Gli Stati Uniti hanno autorizzato un primo test fai-da-te per il coronavirus
Potrebbe semplificare la ricerca dei casi positivi, ma ci sono dubbi sulla sua affidabilità; anche in Italia sono in corso alcune sperimentazioni
La Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di farmaci, ha autorizzato il primo test rapido fai-da-te per il coronavirus, da utilizzare in casa e senza la necessità dell’assistenza di un operatore sanitario. L’approvazione di emergenza ha riguardato un kit prodotto dall’azienda californiana Lucira Health e potrebbe portare, nelle prossime settimane, all’autorizzazione di altri prodotti simili negli Stati Uniti.
Soluzioni di questo tipo potrebbero contribuire a ridurre il carico di lavoro per i laboratori, ma secondo diversi esperti devono essere impiegati con cautela perché talvolta forniscono risultati meno affidabili. Da qualche tempo la loro sperimentazione è stata avviata anche da alcune regioni italiane, con esiti da valutare.
Il test di Lucira Health approvato dalla FDA può essere impiegato solo dietro prescrizione di un medico, e non può essere effettuato in autonomia da individui con meno di 14 anni di età. Il principio di funzionamento è comunque piuttosto semplice e non è invasivo.
Nella confezione c’è un tampone, più piccolo di quelli utilizzati nelle cliniche e negli ospedali per i prelievi, e più simile a un normale cotton fioc. Invece di inserirlo in profondità nelle cavità nasali, come avviene con il test che siamo ormai abituati a chiamare “del tampone” (molecolare), deve essere strofinato per alcuni secondi all’interno delle narici, per raccogliere muco e cellule epiteliali dove potrebbe trovarsi il virus.
Il piccolo tampone deve essere poi inserito all’interno di una fiala che contiene alcuni reagenti. Terminata l’operazione, la fiala deve essere inserita in un piccolo dispositivo a batteria, che entro 30 minuti mostra il risultato accendendo una luce LED su “positivo” o “negativo”.
Per verificare l’affidabilità del prodotto, i ricercatori di Lucira hanno condotto test molecolari su un certo numero di individui e poi li hanno ripetuti con il loro test fai-da-te. Il dispositivo è stato in grado di rilevare il 94 per cento dei casi positivi identificati con il test molecolare, e ha identificato il 98 per cento degli individui sani e senza un’infezione da coronavirus in corso.
Il livello di accuratezza del sistema sembra essere sufficiente, anche se non raggiunge quello del test molecolare, più raffinato, ma che richiede molto più tempo per essere eseguito con un prelievo da parte di un professionista e l’impiego di macchinari più sofisticati in laboratorio.
Il test è usa e getta e ogni kit costa intorno ai 50 dollari. Lucira dice che potrebbe essere impiegato non solo a casa, ma anche nelle cliniche per avere più velocemente una diagnosi, soprattutto nei casi dei minori di 14 anni, con i quali non è sempre semplice effettuare il test con il classico tampone.
I responsabili dell’FDA ritengono che il nuovo test possa migliorare la rilevazione dei nuovi casi positivi, consentendo un isolamento precoce di chi risulta positivo e potrebbe essere contagioso. Negli Stati Uniti, chi è positivo a un test per il coronavirus deve isolarsi per 10 giorni dalla comparsa dei sintomi o dal giorno in cui ha eseguito l’esame se è asintomatico.
Non tutti sono però convinti che i test fai-da-te siano una buona soluzione. Se da un lato è vero che consentono di potenziare la ricerca dei casi positivi e a costi contenuti, dall’altro, come detto, non offrono un livello di accuratezza paragonabile ai test molecolari e questo potrebbe indurre gli individui che risultano falsamente negativi a continuare ad avere interazioni sociali, contribuendo alla diffusione del contagio.
In Italia proprio all’inizio di questa settimana il governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, ha presentato nel corso di una conferenza stampa un kit fai-da-te simile a quello di Lucira, ma che utilizza un tester (una scatoletta di plastica) che ricorda quello dei test di gravidanza. Roberto Rigoli, coordinatore dell’iniziativa e vicepresidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani, ha spiegato che nella prima fase sperimentale il test sarà impiegato in diverse province del Veneto, ma in parallelo con le analisi molecolari. I risultati dei due tipi di test saranno poi messi a confronto per verificare l’affidabilità di quello fai-da-te.
La documentazione sarà in seguito fornita all’Istituto Superiore di Sanità, che si occupa della validazione. Il test ha un costo di produzione intorno ai 3 euro per ogni kit, che comprende il piccolo tampone da strofinare nelle narici, la fiala con i reagenti e il tester.
In Toscana l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze ha sviluppato nei propri laboratori il test “Uffa!” che ha da poco concluso la prima fase di sperimentazione, avviata lo scorso 6 ottobre. In circa un mese sono stati effettuati 803 “tamponi autosomministrati” nelle narici in parallelo con quelli che prevedono l’impiego del tampone classico, che va più in profondità. I campioni sono stati poi analizzati in laboratorio ed è stata riscontrata una “completa sovrapponibilità delle due metodiche di somministrazione e la sostanziale equivalenza dal punto di vista diagnostico”.
Nel caso del sistema del Meyer, la parte fai-da-te riguarda solamente il prelievo e non l’analisi del campione, che viene poi effettuata con le normali tecniche di laboratorio dei test molecolari. I responsabili dell’iniziativa ritengono però che in questo modo si possano effettuare più prelievi, offrendo un sistema più pratico e meno fastidioso soprattutto per i bambini.