Cina e India si contendono le Maldive con le grandi opere
Pechino ha costruito un ponte lunghissimo per collegare due isole dell'arcipelago, ma Nuova Delhi vuole farne uno ancora più lungo per collegarne quattro
Le Maldive sono il paese più piccolo di tutta l’Asia, sia per estensione territoriale sia per popolazione: 350 mila persone sparse su 1.190 isole e isolette a sud-ovest del subcontinente indiano, e radunate soprattutto nella capitale Malé, che ospita su una superficie ridotta un terzo di tutta la popolazione della nazione ed è una delle città a più alta densità di popolazione del mondo. Le Maldive sono famose per il turismo, ovviamente, ma da qualche anno sono al centro di una disputa diplomatica e di influenza tra Cina e India, che si combatte con finanziamenti miliardari per infrastrutture civili: in particolare, lunghissimi ponti.
Nel 2018, grazie a prestiti cinesi, il governo delle Maldive inaugurò un ponte lungo 2,1 chilometri che collega due delle isole del paese: Malé, dove si trova la capitale, e Hulhule, dove ha sede l’aeroporto. Il ponte fu costruito da una compagnia cinese che impiegò lavoratori cinesi, con soldi cinesi. In tutto, costò 200 milioni di dollari. In maniera significativa, l’opera è chiamata “Ponte dell’amicizia tra Cina e Maldive”. Ad agosto, però, l’India ha deciso di controbattere con la costruzione di un nuovo ponte: collegherà Malé ad altre isole della stessa area, e sarà molto più lungo (6,7 chilometri) e più costoso (500 milioni di dollari).
Questa competizione infrastrutturale tra due grandi potenze mondiali che si contendono un arcipelago dell’Oceano Indiano nasce da ragioni storiche e strategiche. Per la loro relativa vicinanza al subcontinente, le Maldive sono da sempre sotto la sfera d’influenza indiana. Il governo dell’India sostenne per trent’anni Maumoon Abdul Gayoom, il dittatore che ha governato il paese tra il 1978 e il 2008, e ha fatto lo stesso anche con Mohamed Nasheed, il primo presidente del paese democraticamente eletto, che ha governato tra il 2008 e il 2012. Dopo Nasheed, tuttavia, salì al potere Abdulla Yameen, un leader con tendenze autoritarie che decise di cambiare l’orientamento diplomatico delle Maldive, e di aprirsi alla Cina.
Come ha scritto la CNN, che ha da poco pubblicato un lungo approfondimento sul tema, prima della fine del 2011 la Cina non aveva nemmeno un’ambasciata alle Maldive. Ma le cose sono cambiate rapidamente dopo l’elezione di Yameen: l’ambasciata è stata aperta, nel 2014 il presidente cinese Xi Jinping ha fatto la prima visita di un leader cinese nel paese, e le Maldive sono diventate un paese importante nella “Belt and Road Initiative”, il grande progetto infrastrutturale attraverso il quale la Cina intende investire miliardi di dollari per lo sviluppo (dell’economia locale e della propria influenza) in un’ampia area tra Asia, Africa ed Europa.
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L’avvicinamento delle Maldive alla sfera d’influenza cinese però è un grave problema per l’India, e non soltanto per ragioni di orgoglio diplomatico. Le isole che compongono l’arcipelago sono attraversate da vie marittime di fondamentale importanza per l’India: vicino alle Maldive passano le rotte commerciali che garantiscono l’80 per cento degli scambi esterni e il 50 per cento delle importazioni energetiche dell’India. Lungo le stesse rotte passa anche il 62 per cento del greggio che la Cina importa dall’Africa e dal Medio oriente. Per questo l’India ha sempre avuto un’attenzione particolare per le Maldive, e per questo l’espansione dell’influenza cinese è stata accolta con preoccupazione.
Durante gli anni di Yameen, la Cina ha finanziato progetti molto ambiziosi nelle Maldive, come l’espansione dell’aeroporto, costata 800 milioni di dollari, e la costruzione di 7.000 appartamenti sull’isola artificiale di Hulhumalé, costruita con molte fatiche per risolvere i problemi di sovrappopolazione. Ma come successo in altri paesi, anche alle Maldive i progetti infrastrutturali cinesi hanno generato un’enorme quantità di debiti. I finanziamenti cinesi, infatti, sono stati concessi sotto forma di prestiti, spesso a tassi commerciali, erogati dal governo cinese al governo delle Maldive. Inoltre, le aziende delle Maldive hanno ottenuto prestiti da centinaia di milioni di dollari dalle banche cinesi grazie a una linea di garanzia sovrana: significa che se l’azienda fallisce, è il governo delle Maldive a dover ripagare la banca cinese al posto suo.
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Secondo stime contestate dal governo cinese, le Maldive devono 3,1 miliardi di dollari alla Cina. È più di metà del PIL nazionale, che non supera i 6 miliardi. Secondo altre stime il debito delle Maldive nei confronti della Cina sarebbe minore, tra 1,1 e 1,4 miliardi.
Anche a causa di questo indebitamento, nel 2018 Yameen è stato battuto a sorpresa alle elezioni. Al suo posto è stato eletto Ibrahim Mohamed Solih, che in gran parte ha riportato la politica estera delle Maldive nella sua tradizionale posizione filo indiana (Yameen, nel frattempo, l’anno scorso è stato condannato a cinque anni di prigione per riciclaggio di denaro). Anche l’India, temendo la concorrenza con la Cina, si è dimostrata molto generosa con il nuovo governo. Soltanto negli ultimi due anni ha promesso più di 2 miliardi di dollari in aiuti finanziari, e quest’anno, dicevamo, ha annunciato la costruzione di un nuovo ponte. Se il ponte costruito dalla Cina collega Malé con l’isola immediatamente a est, quello costruito dall’India sarà una struttura più complessa composta di più elementi, che collegherà Malé alle tre isole (Vilingili, Gulhifalhu e Thilafushi) a occidente della capitale.
Il costo sarà più alto, ma secondo il governo indiano le condizioni del finanziamento (100 milioni a fondo perduto, 400 milioni in prestito) saranno più lievi, gli interessi bassi e la restituzione spalmata su vent’anni. Mohamed Nasheed, l’ex presidente alleato dell’attuale presidente Solih, ha scritto su Twitter che il prestito dell’India è «aiuto genuino da un amico», contrapponendolo ai prestiti cinesi.
The super low cost development assistance announced by @DrSJaishankar today is exactly what Maldives needs. Genuine help from a friend, to help us build critical infrastructure. Rather than eye-wateringly expensive commercial loans that leaves the nation mired in debt. @PMOIndia
— Mohamed Nasheed (@MohamedNasheed) August 13, 2020
Come la Cina, anche l’India ha annunciato una gran quantità di ulteriori progetti infrastrutturali: un nuovo ospedale, un porto, un aeroporto, rifacimenti urbanistici. Molti esperti ritengono che, alla fine, tra i prestiti indiani e quelli cinesi non ci sia molta differenza. I sostenitori dell’attuale governo dicono invece che i prestiti indiani sarebbero più trasparenti e lascerebbero più spazio di decisione alle autorità locali. Non bisogna dimenticare, comunque, che i rapporti economici tra Cina e Maldive rimangono molto forti, anche a causa del grande debito di queste ultime.
In generale, però, il cambiamento di governo alle Maldive ha cambiato un po’ tutto l’orientamento diplomatico del paese, e anche gli Stati Uniti sono intervenuti: a settembre, i due paesi hanno firmato un accordo di difesa, e a ottobre il segretario di Stato americano Mike Pompeo è stato in visita a Malé. Durante la visita, Pompeo ha annunciato che gli Stati Uniti apriranno ufficialmente un’ambasciata sull’isola.
Stati Uniti e Maldive avevano già provato a firmare un accordo di difesa nel 2013, ma furono costretti a rinunciare per la contrarietà dell’India, che non voleva la presenza militare americana in quella che considerava la sua sfera d’influenza. Davanti alla minaccia della presenza cinese, però, questa volta l’India ha approvato l’accordo. Questo è un buon segnale per la cosiddetta “strategia dell’Indo-Pacifico”: il tentativo dell’amministrazione americana di Donald Trump di contenere la Cina coinvolgendo non soltanto i paesi dell’Asia orientale, ma anche l’India e i paesi limitrofi.