Breve storia della ciotolina lavadita

Un tempo non mancava mai per le cene più eleganti ma oggi è caduta in disuso, tranne in India, dov'è molto popolare

(IlPost)
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È probabile che al ristorante o alle cene con amici non vi sia mai stata portata una ciotolina lavadita: oggi è un oggetto desueto e un po’ ridicolo, sostituito eventualmente dalle economiche salviette umidificate al finto profumo di limone, ma per secoli non è mancata sulle tavole dei banchetti più raffinati e aristocratici.

Come dice il nome, è una coppetta riempita d’acqua tiepida con la possibile aggiunta di una fettina di limone per sgrassare, di foglioline di menta o petali di rosa. Secondo il galateo, la ciotolina lavadita dovrebbe accompagnare le pietanze di pesce, i crostacei e quei cibi che si possono mangiare con le mani, come i carciofi; va messa a sinistra del commensale all’altezza dei bicchieri, «sul piattino da frutta, appoggiata su una sottocoppa (d’argento o di cristallo) oppure su un centrino», come si legge in Il nuovo saper vivere di Donna Letizia, compratissimo manuale di buone maniere scritto nel 1960 da Colette Rosselli. Nei ristoranti veniva servita spesso prima del conto o tra il pasto principale e il dolce per pulirsi le dita: bisogna intingere solamente i polpastrelli e asciugarli nel tovagliolo. Qualsiasi altro uso è assolutamente vietato, soprattutto inzupparci il tovagliolo sporco, anche se Donna Letizia consente di «rinfrescarci dentro la frutta, la quale, però, dovrebbe arrivare a tavola già pulita e fresca».

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Ciotoline simili si usavano già nell’antichità, per esempio sulle tavole dei simposi in Grecia, piene d’acqua per lavarsi le dita. A Roma si mangiava quasi tutto con le mani, che venivano pulite dai servi con l’acqua tra una portata e l’altra; oppure ci si portavano da casa dei ditali d’argento per non sporcarsi. Nel Medioevo, dove si condivideva il cibo e lo si mangiava con le mani, era necessario garantire agli ospiti di averle pulite e si lo si poteva fare pubblicamente sciacquandole in grosse ciotole d’argento disseminate sulla tavola. Anche alcuni antichi trattati gastronomici scritti in Asia e sotto l’Impero ottomano parlano di sfuggita di ciotole dove detergersi le mani, arricchite di monogrammi regali. Anthelme Brillat-Savarin, politico e gastronomo francese vissuto nell’Ottocento, racconta nel suo libro La fisiologia del gusto – pieno di aneddoti, consigli, riflessioni e ricordi, un modello per i libri di cucina a venire – che a fine Settecento le coppette erano usate per sciacquarsi la bocca: si beveva un sorso d’acqua e lo si risputava. Poi dall’Ottocento vennero usate soprattutto per pulirsi le dita.

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Il sito gastronomico Eater scrive che a fine Ottocento e inizio Novecento le ciotoline lavadita erano comuni nelle feste dell’alta società e nei ristoranti di lusso, sia in Europa che negli Stati Uniti: erano un simbolo di raffinatezza e cortesia. In particolare molti locali americani le consideravano, al pari della musica dal vivo, utili per darsi un tono e attirare clienti arricchiti, se non proprio aristocratici. Erano anche al centro delle speculazioni di molti libri di galateo e buone maniere rivolti alle giovani padrone di casa britanniche e americane. Poi, dal 1908, alcuni stati americani iniziarono una battaglia contro le cosiddette finger-bowls, soprattutto quelle in ottone, che erano ritenute anti-igieniche. Durante la Prima guerra mondiale la U.S. Food Administration, il dipartimento americano che si occupa di cibo e sicurezza alimentare, chiese non usarle più per evitare gli sprechi, riducendo anche l’argenteria, le porcellane e la cristalleria. L’invito venne rivolto di nuovo durante la Seconda guerra mondiale, poi dagli anni Cinquanta le coppette lavamani divennero fuori moda e andarono in disuso.

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Ora, nelle rare occasioni in cui appaiono, «mettono le persone a disagio e non sanno rendersi utili», scriveva nel 2002 Miss Manners, che dal 1978 tiene una rubrica a tema pubblicata in più di 200 giornali ed è considerata l’autorità in materia di buone maniere in America. Sempre lei suggerisce di tirarle fuori dalla credenza, semmai ne teneste lì, per le cene a base di finger-food, «come pannocchie e asparagi»: «in queste circostanze potrebbero tornare utili non solo per ripulirsi ma anche per normalizzare quel gesto e allontanare l’imbarazzo nelle occasioni formali. Oppure, come altre cose arcaiche, potrebbero funzionare nell’industria del fast food dove, nonostante gli sforzi delle salviettine umidificate, se ne sente il bisogno».

È possibile infatti che la ciotolina lavadita sia caduta in disuso anche grazie all’introduzione delle salviettine, la sua variante più informale ed economica, che venne inventata dall’americano Arthur Julius. Julius lavorava nell’industria dei cosmetici e lì ebbe l’idea di una salviettina umettata, comoda e igienica. Nel 1957 comprò un macchinario, che originariamente porzionava la zuppa, e iniziò a modificarlo in un loft a Manhattan. Inventò così le sue Wet-Nap e le presentò nel 1960 alla fiera nazionale dei ristoratori a Chicago. Nel 1963 Julius le propose a Harland Sanders, il fondatore della catena di fast food Kentucky Fried Chicken, il cui slogan era “It’s finger lickin’ good”, “così buono da leccarsi le dita” (che ha momentaneamente abbandonato con l’arrivo del coronavirus): in quello stesso anno le salviettine vennero introdotte da KFC.

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In India, invece, la ciotolina lavadita è ancora comune e popolare, o perlomeno lo era prima dell’arrivo della pandemia da coronavirus, quand’è stata sostituita dal gel disinfettante per motivi igienici. Era stata introdotta da britannici in epoca coloniale e si era diffusa anche perché ricordava l’uso locale di cospargere d’acqua una foglia di banano, usata come sottopiatto, per purificarla prima che il pasto venisse servito. Tra il 1840 e il 1930 l’uso venne consolidato dai maragià, che trasformarono la ciotolina in un simbolo di prestigio e spesso a tavola se ne portavano due, una per pulire le dita e una per gli anelli.

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Negli anni Venti, in India, le coppette erano servite nei club più elitari mentre nelle case aristocratiche erano riservate al padrone di casa. Anita Desai scrive per esempio nel romanzo Fasting, Feasting (1999) che il padrone di casa «è l’unico in famiglia a ricevere un fazzoletto e una coppetta lavadita; sono emblemi del suo stato». Alla fine degli anni Settanta le ciotoline comparvero in molti ristoranti di lusso mentre negli anni Ottanta venivano normalmente richieste se non erano già a tavola. Negli anni Novanta si diffusero anche nei ristoranti di dosa (le tipiche crespelle del Sud a base di riso e fagioli neri), posti informali dove si mangia con le dita: rendevano superfluo l’uso di lavabi e facevano contenti i clienti perché, come l’aria condizionata e i tappeti, davano l’idea che si stesse mangiando in un ristorante di un certo livello.

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