I paesi rimasti senza coronavirus, per davvero e per finta
Sette sono talmente isolati che l'assenza di contagi è quantomeno plausibile, ma ce ne sono due ai quali è più difficile credere
È passato quasi un anno dai primi contagi di SARS-COV-2 e otto mesi da quando l’Organizzazione mondiale della sanità dichiarò che quella da coronavirus era una pandemia, ma ci sono ancora degli isolati posti del mondo dove il virus non è arrivato e due paesi che sostengono di non aver avuto nemmeno un caso, anche se è altamente improbabile che le cose stiano davvero così.
Turkmenistan e Corea del Nord
Sono i due paesi che “ufficialmente” non hanno ancora avuto nemmeno un caso di contagio da coronavirus, nonostante confinino con paesi molto colpiti dalla pandemia. Il Turkmenistan confina con l’Iran, dove i casi registrati sono più di 828mila, secondo i dati dell’OMS. La Corea del Nord invece confina – per 1.420 chilometri – con la Cina, dove si pensa sia cominciata la pandemia, e con la Corea del Sud, dove i casi sono stati più di 30mila. Il Turkmenistan e la Corea del Nord però condividono anche il fatto di essere guidati da governi autoritari: sono due paesi in cui non c’è libertà di stampa e molte informazioni vengono tenute nascoste per ragioni di propaganda.
A luglio una squadra di funzionari dell’OMS ha potuto entrare in Turkmenistan e viaggiare per il paese e ha raccolto molte testimonianze secondo cui nei mesi scorsi ci sono stati numerosi possibili casi di trasmissione del coronavirus, e in generale un aumento delle infezioni alle vie respiratori e delle polmoniti. Le autorità locali hanno ammesso che nel 2020 è aumentato il numero di morti legate a problemi respiratori, ma hanno sostenuto che la causa sia l’inquinamento dell’aria.
Per quanto riguarda la Corea del Nord, gli esperti hanno discusso sulla possibilità che effettivamente non avesse casi di infezione. Fu infatti uno dei primi paesi a chiudere i suoi confini – già poco attraversati – a gennaio. A febbraio il governo annunciò che non li avrebbe riaperti fino a che una cura per la COVID-19 non fosse stata trovata, rendendo obbligatorie le mascherine e introducendo delle restrizioni per gli incontri pubblici. A luglio mise in isolamento una città vicino al confine con la Corea del Sud e dichiarò lo stato di “massima emergenza” dopo aver individuato un sospetto caso di coronavirus: un uomo nordcoreano che alcuni anni fa era scappato in Corea del Sud e per poi rientrare nel paese di nascosto.
Nonostante questa vicenda, che aveva portato all’isolamento dell’uomo, a oggi il numero ufficiale di casi nel paese resta pari a zero. Un rapporto dell’OMS del 29 ottobre dice che dei 10.462 test effettuati nel paese (che ha più di 25 milioni di abitanti) nessuno è risultato positivo, ma che ci sono più di cinquemila persone che potrebbero avere o avere avuto la COVID-19.
In mezzo all’oceano
I posti dove è invece plausibile che il virus non sia mai arrivato per davvero sono isole e arcipelaghi parecchio isolati nell’oceano Pacifico: come Nauru, Tonga, Kiribati, Micronesia, Palau, Samoa e Tuvalu. Fino a poco tempo fa facevano parte dell’elenco anche Vanuatu, dove però il 10 novembre è rientrato dagli Stati Uniti un cittadino asintomatico, le isole Salomone e le isole Marshall, dove i primi casi sono stati rilevati a ottobre. In nessuno di questi arcipelaghi tuttavia ci sono stati contagi locali: gli infettati arrivavano da fuori e sono stati messi in isolamento.
Il fatto che questi paesi si trovino in mezzo al Pacifico, una delle ragioni per cui sono tra le zone del mondo più esposte al cambiamento climatico, è stata vantaggioso durante la pandemia, perché ha reso più facile chiudere i confini e prepararsi a isolare eventuali contagiati in arrivo dall’esterno. Fin dai primi mesi della diffusione del coronavirus, i paesi del Pacifico hanno preso seriamente il rischio che arrivasse il virus anche perché nessuno di loro ha un sistema sanitario in grado di reggere un’eventuale diffusione su larga scala della COVID-19. Tuttavia chiudere i confini ha gravemente danneggiato le economie di questi paesi, molto legate al turismo, e ha ridotto notevolmente i loro approvvigionamenti di cibo. Inoltre quando ad aprile Vanuatu fu colpita da un ciclone, fu costretta a rifiutare aiuti esterni per la ricostruzione per evitare il rischio di contagi.
L’Australia ha stanziato 300 milioni di dollari australiani per sostenere questi paesi nella ripresa economica e il governo ha promesso di impiegarne altri 500 milioni per fare arrivare a tutti gli abitanti delle isole del Pacifico un vaccino quando sarà disponibile.
Ci sono poi ovviamente altri posti sulla Terra dove il coronavirus non è arrivato, per quello che sappiamo. Il più grande è l’Antartide, dove non ci sono residenti stabili ma sono presenti ricercatori di vari paesi. Per la stagione estiva da poco cominciata – l’estate antartica è quando da noi è autunno e inverno – i paesi che mandano scienziati da quelle parti hanno deciso di ridurne il numero e hanno introdotto varie altre regole per evitare che il virus arrivi nel continente.
Un posto molto piccolo dove il coronavirus non c’è è un atollo delle Hawaii, Kure, che fa parte di un parco naturale: fino a poco tempo fa era abitato da quattro persone, volontari incaricati di prendersi cura delle specie di piante autoctone e rimuovere quelle arrivate da fuori. Per nove mesi hanno vissuto sull’isola sapendo pochissimo di quello che succedeva nel mondo – erano collegati solo con un telefono satellitare – e da poco hanno scoperto com’è la nuova vita durante la pandemia.