Mercatone Uno è definitivamente fallito
L'attività della nota catena di mobili si è interrotta dopo una discreta serie di acquisizioni, amministrazioni straordinarie e inchieste penali
Il 23 novembre Mercatone Uno, catena italiana della grande distribuzione di mobili, ha sospeso l’attività dopo due fallimenti e diversi anni di gestione commissariale. I 1.333 dipendenti sono senza lavoro, ma potranno accedere a 12 mesi di cassa integrazione straordinaria per «cessazione di attività», misura ripristinata nel decreto Genova del 2019, dopo la sua contestata abolizione nel Jobs Act di Matteo Renzi.
La storia di Mercatone Uno ha a che fare non solo con la crisi economica e con quella del settore dei mobili a basso costo che non siano Ikea, ma anche con le scelte politiche fatte dai governi Renzi, Gentiloni e dal primo governo Conte, e da Carlo Calenda e Luigi Di Maio al ministero dello Sviluppo economico. Così sostengono lavoratori, sindacati e creditori.
Mercatone Uno era nato nel 1975 grazie a Romano Cenni, imprenditore di Imola morto tre anni fa: prima fondò una società per la vendita di radio e televisori e poi il primo punto vendita del gruppo, il Mercatone Germanvox, specializzato in elettrodomestici, mobili e arredamento. Dagli anni Ottanta il marchio iniziò ad avere successo, aprendo fino a 90 punti vendita in giro per l’Italia, arrivando a fatturare 800 milioni di euro e ad avere 4 mila dipendenti in giro per il paese. Alla fine degli anni Novanta il gruppo legò il proprio nome al ciclismo e a Marco Pantani che, nel 1998, con la maglia gialla e azzurra di Mercatone Uno, conquistò Tour e Giro d’Italia. L’immagine del ciclista, dentro una biglia da spiaggia gigante, si vede ancora lungo la A14, davanti alla torre che fu la sede del gruppo.
Le prime difficoltà per Mercatone Uno arrivarono con la crisi economica della fine del 2010. Nel 2015, dopo il crollo del fatturato, il gruppo annunciò la chiusura della metà dei punti vendita, centinaia di licenziamenti e cassa integrazione per i dipendenti arrivando, alla fine, al commissariamento e all’amministrazione straordinaria.
Dopo due bandi di vendita andati male, nel 2016 e nel 2017, nel dicembre del 2017 ai commissari Stefano Coen, Ermanno Sgaravato e Vincenzo Tassinari (nominati dal ministero dello Sviluppo economico all’epoca guidato da Federica Guidi) arrivarono diverse offerte. Nel 2018 i commissari, con l’autorizzazione del nuovo ministro Carlo Calenda, decisero che una parte dei punti vendita venisse ceduta alla Shernon Holding, società di logistica e servizi controllata da una società maltese (la Star Alliance Limited, «di cui si sa poco o nulla», scriveva all’epoca il Sole 24 Ore) e guidata da due soci italo-svizzeri: Valdero Rigoni, già amministratore di una società dichiarata fallita nel 2014, e Michael Tahlman.
Shernon si era fatta carico di 2.019 lavoratori dipendenti, dei 55 punti vendita Mercatone Uno, della sede di Imola e della società di logistica collegata. E aveva presentato un ambizioso piano di rilancio della società: circa 25 milioni di investimenti – che per i sindacati erano comunque insufficienti per garantire una vera ripresa – e il raddoppio dei ricavi a partire dal 2022. Negli stessi mesi, la mancanza di liquidità aveva fatto sì che la merce nei magazzini, e di conseguenza nei negozi, cominciasse a scarseggiare. Poco dopo, la società aveva cominciato a parlare di crisi e ad aprile 2019 presentò istanza di concordato preventivo presso il Tribunale di Milano, istanza che venne dichiarata inammissibile a causa dell’indebitamento (90 milioni maturati in nove mesi di nuova gestione).
Il 25 maggio 2019, senza alcun preavviso, la Shernon dichiarò fallimento. I 55 punti vendita del marchio non aprirono, i direttori dei negozi furono avvertiti via WhatsApp e i 1860 lavoratori del gruppo, che erano andati sul luogo di lavoro e avevano trovato le serrande abbassate, scoprirono quello che era successo dalla pagina Facebook della società. Cominciarono i presidi in tutta Italia e ricominciò l’amministrazione straordinaria.
I sindacati e i lavoratori denunciarono il fatto che il ministero del Lavoro e quello dello Sviluppo economico non avessero vigilato: «È inaccettabile che gli organi di vigilanza del ministero dello Sviluppo economico, che appena la scorsa estate avevano permesso l’acquisto da parte della nuova società di quel che rimaneva di Mercatone Uno, non abbiano verificato la sostenibilità aziendale degli acquirenti», scrisse ad esempio la Cgil.
Nel giugno del 2019 vennero nominati altri tre commissari: Antonio Cattaneo, Luca Gratteri e Giuseppe Farchione, i quali tentarono di vendere i negozi rimasti e di salvare almeno parte dei posti di lavoro: una ventina dei 55 punti vendita venne ceduta a varie società portando però alla ricollocazione di sole poche centinaia di lavoratori. Il 23 novembre, raggiunto il limite di 4 anni e 6 mesi di amministrazione straordinaria, «l’attività di impresa» è stata sospesa.
Parallelamente a queste vicende, ne sono state portate avanti altre nei tribunali. Nel gennaio del 2017 alcuni ex dirigenti aziendali (tra cui il fondatore di Mercatone Uno Romano Cenni, poi morto nel marzo dello stesso anno) sono stati indagati dalla Procura di Bologna per bancarotta fraudolenta per distrazione di denaro. I fatti contestati andavano dal 2005 al 2013: secondo le accuse sarebbero stati distratti soldi per circa 300 milioni di euro, cosa che, almeno in parte, avrebbe contribuito al dissesto della società. Nel febbraio del 2020, tutti gli imputati sono stati assolti. La sentenza è stata impugnata con ricorso diretto in Cassazione.
Nel giugno del 2019, dopo il deposito in procura della relazione del curatore fallimentare, Valdero Rigoni, amministratore delegato di Shernon Holding, sua figlia e altre tre persone legate a quella società sono state indagate dal tribunale di Milano. Lo scorso settembre, le indagini sono state chiuse e agli indagati sono stati contestati oltre 2,5 milioni di euro con ipotesi di bancarotta con distrazioni di somme di denaro.
Ora è iniziata la fase liquidatoria di Mercatone Uno, per cercare di ripagare i creditori, innanzitutto fornitori e clienti. Saranno messi in vendita (il prossimo 9 dicembre) anche 37 cimeli del ciclismo italiano legati a Marco Pantani: biciclette su misura, maglie firmate, quadri, sculture e coppe. I commissari hanno fatto sapere che i crediti vantati dai circa 1.700 fornitori, e maturati dopo l’apertura della procedura, ammontano a circa 48 milioni di euro, mentre i crediti concorsuali, maturati prima dell’apertura della procedura, sono pari a 150 milioni di euro circa. AssoMuno (l’associazione creata un anno e mezzo fa da un centinaio di fornitori per tutelarsi) ha invece parlato di 600 milioni di debiti verso i fornitori, di 117 milioni di debiti verso l’erario e di 29 milioni di debiti verso lo Stato per contributi previdenziali non versati: di una cifra complessiva, dunque, intorno agli 800 milioni.
La Cisl ha definito la conclusione della vicenda «una brutta pagina di storia anche per quanto attiene il ruolo delle istituzioni». La Cgil ha detto che «la vicenda Mercatone Uno è l’emblema di come funziona la nostra economia e della mancanza di capacità di investimento. Mercatone Uno poteva essere salvata, sarebbe bastato un investitore minimamente coscienzioso per dare dignità a migliaia di lavoratori. Da parte nostra continueremo a chiedere giustizia e a indagare sulla vendita a Shernon: a noi bastò una semplice visura camerale per capire che non si trattava di un gruppo minimamente solido, ma il Mise dell’epoca e i fornitori accettarono il passaggio». A sua volta, AssoMuno ha accusato i commissari e il Mise di aver gestito male l’intera situazione.