“Scrivere nel presente”, un corso per raccontare il mondo di oggi
Alla Scuola Belleville di Milano, con lo scrittore Marco Balzano e la partecipazione di filosofi, economisti e scienziati
Il 24 novembre comincia la seconda edizione del corso “Scrivere nel presente” organizzato dalla Scuola di scrittura Belleville di Milano. Il tema del corso è la relazione tra letteratura e Storia. Ogni romanzo rispecchia l’epoca in cui è scritto, ne è ispirato, influenzato e (talvolta) può influenzare il proprio tempo.
L’obiettivo del corso è fornire un metodo per migliorare la rappresentazione letteraria del presente, assorbendo nel racconto conoscenze tratte da altre discipline. Per questo, accanto alle lezioni tenute dallo scrittore Marco Balzano, sono previsti incontri con alcuni dei più importanti filosofi, scienziati, matematici ed economisti italiani: Maurizio Ferraris, Alfio Quarteroni, Elena Casetta, Maurizio D’Incalci, Vittoria Brambilla, Enrico Terrone, Carlo Sini. Nell’arco del corso ogni studente potrà lavorare a un progetto narrativo in cui la storia individuale e quella collettiva confluiscono. Alla fine del corso gli studenti potranno presentare i loro lavori a editor e agenti letterari.
Belleville ha intervistato il docente Marco Balzano, autore dei romanzi Il figlio del figlio (Avagliano 2010), Pronti a tutte le partenze (Sellerio, Premio Flaiano 2013), L’ultimo arrivato (Sellerio, Premio Campiello 2015) e Resto qui (Einaudi, candidato al Premio Strega 2018).
Ogni romanzo è legato al tessuto storico, sociale, culturale in cui nasce. La grande letteratura, però, ci parla in ogni epoca. Cosa rende un romanzo particolare e universale allo stesso tempo?
L’unico modo che abbiamo di catturare chi non ha fatto esperienza del tempo, delle vicende, dei valori e persino della lingua della storia che vogliamo narrare, è calare quanto più possibile i fatti in un contesto reale, coerente e credibile. La narrativa è nemica dell’astrazione, si alimenta di fatti e di tratti specifici, mai di concetti generici. Il romanziere, quando comincia a scrivere, è ormai sicuro di avere tra le mani non un aneddoto, ma un fatto di una valenza talmente ampia da travalicare il contesto in cui è nato. Il lettore, del resto, è portato per sua natura a sovrapporre e a proiettare altre esperienze su quelle che incontra tra le pagine perché, come sappiamo, uno dei principali piaceri della lettura è il confronto che essa innesca. Il patto si sancisce se chi scrive rende possibile delle identificazioni per chi legge, che dal canto suo deve compiere lo sforzo di astrarre.
Proviamo a spiegarlo con un esempio: Quando leggo A sangue freddo di Truman Capote, trovo la descrizione dettagliata di una famiglia americana di provincia e trovo i particolari dell’assassinio che si consuma nella loro casa, ma da quell’evento specifico riesco a ricavare un senso più universale sul fallimento del sogno americano, sulle dinamiche complesse di una società moderna e su quelle, più misteriose, della violenza.
La documentazione è una parte essenziale del lavoro di uno scrittore. Quanto può durare questo lavoro? Come si fa a capire quando si è “pronti” per scrivere?
Ognuno ci arriva a suo modo, con tempi e strade assolutamente personali. Dunque sono costretto a parlare per me: sono pronto quando la storia non riesce più a stare dentro, quando sono giunto a una saturazione stressante e quando ho la sensazione di saperne ormai molto di più di ciò che mi serve perché ho accumulato una mole di materiale maggiore di quella che effettivamente entrerà nel racconto. Ognuno ha la sua capienza, ma il senso di pienezza e di traboccamento ciascuno senz’altro lo avverte. A quel punto scrivere equivale anche a liberarsi di un peso, nel tentativo di dare un corpo alla storia e di trovare un posto alle parole.
Spesso i libri più legati all’attualità – gli “instant book” – sono quelli che vengono dimenticati più rapidamente. Qual è la differenza tra scrivere del presente e scrivere nel presente?
La letteratura non è la cronaca: non ha, in sé, un imprescindibile bisogno del presente. Ha la necessità, invece, di stare nel presente perché l’esigenza che la origina è il tentativo di illuminare il tempo in cui lo scrittore vive. Ogni scrittore è, infatti, testimone del presente e la sua opera sussiste se prova a prenderne le misure, a interrogarlo, a ragionare sugli elementi che non si ricompongono. Ma – qui sta la differenza – uno scrittore può parlare dell’oggi anche narrando il passato perché il racconto è sempre una trasfigurazione, non è mai un resoconto, una relazione pedissequa, una semplice cronaca. Ci si potrebbe chiedere come mai il passato in letteratura riesca a gettare una luce sul presente, e una risposta c’è: noi scegliamo di raccontare solo quel passato che interroga ancora l’oggi, non quello che è ormai materia inerte, né quell’altro che non ha più la forza per uscire dal suo alveo, e nemmeno quello che riguarda solo i nostri ricordi. Del passato ci interessa sempre la memoria, che etimologicamente, infatti, si ricollega a un verbo greco che vuol dire “progettare”, proprio perché la memoria è un passato che guarda in avanti, che mette in discussione il presente e che richiede la capacità, progettuale appunto, di essere ordinatamente raccontata.