Una canzone dei Talking Heads
E un negozio di dischi di Bologna, e un bar che suona la stessa canzone
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I Future Islands hanno fatto un remix della canzone migliore del disco di Matt Berninger: lui è molto contento, io insomma.
È uscito il disco del concerto solitario che Nick Cave aveva fatto qualche mese fa a Londra.
BBC Radio si sta barcamenando rispetto a trasmettere anche questo Natale una delle più amate canzoni di Natale di sempre, Fairytale of New York dei Pogues con Kirsty McColl, dopo che qualcuno si è lamentato dei termini “slut” e “faggot” nel testo.
Domani 20 anni fa uscì Stan: “L’unica vera grande canzone di Eminem deve metà del lavoro a Dido, cantante londinese di scarsa fama fino ad allora. Il rapporto con la canzone originale (“Thank you”) è piuttosto semplice: venne aggiunto un ritmo d’appoggio, e un rap tra ritornello e ritornello. Lo stesso, sarebbe ingiusto dire che il merito è tutto di Dido: il ritmo e il rap fanno il loro buon lavoro per dare un senso nuovo alla parte cantata. E soprattutto, la storia del folle fan che perseguita Eminem fino a far fuori la sua stessa ragazza incinta pur di ricattarlo, è tremenda e perfetta”.
Invece domenica compie 70 anni Little Steven, e godetevi questo video di lui con un suo amico: non quel suo amico, un altro suo amico (oppure questo di lui con Boldi, Celentano e Heather Parisi: «senti, Little»).
Heaven
A Bologna lo sanno tutti, cos’era Nannucci: un’istituzione cittadina e di fama nazionale, un grande e antico negozio di dischi di enorme popolarità e culto, anche per via della vendita per corrispondenza. C’era un Nannucci anche a Firenze, importante, aperto da altri della stessa famiglia. Chiusero entrambi tra il 2000 e il 2009, che il mondo era cambiato.
Da Nannucci a Bologna l’8 maggio del 1982 comprai il mio primo disco dei Talking Heads (insieme a IV di Peter Gabriel e Trespass dei Genesis), un famoso “doppio live”: avevo già diciassette anni e non avevo seguito le loro prime cose, ma naturalmente sapevo Psycho killer e Once in a lifetime. Poi mi misi in pari (mettersi in pari con le cose che hai trascurato è una delle esperienze più eccitanti della musica, quasi come innamorarsi: c’era lì qualcuno di meraviglioso, e non lo sapevi).
E in Playlist sintetizzai così:
“I Velvet Underground della generazione successiva, con David Byrne al posto di Lou Reed. Band americana innovativa e di culto: tra il punk e il colto prima, e poi tra il colto e il giocherellone. Per tutti gli anni Ottanta furono quelli da cui ci si aspettava sempre qualcosa, e da mettere su quando arrivavano ospiti a cena. Poi a un certo punto un ospite prendeva coraggio e diceva “si potrebbe abbassare un po’ la musica?”.
Heaven era nel loro terzo disco, del 1979, la loro canzone più semplice e perfetta. Com’è che non l’abbia messa in Playlist, non me lo spiego, e sono qui a fare ammenda. Con un refrain che già da solo è indimenticabile.
Heaven, heaven is a place, a place where nothing, nothing ever happens
E a proposito delle canzoni che celebrano le canzoni, di cui dicevamo ieri, il paradiso è un posto dove non succede niente, un bar dove suonano sempre la stessa canzone, la mia preferita.
Everyone is trying to get to the bar
The name of the bar, the bar is called Heaven
The band in Heaven, they play my favorite song
They play it once again, they play it all night long
E finito questo bacio, ricomincia lo stesso bacio: senza nessuna differenza, proprio lo stesso. Uno non se lo immagina, che il niente sia così eccitante e bello.
And when this kiss is over, it will start again
Will not be any different, will be exactly the same
It’s hard to imagine that nothing at all
Could be so exciting, could be this much fun
Buon weekend di niente, ci sentiamo lunedì.