Trump le sta provando tutte
Vuole provare a convincere i parlamentari locali a ribaltare l'esito del voto popolare, mentre i suoi avvocati tirano in ballo il Venezuela, i «comunisti» e Soros
Il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, sta provando un ultimo estremo tentativo per evitare che la vittoria di Joe Biden alle presidenziali del 3 novembre diventi ufficiale, contattando politici e funzionari Repubblicani in diversi stati per convincerli a non certificare il risultato elettorale. La sua strategia è stata definita «una notevole intrusione nella politica locale» dal New York Times e il Washington Post ha parlato di una «sovversione della democrazia senza precedenti», ma questo tentativo è descritto come senza speranza dai media e dagli osservatori americani.
Giovedì intanto lo stato americano della Georgia ha finito il riconteggio dei voti espressi alle presidenziali, confermando la vittoria di Biden. Il riconteggio era stato innescato automaticamente dal ridotto scarto tra Biden e Trump, che era di meno dello 0,3%, corrispondente a circa 13.500 voti. Dopo il riconteggio il margine si è ulteriormente ristretto, ma di poco: Biden ha vinto di 12.284 voti, che sono – per fare un esempio – più di quelli che diedero la vittoria a Trump nel 2016 in Michigan.
Le autorità della Georgia hanno spiegato che il riconteggio non ha fatto emergere irregolarità rilevanti. Con i suoi 16 grandi elettori, peraltro, la Georgia non è stata determinante nell’assegnare la vittoria: Biden avrebbe anche potuto perderla, restando vincitore. Ma Trump da due settimane accusa quotidianamente di brogli Biden, senza portare alcuna prova e senza ammettere quindi la sconfitta. È un atteggiamento mai visto nella storia recente americana, che ha lo scopo esplicito di ribaltare l’esito del voto e sta già danneggiando la transizione tra le due amministrazioni, che normalmente sarebbe già cominciata, per permettere al governo di Biden di insediarsi il 20 gennaio ed essere immediatamente operativo.
La vittoria di Biden è stata netta: ha ottenuto 306 grandi elettori contro i 232 di Trump (gli stessi che Trump aveva vinto nel 2016) e oltre sei milioni di voti in più a livello nazionale. Trump ha cominciato a parlare di brogli soltanto due giorni dopo l’inizio dello scrutinio, quando la sua sconfitta è diventata evidente, e i suoi tentativi di ribaltare il risultato attraverso varie cause legali sono stati traballanti e infondati fin dall’inizio: finora non sono andati da nessuna parte subendo principalmente sconfitte e respingimenti.
Trump, che non si è fatto quasi mai vedere in pubblico nelle ultime settimane, ha invitato alla Casa Bianca i parlamentari Repubblicani del Michigan – dove ha perso di oltre 150mila voti – che entro lunedì dovranno votare per certificare la vittoria di Biden. Secondo le fonti del New York Times, Trump sta cercando di contattare funzionari e politici Repubblicani nei vari stati in bilico per evitare l’ufficializzazione della vittoria di Biden: finora infatti la sua principale argomentazione è stata che il risultato non è formalmente arrivato, ma soltanto previsto dai media. Secondo il New York Times, Trump vorrebbe che gli stati governati dai Repubblicani ma vinti da Biden non certificassero il voto e nominassero invece dei grandi elettori disposti a votarlo.
Questa strategia non sembra avere nessuna base legale, anche perché continua a non esserci alcuna prova che ci siano state irregolarità nel voto, e precedenti sentenze della Corte Suprema hanno teorizzato l’incostituzionalità di un voto dei grandi elettori di uno stato che non corrisponda a quello popolare. E non è affatto detto che i Repubblicani nei vari stati siano disposti ad andare contro la volontà degli elettori, un gesto senza precedenti e che provocherebbe probabilmente enormi proteste. Sono quindi tentativi che sembrano destinati a fallire. Joe Biden nel frattempo ha descritto Trump come «uno dei presidenti più irresponsabili nella storia americana».
Giovedì l’avvocato di Trump Rudy Giuliani ha tenuto un’altra bizzarra conferenza stampa per accusare Biden e i Democratici di brogli elettorali, sostenendo senza prove che sia avvenuta una cospirazione internazionale che avrebbe coinvolto «soldi dei comunisti», la Cina, il Venezuela e George Soros. Giuliani ha chiesto tempo per dimostrare le accuse in tribunale, anche se decine di ricorsi dei Repubblicani sono già stati respinti e in molti casi anche riguardo ad accuse ripetute nella conferenza di ieri: d’altra parte gli stessi ricorsi dei Repubblicani si limitano a parlare di brogli e irregolarità senza mai circostanziare l’accusa, o sostenendo cose dimostrabilmente false. Durante il suo discorso, peraltro, Giuliani ha apparentemente avuto un problema con la tinta dei capelli, che gli è colata in faccia insieme a dei rivoli di sudore. Il Washington Post ha titolato: «Il collasso post-elettorale di Giuliani sta cominciando a diventare letterale».
Molti osservatori hanno notato però preoccupati come la conferenza stampa di Giuliani non sia avvenuta stavolta in un parcheggio bensì nella sede del Partito Repubblicano, e che i contenuti della conferenza stampa – compreso lo smaccato tentativo di ribaltare l’esito del voto senza alcuna prova – sono stati rilanciati sui social network dagli account del Partito Repubblicano, segnalando una presa di Trump sul partito che non si è ancora allentata. Negli ultimi giorni i funzionari Repubblicani che hanno accertato la regolarità del voto hanno ricevuto insulti e minacce di morte, mentre Mitt Romney e Ben Sasse sono gli unici senatori del partito che hanno criticato duramente il comportamento di Trump.