Il golf è lo sport perfetto per una pandemia
È uno dei pochi che si possono ancora praticare in Italia e che potrebbe finalmente ottenere la popolarità che cerca da anni
Il 7 novembre, nel mezzo della pandemia, mentre un pezzo di mondo cambiava con l’annuncio dell’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump fu fotografato mentre giocava tranquillamente a golf, aspettando l’annuncio dei risultati. L’iconografia di un uomo anziano e benestante, che si aggira in pantaloni comodi e cappellino da baseball su una distesa di erba verde è quella comunemente associata al gioco, ma è possibile che sarà frantumata nei prossimi mesi se, anche in Italia, il golf confermerà il successo e la vitalità che ha dimostrato negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Il golf, infatti, è una delle poche discipline risparmiate dalle restrizioni per contenere il coronavirus, perché non prevede contatti ma grandi distanze tra i giocatori e perché si può giocare all’aria aperta. In molti sono tornati a praticarlo dopo averlo abbandonato da anni mentre nuovi giocatori – adulti e bambini – si stanno avvicinando portando con sé lo spirito agonistico: c’è chi spera che diano uno scossone definitivo all’immagine di passatempo d’élite per uomini di mezza età e che lo rendano popolare e competitivo, un processo lento che in Italia è iniziato 30 anni fa e che non è ancora a buon punto.
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Negli Stati Uniti, il successo del golf in questi mesi di pandemia è stato palpabile e ha avuto una grande ripresa da maggio, dopo la chiusura di marzo e aprile. Golf Datatech, la più importante società d’analisi che raccoglie dati sul golf da 20 anni, ha calcolato che a maggio c’era stato un aumento di round (cioè un gioco con 18 buche completate) del 6 per cento rispetto allo stesso mese del 2019, che era salito al 14 per cento a giugno e al 20 per cento a luglio. Sempre a luglio, le vendite di equipaggiamento avevano raggiunto i 389 milioni di dollari (327 milioni di euro), l’aumento più alto dal 1997, e a maggio il Wall Street Journal scriveva che i carrelli da golf avevano venduto al punto da essere introvabili. Ora la National Golf Foundation, l’associazione che organizza il golf negli Stati Uniti, stima che entro la fine dell’anno il numero di golfisti junior (dai 6 ai 17 anni) potrebbe aumentare del 20 per cento rispetto al 2019 – si tratta di circa 500mila nuovi giocatori – e che nella seconda metà dell’anno la percentuale dei golfisti adulti nuovi o che sono tornati in campo dopo anni di pausa potrebbe arrivare al 20 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019.
In Regno Unito il gioco ha subìto più interruzioni: dopo la ripresa del 13 maggio è stato nuovamente sospeso dal 5 novembre al 2 dicembre, quando terminerà il secondo lockdown nel Paese. Anche qui, però, nei momenti di apertura la partecipazione è stata molto alta: nel mese di ottobre, in Inghilterra, Scozia e Galles è arrivata al 65 per cento in più rispetto all’ottobre precedente.
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In Italia non ci sono dati nazionali sul numero di giocatori, partite e nuove iscrizioni, che vengono rinnovate tra dicembre e gennaio; la Federazione Italiana Golf, l’associazione che regola e promuove lo sport in Italia, non li comunicherà prima della fine dell’anno. Tutti i presidenti di circoli con cui ha parlato il Post, però, hanno confermato degli ottimi numeri sin dalla riapertura, a inizio maggio, dei circa 300 campi distribuiti sul territorio nazionale, e che sono proseguiti anche grazie a un clima autunnale favorevole.
Diego Cancarini, direttore del Franciacorta Golf Club, in provincia di Brescia, ha raccontato che «dal primo giorno di riapertura, c’è stato un ritorno numerosissimo dei soci: non vedevano l’ora di poter uscire di casa e stare all’aria aperta in un campo da 80 ettari. C’è stato anche un incremento di neofiti che volevano iniziare a giocare, un po’ perché le palestre erano chiuse un po’ perché c’è meno voglia di entrare in un palazzetto e rischiare molti contatti. L’anno scorso avevano provato a giocare per la prima volta 80 persone, quest’anno siamo già a 140. Quello che è mancato sono stati i turisti stranieri, anche se a settembre e ottobre c’è stata una certa presenza di tedeschi e svizzeri».
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Anche Nicola Colombo, presidente del Golf Brianza Country Club a Usmate Velate, parla di «numeri importanti, soprattutto a novembre: rispetto all’anno scorso c’è stato un aumento sia per le gare del weekend che per gli allenamenti durante la settimana almeno del 50 per cento». La famiglia di Colombo gestisce altri due circoli nella provincia di Monza e Brianza, il Villa Paradiso a Cornate D’Adda e uno a 9 buche, quindi adatto ai principianti, a Camuzzago, che gli consentono una visione d’insieme e un certo ottimismo: «credo che nel prossimo periodo il golf potrebbe attirare nuovi giocatori, anche i più piccoli».
Il golf, infatti, sta cercando di sfruttare il vantaggio competitivo che si è ritrovato improvvisamente tra le mani a causa della pandemia: è rassicurante perché non c’è rischio di assembramenti e si gioca all’aperto in spazi scenografici, molto ricercati da chi era rimasto chiuso tra quattro mura durante il lockdown, due elementi di cui potrebbe beneficiare anche quando il contagio sarà contenuto ma molti preferiranno evitare comunque le masse. Ascanio Pacelli, general manager del club Terre dei consoli a Monterosi (Viterbo), golfista professionista e consigliere federale della Federazione Italiana Golf, precisa che «sul campo c’è già un distanziamento di almeno 4 metri e ognuno ha la propria attrezzatura individuale», per cui il rischio di contagio è «molto basso: già durante il primo lockdown bisognava capire che era uno dei pochi sport che si potevano tenere aperti e che andava valorizzato con la comunicazione».
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Per queste ragioni, il golf è uno dei pochi sport che si possono praticare in Italia in seguito all’approvazione del DPCM dello scorso 4 novembre, che per rallentare la diffusione della pandemia ha ripartito il Paese in tre zone a seconda della situazione epidemiologica. Il DPCM ha sospeso, tra le altre cose, tutte le attività sportive di contatto (trovate l’elenco qui) di carattere ludico-amatoriale, salvo che in forma individuale e all’aperto. Consente invece gli eventi, le competizioni e gli allenamenti di professionisti e non professionisti riconosciuti di interesse nazionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e dalle singole federazioni sportive nazionali.
Tra questi sport c’è, appunto, il golf: il 6 novembre la Federazione ha aggiornato le sue linee guida e il giorno successivo ha comunicato che sarebbero state permesse tutte le gare di professionisti e dilettanti considerate di interesse nazionale, cioè quelle pubblicate sull’annuario del golf (trovate le principali qui). I circoli sportivi all’interno di una zona rossa possono restare aperti e sono consentiti gli spostamenti per raggiungerli anche fuori dal proprio Comune di residenza, mentre ci si può spostare tra regioni, anche uscendo da una zona rossa, per partecipare a una gara di interesse nazionale.
Questo non significa che chiunque abbia voglia di giocare a golf possa farlo, travalicando le restrizioni di spostamento interregionale: è necessario essere iscritti alla Federazione e a una gara di circolo, altrimenti non ci si può nemmeno allenare sul campo. Non possono partecipare alle gare e agli allenamenti i cosiddetti giocatori non abilitati, cioè quelli che non hanno superato un primo esame pratico e teorico, né i dilettanti che non abbiano un handicap da migliorare (l’handicap è un vantaggio che viene dato ai dilettanti meno esperti per potere competere con i più bravi). Gli spostamenti infraregionali, poi, non valgono per tutti i giocatori: «per il 99 per cento si tratta di persone tra i 15 e i 40 anni che giocano per migliorare il loro ranking ufficiale, e che devono comunque allegare una lettera di presentazione del circolo», spiega Pacelli.
La decisione di mantenere i circoli aperti in zona rossa è stata oggetto di polemiche ed è stata accolta con scetticismo anche da alcuni golfisti, come si legge per esempio nei commenti del blog Golfando tenuto dal giornalista ed esperto di golf Sauro Legramandi. Altri l’hanno invece difesa, sostenendo che il golf sia uno sport sicuro e utile anche da un punto di vista psicofisico; i campi sono a disposizione anche degli abitanti vicini per fare una corsa o una passeggiata. I presidenti di circolo con cui ha parlato il Post non hanno notato una particolare presenza di giocatori provenienti da altre regioni.
Molti circoli stanno cercando di sfruttare l’occasione e attirare nuovi giocatori, soprattutto i più piccoli che non solo potrebbero diventare i golfisti di domani, ma che avvicinano i familiari al gioco e ne esaltano l’aspetto competitivo. Colombo, presidente del circolo brianzolo, racconta che «stiamo lavorando molto sulle nuove generazioni anche perché vogliamo dare al golf una direzione più agonistica e cambiarne l’immagine di passatempo per ricchi benestanti. Da anni organizziamo delle iniziative settimanali per far provare il golf ai più piccoli, i corsi partono dai 6-7 anni e abbiamo una trentina di ragazzini di 12-15 anni: hanno anche incuriosito i parenti e convinto molti di loro a iscriversi a un corso». Pacelli cerca di avvicinare «le persone con un pretesto: far giocare i bambini a pallone, o invitare a farci una passeggiata per prendere confidenza con il campo»; quest’anno visto che le altre attività, come il calcio, sono ferme «alcuni genitori hanno fatto provare il golf ai figli e poi si sono appassionati anche loro».
Un lavoro di avvicinamento importante è portato avanti anche dal circolo Le Fonti a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna, che ha circa 670 iscritti. Il suo presidente, Ivano Serrantoni, ha spiegato che il loro è un circolo di proprietà comunale che propone diverse iniziative e promozioni con volantini distribuiti porta a porta. Si rivolgono agli anziani – «è uno sport non violento, diluito nella giornata, ha benefici sulla salute, su chi soffre di depressione e aiuta a socializzare» – e ai giovani, «che vogliamo far crescere, con un’offerta di prezzi contenuti».
Serrantoni racconta che «20 anni fa abbiamo inventato dei corsi di avviamento al golf che costavano 99 euro e che consentivano delle lezioni gratis collettive e tre mesi di frequentazione al circolo: hanno funzionato e ora il programma è stato adottato dalla Federazione». Nel 2019 circa 100 persone hanno scelto questa formula e circa il 60-70 per cento si è poi iscritto al club Le Fonti. Anche qui «si può iniziare a giocare dai sei anni e prevediamo 5 diverse quote scaglionate per fasce d’età che arrivano fino ai 35 anni. Ora abbiamo un centinaio di bambini e negli anni abbiamo cresciuto tre professionisti».
L’attività dei circoli non è ancora riuscita a scalfire l’immaginario e, dice Serrantoni, «i circoli parablasonati che tengono molto alla loro storia e tendono a essere un po’ più chiusi» sono la minoranza; «però – aggiunge – è difficile far percepire al di fuori che il golf non è un gioco d’élite. Tutti i circoli hanno diverse forme di abbonamento e alla fine una settimana bianca costa più di un’iscrizione annuale».
Marco Marchetti, assiduo frequentatore del club Le Fonti dalla sua apertura, 20 anni fa, è d’accordo che «il golf non è per tutti ma non è così costoso come si crede ancora. Ci sono delle quote di vario livello, un semplice socio frequentatore può pagare anche 400-600 euro all’anno mentre un socio pieno arriva a 1800-2000 euro», a cui va aggiunto il costo della tessera della Federazione, 110 euro, e il prezzo del campo ogni volta che si gioca. I costi aumentano per l’attrezzatura, ma «con una di medio livello puoi giocare tranquillamente per anni», dice Marchetti. Pacelli ricorda che ci sono «campi da golf strutturati come palestre: paghi un abbonamento annuale in 12 mensilità (circa 70-120 euro al mese)» per una struttura che richiede molta manutenzione e che si tiene in piedi anche grazie al turismo, alle entrate del bar e del ristorante, del negozio che vende l’attrezzatura e dei centri benessere spesso presenti.
Tutte queste attività, che arricchiscono la vita sociale ed economica del club, hanno risentito enormemente della pandemia e, dopo la riapertura estiva, sono state nuovamente chiuse a novembre. Cancarini del circolo Franciacorta ricorda che il negozio dove acquistare l’attrezzatura è chiuso, il bar e il ristorante fanno solo servizio d’asporto e che «chi viene gioca sul campo e poi non si ferma a chiacchierare come prima: va a casa». Pacelli spiega che quest’anno non sono arrivati i «turisti scandinavi, tedeschi e austriaci che si fermavano nella residenza che usiamo come casa vacanza anche un mese» e aggiunge che «il golf non è più il signore ricco che si fa la partitella: ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro che ruotano attorno».
Oltre che alla pandemia, in molti guardano infine alla Ryder Cup, un prestigioso torneo biennale che si gioca dal 1927 tra una selezione di giocatori statunitensi e una di europei, e che nel 2023 si svolgerà a Roma. Finora non è riuscita a catalizzare molto interesse per il gioco e «gli aumenti di iscritti non sono stati come si sperava», spiega Enrico Cigna, fondatore di House of Golf, una community di golf italiana con un forum online dal 2008. Cigna si augura che la coppa, che definisce un «evento con visibilità mediatica seconda solo ai Mondiali di calcio e alle Olimpiadi», potrebbe convincere nuovi golfisti a venire a giocare in Italia dall’estero, anche se sarebbe necessario investire di più sull’aspetto ricettivo e turistico. Comunque vada, nei prossimi mesi i circoli dovranno imparare a trattenere i nuovi arrivati, coltivare l’interesse dei più giovani – che si sono avventurati su un campo da golf perché avevano trovato chiuso quello da calcio – e presentarsi come lo sport popolare, accogliente e ambizioso che vuole essere.