Si mangia meno carne di cane, in Corea del Sud
Da quelle parti ha una tradizione secolare, ma le abitudini delle persone stanno cambiando: e aumentano le denunce verso le terribili condizioni degli allevamenti
Mentre nella cultura occidentale il cane è considerato insieme al gatto l’animale da compagnia per eccellenza, in diverse parti dell’Asia è piuttosto comune mangiarne la carne. In Corea del Sud il consumo di carne di cane è una tradizione secolare che fa parte della cultura locale, e infatti la Corea del Sud è stato a lungo uno dei mercati più importanti per il commercio di carne di cane. Le cose hanno tuttavia cominciato a cambiare negli ultimi decenni, e soprattutto le nuove generazioni mangiano sempre meno carne di cane.
In Corea del Sud la carne di cane viene mangiata da secoli. Fu una fonte di alimentazione importante in tempi di fame, in particolare durante l’occupazione giapponese (tra il 1910 e il 1945) e la Guerra di Corea (tra il 1950 e il 1953), e ha continuato a essere consumata anche dopo la fine dei conflitti. I cani si potevano allevare facilmente e ce n’erano molti di più rispetto ai bovini, per esempio, che invece venivano impiegati principalmente per trainare i carri o arare i campi.
Oggi nel paese ci sono più di tremila ristoranti che servono ricette a base di carne di cane: uno dei piatti più diffusi è il boshintang – una zuppa di carne bollita che viene consumata soprattutto in estate – e il gaesoju, una specie di zuppa che si ottiene facendo bollire la carne di cane assieme a varie erbe.
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Negli ultimi decenni i consumi di carne di cane hanno tuttavia iniziato a calare: in parte perché è diventato più facile reperire altri tipi di carne, in parte perché molti hanno iniziato a considerare il cane come animale domestico. Un recente sondaggio dell’associazione ambientalista e animalista Humane Society International (HSI) ha evidenziato che il 59 per cento dei sudcoreani si è detto favorevole a vietare del tutto il commercio della carne di cane: un consistente aumento rispetto al 35 per cento del 2017. Quasi la metà dei sudcoreani oggi crede che mangiare carne di cane non rispecchi la loro cultura; nel 2017 era di questo parere soltanto il 29 per cento della popolazione intervistata.
Il consumo di carne di cane è diminuito anche grazie alla presenza sempre più forte di associazioni di attivisti animalisti. Come ha detto al Washington Post un’attivista della HSI, Nara Kim, adesso la spinta verso il cambiamento culturale viene dall’interno del paese e sta portando a un nuovo modo di vedere il consumo di carne di cane. Jeff Flocken, presidente dell’HSI, ha spiegato che c’è stato un grande cambiamento culturale e che i giovani sudcoreani non sono più interessati alla carne di cane o a lavorare nel business degli allevamenti di cane da macello.
Uno dei temi su cui hanno più insistito negli anni gli animalisti è stato il trattamento dei cani negli allevamenti. Ogni anno nel paese vengono allevati circa due milioni e mezzo di cani, e circa un milione di questi sono uccisi per essere mangiati. Sono per lo più nureongi e mastini coreani, ma ci sono anche jindo e incroci, a cui si sommano cani di razza che vengono abbandonati dai loro padroni e poi introdotti negli allevamenti. Secondo le associazioni di attivisti, però, gli allevamenti attivi sarebbero molti di più: oltre a quelli ufficiali, infatti, ci sono migliaia di allevamenti abusivi e anche i canili sono stati accusati di vendere i cani ai macelli, contribuendo al commercio illegale.
Le condizioni di vita dei cani in molti allevamenti sono descritte come terribili. Gli animali vivono ammassati in gabbie piccolissime, ricevono enormi quantità di antibiotici e spesso vengono uccisi a bastonate o con violenza nella credenza diffusa che questo migliori il gusto della carne.
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Dal punto di vista legale, poi, l’allevamento di cani per il macello è in una zona grigia: la carne di cane è riconosciuta come cibo dalla legge ma gli allevamenti di cani non sono equiparati a quelli di bestiame e pertanto non devono seguire le norme previste per quel settore.
Nel 1991 il governo sudcoreano aveva approvato una legge sulla protezione degli animali che proibiva l’uccisione «in modo crudele» di animali che non fossero bestiame: la legge si riferiva in maniera implicita al macello di cani e gatti, ma essendo particolarmente vaga non portò a una maggiore regolamentazione degli allevamenti di cani né a divieti o limitazioni sul loro macello.
Negli ultimi anni le organizzazioni che difendono i diritti degli animali come la Korea Animal Welfare Association, la più grande del paese, hanno lavorato sia per ridurre il numero degli allevamenti sia per diminuire i consumi di carne di cane, raccontando come vengono trattati gli animali negli allevamenti e spiegando i rischi che si corrono mangiando la loro carne, che per via delle leggi del paese è soggetta a meno controlli sanitari.
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Tra le diverse iniziative delle associazioni ambientaliste ci sono quelle per la liberazione dei cani dagli allevamenti e la promozione della loro adozione. Secondo l’Associazione nazionale dei Veterinari, nel 2019 in Corea del Sud sono stati adottati 6 milioni di cuccioli, circa 1 milione e mezzo in più rispetto a quelli che erano stati adottati nel 2010. Anche il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, due anni fa aveva adottato un cane che era stato salvato da un gruppo di attivisti. Quando era candidato alla presidenza, tra le altre cose Moon aveva promesso che avrebbe vietato il commercio di cani per il consumo alimentare; dopo essere stato eletto, nel 2017, aveva però detto che il commercio di carne di cane sarebbe stato abbandonato poco alla volta.
Il capo dell’Associazione degli allevatori di cani della Corea del Sud, Joo Young-bong, ha detto al Washington Post che non c’è differenza tra mangiare un pollo e un cane, e che le associazioni di attivisti che «prendono e portano via i cani dai nostri allevamenti offendono la cultura coreana». È un tema di cui si discute molto, perché se per molti sudcoreani l’allevamento di cani e il consumo della loro carne è normale, in Occidente è spesso descritto come un segno di arretratezza culturale: anche molti giovani che oggi non mangerebbero carne di cane si lamentano di come la pratica venga vista e raccontata all’estero.