le autorizzazioni necessarie nell’Unione Europea, che dovrebbero consentire di distribuire le dosi prima della fine di dicembre.
Inizialmente, le dosi disponibili saranno limitate a causa dei tempi tecnici necessari per produrle. Pfizer-BioNTech confidano di fornire almeno 25 milioni di dosi del vaccino negli Stati Uniti entro fine anno per 12,5 milioni di vaccinazioni (la somministrazione avviene con due dosi per persona a distanza di un mese). Moderna ha annunciato di poter produrre fino a 15 milioni di dosi entro la fine dell’anno, mentre sostiene che nel corso del prossimo dovrebbe arrivare a produrre fino a un miliardo di dosi.
Per quanto riguarda l’Europa, la Commissione Europea ha prenotato 80 milioni di dosi del vaccini di Moderna, con un’opzione per acquistarne altri 80 milioni. La Commissione ha inoltre prenotato 200 milioni di dosi da Pfizer-BioNTech, riservandosi di aggiungere un secondo ordine da 100 milioni di dosi. A queste si aggiungono le dosi prenotate da altre aziende farmaceutiche ancora al lavoro sui loro vaccini, come Sanofi-GSK e AstraZeneca.
I vaccini di Moderna e di Pfizer-BioNTech dovrebbero essere i primi a base di RNA messaggero (mRNA) a essere impiegati per un uso su larga scala, e anche per questo c’è molto interesse intorno alle loro soluzioni. L’mRNA è la molecola che si occupa di codificare e portare le istruzioni contenute nel DNA nelle cellule, per far produrre loro le proteine. Semplificando, il vaccino impiega forme sintetiche di mRNA – realizzate in laboratorio – che contengono le istruzioni per produrre alcune proteine specifiche del coronavirus. In questo modo il sistema immunitario impara a riconoscerle e a contrastarle, ma senza i rischi che si avrebbero nel caso di un’infezione con il coronavirus vero e proprio. Le conoscenze acquisite nel contrastare queste proteine possono poi essere impiegate dal sistema immunitario per contrastare un’eventuale infezione vera e propria.
I test clinici hanno rilevato questa capacità, oltre a confermare la sicurezza delle due soluzioni, entrambe da somministrare con due dosi a distanza di un mese. Questa circostanza e il fatto che le fiale devono essere tenute a -70 °C per Pfizer-BioNTech e a -20 °C per Moderna costituiranno una sfida logistica non indifferente. Il vaccino di Moderna potrebbe avere qualche vantaggio perché, una volta scongelato, si mantiene stabile in frigorifero per circa un mese, non rendendo necessario l’impiego di congelatori molto potenti (e costosi) nelle farmacie e negli ospedali.
La notizia dell’imminente approvazione dei due vaccini è positiva, ma gli esperti invitano a non farsi prendere troppo dall’entusiasmo. Solo dopo l’impiego su milioni di persone sapremo quale sia l’efficacia nella comunità del vaccino, rispetto a quella stimata nei test clinici con un numero limitato di individui (seppure piuttosto ampio). I due vaccini esistono inoltre da poco tempo e non è quindi possibile stabilire per quanto garantiscano una protezione, particolare strettamente legato alla capacità o meno del sistema immunitario di sviluppare un’immunità nel lungo periodo.