In Bielorussia da 100 giorni è lo stesso giorno
Tanti ne sono passati dalla contestata rielezione del presidente Lukashenko: l'opposizione continua a protestare e non si vede una fine alla crisi
Sono passati ormai più di 100 giorni dalla contestatissima rielezione del presidente bielorusso Alexander Lukashenko, e dall’inizio delle enormi proteste di piazza contro il suo governo. Nonostante in questo periodo siano successe molte cose, in Bielorussia è tutto fermo: Lukashenko è riuscito a mantenere il potere grazie al sostegno della Russia, le opposizioni hanno ottenuto l’appoggio dell’Unione Europea che però non è andata oltre all’imposizione di sanzioni, e le forze di sicurezza bielorusse hanno continuato a reprimere duramente i manifestanti, arrestando migliaia di persone e uccidendone tre. E per il momento non sembra esserci una soluzione alla crisi.
Le proteste erano iniziate subito dopo le elezioni del 9 agosto, quando Lukashenko, che governa la Bielorussia in maniera autoritaria dal 1994, aveva sostenuto di avere ottenuto un improbabile 80% dei voti.
Negli ultimi mesi centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro il presidente, accusandolo di avere “rubato” le elezioni e di avere ordinato una durissima repressione contro i manifestanti. Dall’inizio delle proteste sono state arrestate circa 17mila persone, centinaia sono state picchiate dalle forze di sicurezza sia nella capitale Minsk che in altre città bielorusse, e sembra che quattro persone siano state uccise. L’ultima è morta il 12 novembre, dopo essere stata picchiata dalla polizia: si chiamava Raman Bandarenka, era un artista e aveva 31 anni.
Finora, nonostante l’appoggio dell’Unione Europea, l’opposizione bielorussa non è riuscita a trovare il modo di prevalere sul regime di Lukashenko; allo stesso tempo nemmeno la Russia, che avrebbe voluto sostituire Lukashenko con un altro politico più popolare ma comunque leale al governo di Mosca, è riuscita a trovare un’alternativa credibile.
Negli ultimi 26 anni al potere, infatti, Lukashenko ha fatto il vuoto attorno a sé: ha arrestato i suoi principali oppositori e i suoi potenziali successori, e ha mantenuto molto ridotti i poteri del parlamento. Rumen Dobrinsky, del Vienna Institute for International Economic Studies, ha detto ad euronews che «i sostenitori delle proteste non sembrano avere un vero peso politico e molto probabilmente potrebbero occuparsi solo della transizione di potere».
Sviatlana Tikhanovskaya, che arrivò seconda alla elezioni del 9 agosto, è in esilio in Lituania, dopo avere lasciato la Bielorussia per paura di ritorsioni del regime: la sua capacità di azione è piuttosto limitata, nonostante sia a capo di un Consiglio di coordinamento che riunisce oppositori ed esponenti della società civile. Inoltre Tikhanovskaya non ha esperienza politica, e non è chiaro quale sia il suo programma, se dovesse diventare presidente. Sembra che lei stessa abbia più volte detto di voler guidare il paese solo durante la transizione con l’obiettivo di organizzare nuove elezioni, libere e democratiche, senza però l’intenzione di ricandidarsi.
Un’alternativa sarebbe Viktar Babaryka, banchiere che prima delle elezioni era considerato il principale rivale di Lukashenko, ma che fu escluso dalla lista dei candidati dalla commissione elettorale, controllata dal regime. Il problema è che Babaryka, così come diversi altri oppositori, è stato arrestato e si trova ancora in prigione.
Ales Kirkievicz, giornalista, scrittore e membro del Fronte popolare bielorusso, ha detto che la debolezza delle opposizioni è il motivo per cui «molte persone, inclusa Tikhanovskaya, stanno parlando di cambiare tattica. […] Le autorità non sono pronte per un dialogo svolto nei termini dettati dall’opposizione, e l’opposizione non può offrire nulla di più che proteste di massa. Siamo in un vicolo cieco».
Domenica scorsa ci sono state le ennesime grandi manifestazioni in diverse città bielorusse, nonostante la repressione del governo. Il ministero dell’Interno bielorusso ha fatto sapere che 700 persone sono state arrestate in tutto il paese, anche se Viasna, organizzazione che si occupa di diritti umani, ha parlato di 1.291 arresti. Gli ultimi sviluppi hanno spinto l’Unione Europea a minacciare nuove sanzioni contro il regime, ma per ora non si vedono soluzioni a breve termine per uscire da questa situazione di stallo.