L’Alto Adige va da solo
Come è stato gestito il primo test di massa in Italia per trovare i positivi al coronavirus, isolarli e riaprire: si può fare solo qui
di Isaia Invernizzi
Testare 350mila persone in tre giorni e isolare i positivi al coronavirus, e poi andare avanti fino a mercoledì 25 novembre, negli ambulatori dei medici di famiglia e nelle farmacie: è il piano scelto dall’Alto Adige per uscire dall’epidemia entro metà dicembre. Un tentativo unico in Italia, con 184 punti aperti in tutti i 116 comuni, difficilmente replicabile in altre regioni. Ancora pochi giorni e si saprà se questa strategia ha funzionato, o è stato un azzardo.
Da venerdì a domenica sono stati trovati 3.185 positivi, lo 0,9% delle 343.227 persone che hanno partecipato alla campagna. In totale, gli abitanti della provincia autonoma di Bolzano sono 530mila. Diecimila erano già in isolamento e oltre 21mila hanno già contratto il virus, ufficialmente.
L’Alto Adige è in zona rossa. È una delle province con l’incidenza più alta negli ultimi dieci giorni: 1.151 contagiati ogni 100 mila abitanti. La situazione è peggiorata in fretta. Dal 20 ottobre sono morte 174 persone. Quasi tutti i posti letto dell’ospedale di Bolzano sono occupati da malati di Covid-19.
Il presidente della provincia Arno Kompatscher e alcuni assessori della sua giunta hanno detto che il numero dei nuovi contagi scenderà entro la fine della prima settimana di dicembre, così come si abbasserà anche la curva dell’indice Rt, che misura la trasmissione del contagio. «Vogliamo riaprire le attività a partire dal 30 novembre. Senza screening avremmo rischiato un lockdown ben oltre Natale, ora invece possiamo iniziare a riaprire passo dopo passo», ha spiegato Kompatscher.
Gli obiettivi del presidente – soprattutto la riapertura di negozi, ristoranti e, più avanti, anche delle piste da sci – sono ambiziosi come ambiziosa è la “sua” provincia, autonoma per davvero, non solo nel nome. I privilegi garantiti dallo statuto speciale sono serviti, tra le tante cose, a trovare 3,5 milioni di euro per testare tutti. Sono stati esclusi solo i già positivi, i sintomatici che dovranno fare il tampone “classico”, e i bambini sotto i cinque anni.
Il senso civico degli altoatesini
Uno dei dati più significativi è l’alta partecipazione degli abitanti. L’assessore provinciale alla sanità, Thomas Widmann, aveva fissato la soglia del successo a 200 mila persone. Ne sono arrivate oltre 100 mila di più, e l’organizzazione è stata perfetta. «Devo dire che fino a due settimane fa il clima non era positivo in tutto il territorio. Poi è cambiato completamente. L’afflusso è enorme», ha detto.
Ci sono stati molti appelli a partecipare al test. Al forte richiamo della Südtiroler Volkspartei, il partito che qui governa dal 1948, si sono aggiunti quelli del vescovo di Bolzano-Bressanone Ivo Muser. E la Sparkasse, la cassa di risparmio di Bolzano, ha promesso 100 euro ai dipendenti che porteranno il certificato del test antigenico.
Non era obbligatorio partecipare, ma quasi: una delle ultime ordinanze provinciali ha imposto alle aziende aperte di far lavorare solo il personale testato. Chi non ha fatto il test rapido è stato costretto a prendere ferie o permessi fino al 29 novembre, giorno in cui scade l’ordinanza. Dopo qualche polemica, anche i sindacati hanno detto sì. «La partecipazione al corona-screening non deve essere vista come un’imposizione, ma come grande possibilità per dare un contributo concreto al nostro territorio in questo momento di forte sofferenza», hanno scritto in un comunicato Assoimprenditori Alto Adige, Cgil/Agb, SgbCisl, Uil-Sgk e Asgb.
Strano vedere tante sigle tutte insieme. Altoatesini e sudtirolesi, di lingua italiana e tedesca: due culture e due lingue che si parlano ancora con difficoltà. È un rapporto complesso, difficile da interpretare senza superare il limite degli stereotipi, perché tutto quello che succede in Alto Adige viene letto e interpretato guardando al passato. Per tre giorni, invece, il test di massa ha fatto concentrare italiani e tedeschi sul futuro, calmando la storica tensione etnica, almeno all’apparenza. In Südtirol, come nel capoluogo a maggioranza italiana, tutti si sono messi in coda.
Come funziona il test
Il test antigenico scelto dall’Alto Adige non ha nulla a che fare con i tamponi di cui si parla ogni giorno, anche se in entrambi viene utilizzato un bastoncino, infilato nel naso. Il normale tampone viene analizzato in laboratorio dove si cerca l’RNA virale, il materiale genetico del virus, attraverso il metodo molecolare Rt-Pcr. Il test antigenico, invece, cerca la presenza di proteine virali che si legano agli anticorpi. L’antigenico non va analizzato in laboratorio con strumenti sofisticati. L’esito – un semplice “positivo” o “negativo” – è disponibile in 15 minuti. I risultati del test di massa non rientrano nei dati ufficiali comunicati dalla Protezione civile.
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In Alto Adige, chi è risultato positivo deve rimanere in isolamento per dieci giorni. Se non si accusano sintomi, è possibile tornare alla vita normale senza nuovi tamponi. Se invece arrivano febbre o tosse, sta al medico valutare la situazione.
Le persone che sono risultate negative al test, invece, non possono tornare subito alla vita normale, perché la provincia è ancora zona rossa e soprattutto perché con questo tipo di test non c’è la certezza di essere sani. Questo è il limite più grande dei test antigenici. Per non costringere i cittadini a leggere specifiche tecniche, nelle linee guida pubblicate dalla provincia è stato semplicemente scritto che «in ogni caso bisogna continuare ad osservare le raccomandazioni di prevenzione: protezione di naso e bocca, distanziamento, disinfezione e ventilazione! Se insorgono sintomi, si prega di contattare il proprio medico».
La chiave sta nella parola “sensibilità”, che è importante per capire l’affidabilità del tampone. La sensibilità, infatti, indica la possibilità che ci siano dei falsi negativi. Cioè, persone che sono infette e che però hanno un test con esito negativo. Sulla carta, i due tipi di test antigenici comprati dalla provincia di Bolzano sono affidabili: “Standard Q COVID-19 Ag Test” dell’azienda Relab ha un indice di sensibilità del 96.52%, il “Panbio COVID-19 Ag” di Abbott ha un indice di sensibilità del 93.3%: vuol dire che, anche per il migliore dei due, ci possono essere più di 3 falsi negativi su 100.
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Markus Falk, biostatistico che collabora con il centro di Eurac Research, che dall’inizio dell’epidemia analizza i dati dei contagi per la provincia autonoma, è prudente. Falk spiega che c’è un’alta possibilità che il test di massa non riesca a trovare le persone che si sono infettate da pochi giorni. Secondo le sue stime, potrebbero sfuggire tre contagiati su dieci.
Cosa succede adesso
«Questa operazione non va vista come una fotografia della situazione, e poi tutti liberi», ha spiegato Pierpaolo Bertoli, direttore sanitario dell’azienda sanitaria dell’Alto Adige. Le previsioni fatte dall’azienda sanitaria prima dell’inizio del test di massa si sono già rivelate sovrastimate. «In primavera abbiamo avuto una prevalenza intorno al 3%. Adesso penso che si possa ragionevolmente ipotizzare di andare vicini al 10%. Tra il 6 e il 10%», ha detto Bertoli. Invece i positivi al test sono stati fin qui solo lo 0,9%.
Secondo Bertoli, si potrà valutare l’efficacia dello screening tra dieci giorni. Solo allora si avrà una misura precisa dell’impatto sull’intero sistema sanitario: i numero dei nuovi contagi, ovviamente, ma anche i ricoveri nei reparti e in terapia intensiva.
Il presidente della provincia Arno Kompatscher ha detto che i casi trovati con il test di massa possono sembrare pochi se paragonati al numero dei tamponi fatti e ai circa 500 contagiati che vengono registrati ogni giorno con i test molecolari. Ma è comunque soddisfatto perché «con un indice Rt di 1,5, come ultimamente era quello registrato in Alto Adige, questi tremila contagiati avrebbero potuto infettare altre 4.500 persone».
Nella conferenza stampa di presentazione della campagna, il presidente aveva mostrato alcuni grafici con le previsioni dell’andamento di contagi dopo il test di massa. Dopo un picco, la linea si abbatte nei giorni successivi allo screening.
Quelle stime sono state studiate da Markus Falk. Secondo il biostatistico, aver organizzato questo test equivale ad aver fatto un lockdown “severo”. «L’alta partecipazione consente di trovare gli asintomatici e far abbassare l’indice Rt a 0,5 entro l’8 dicembre, e i nuovi casi fino a marzo dovrebbero attestarsi intorno ai quattromila». Senza test di massa, invece, l’indice Rt rimarrebbe per molto tempo allo 0,9 e sarebbe necessario un lockdown totale o parziale, almeno fino a marzo».
Negli ospedali la situazione è al limite. Il Post ha parlato con molti medici che lavorano nell’ospedale di Bolzano. Tutti dicono che non ci sono più posti, e gli operatori sanitari iniziano a sentire la fatica dopo tanti mesi di lavoro con un notevole impatto emotivo. In primavera è stato aperto un nuovo padiglione per accogliere i malati di Covid-19. In estate è stato ricoverato un solo paziente. Adesso il padiglione è pieno: i ricoverati in terapia intensiva sono 38, negli altri reparti invece sono 358.
«Stiamo arrivando al limite della nostra capacità di accogliere pazienti», dice Elke Maria Erne, primaria di infettivologia dell’ospedale di Bolzano. La dottoressa spiega che uno dei problemi più rilevanti è la carenza di operatori sanitari. Molti medici e infermieri, infatti, si sono ammalati. Non è facile trovare sostituti. «Per noi questo screening è molto importante per trovare i contagiati, per non ricoverare altre persone in terapia intensiva».
Perché la situazione è peggiorata
L’assessore Widmann ha detto che la provincia autonoma è sempre in contatto con l’Istituto superiore di sanità, anche se qui l’autonomia viene prima di tutto. «Mi sembra giusta la strategia di lasciar fare alle regioni quello che ritengono necessario», ha spiegato. Spesso l’autonomia ha portato l’Alto Adige a muoversi al di sopra delle decisioni prese dal ministero della Salute, con un’attenzione alle indicazioni del Robert Koch-Institut di Berlino. Fin dall’inizio dell’epidemia, infatti, l’istituto governativo tedesco ha compreso l’Alto Adige nella lista delle zone da monitorare.
Negli ultimi mesi, la provincia ha adottato provvedimenti che non sono stati sempre lungimiranti, come dimostra l’andamento dei contagi e dei ricoverati negli ospedali. Bolzano è stata tra le prime province a riaprire dopo il lockdown. Ad agosto e settembre sono arrivati milioni di turisti, soprattutto italiani. Tra fine settembre e inizio ottobre sono iniziati i preparativi della stagione invernale, nonostante proprio in quel periodo ci sia stata una rapida crescita dei contagi. Solo il 20 ottobre, un giorno dopo Trento, Bolzano ha annunciato l’annullamento dei mercatini di Natale.
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Il 22 ottobre, giorno in cui Arno Kompatscher ha incontrato i rappresentanti del settore turistico e i gestori degli impianti sciistici, dall’Istituto Koch di Berlino è arrivata la notizia dell’inserimento dell’Alto Adige in zona rossa.
Il 24 ottobre, il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha firmato il DPCM con la chiusura alle 18 di bar e ristoranti. Il giorno dopo, il 25 ottobre, Kompatscher ha firmato un’ordinanza che non rispettava le disposizioni nazionali: chiusura dei bar alle 20 e dei ristoranti alle 22. Il 27 ottobre è stato previsto un livello di riempimento dell’80% dei posti consentiti per le funivie e gli impianti di risalita. Il 29 ottobre è iniziato il dietrofront: cinema e teatri chiusi fin da subito. Il 2 novembre, una nuova ordinanza ha ordinato la chiusura alle 18 di bar e ristoranti, e il divieto di spostarsi da casa dalle 20 alle 5.
Perché, quindi, è peggiorato tutto così in fretta? «Siamo un territorio in cui la socialità delle persone prevede che ci siano tante occasioni di incontro. Si è parlato del rischio di riapertura delle scuole, della presenza di molte migliaia di lavoratori stranieri», ha spiegato Bertoli. Anche il turismo ha inciso. «Chiaramente è un territorio che è e rimane ad alta presenza di strutture turistiche. Dove c’è una circolazione importante delle persone».
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Nonostante le decisioni e il successivo andamento dei casi negli ultimi mesi, c’è voglia di ripartire e di riaprire. L’assessore al Turismo Arnold Schuler ha dichiarato di voler «riaprire gli impianti già a metà dicembre», quando in Alto Adige si disputeranno le gare di Coppa del mondo.
Più cauto Kompatscher: «È ancora prematuro parlare di stagione sciistica», ha spiegato il presidente. Durante la conferenza stampa conclusiva della campagna di screening, Kompatscher ha detto che la giunta definirà «un cronoprogramma di quello che si potrà riaprire nelle prossime settimane. Lo faremo tutelando la salute e il sistema sanitario. Come conferenza delle regioni, abbiamo chiesto un incontro urgente con il governo per dare una prospettiva al turismo. Il governo deve dare un indirizzo e avviare le attività nel periodo successivo al Natale».
Nel frattempo, già da qualche giorno i cannoni hanno iniziato a sparare neve sulle piste. Con una nuova spinta all’arrivo degli appassionati di sci, c’è il rischio che l’indice Rt torni a salire rendendo inutile lo sforzo fatto con il test di massa.
È difficile copiare l’Alto Adige
L’Alto Adige ha copiato il modello della Slovacchia, dove dal 31 ottobre al primo novembre erano state testate circa 3 milioni e 650 mila persone. In Slovacchia, l’incidenza è simile a quella trovata in Alto Adige: sono risultate positive 38.359 persone – l’1,06% della popolazione testata – messe in quarantena per 10 giorni. Nelle ultime settimane, in Slovacchia c’è stato un calo dei nuovi positivi, ma senza l’abbattimento della curva dei contagi previsto in Alto Adige.
L’esperimento dell’Alto Adige è stato osservato con attenzione, in Italia e all’estero. L’Austria ha inviato emissari per studiare l’organizzazione dei punti tampone, da copiare per una possibile identica campagna oltreconfine. Anche l’Abruzzo vuole testare tutta la popolazione. «Mi sono sentito in questi giorni con il mio collega Arno Kompatcher, e in parallelo le rispettive aziende sanitarie stanno già scambiandosi informazioni e modelli organizzativi», ha detto il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio.
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In altre regioni italiane, però, è difficile trovare le condizioni che hanno portato l’Alto Adige a scegliere questa soluzione così impegnativa. I soldi, in primis, ma anche la bassa densità abitativa, la presenza di una sola azienda sanitaria, e l’articolata rete di associazioni che hanno partecipato all’organizzazione. Qualcosa di simile è stato fatto a Bergamo, a giugno, con test sierologici al 20% degli abitanti della città. Dopo la positività al sierologico era obbligatorio fare il tampone. In questo modo sono stati trovati gli infetti asintomatici.
Secondo Rudolf Pollinger, direttore dell’Agenzia per la protezione civile, non sarà possibile replicare il test di massa dell’Alto Adige in altre regioni. «Qui hanno collaborato il sistema sanitario, i comuni, la protezione civile con i suoi 17 mila volontari», ha detto. «Tutto dipende dal coordinamento. Ogni regione ha le sue peculiarità e deve fare scelte diverse».