Cos’è questa storia del coronavirus in Italia già nell’estate 2019
È stata ripresa dai giornali una ricerca condotta su campioni di sangue prelevati all'epoca: vediamo
Negli ultimi giorni è stato molto ripreso e commentato – su giornali e social network – uno studio secondo il quale il coronavirus (SARS-CoV-2) sarebbe stato in circolazione in Italia già alla fine dell’estate del 2019, quindi molti mesi prima della sua identificazione in Cina e in altre aree del mondo. Come molte altre ricerche sulla pandemia in corso, anche questa dovrebbe però essere trattata con cautela e senza arrivare a conclusioni affrettate. Secondo alcuni esperti, lo studio non fornisce prove sufficientemente solide per affermare che il coronavirus fosse già in circolazione in Italia tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 2019.
L’analisi è stata realizzata da un gruppo di ricercatori italiani, con fondi provenienti dall’Istituto dei Tumori, dal ministero della Salute e dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC), ed è stata pubblicata su Tumori Journal, la rivista scientifica dello stesso Istituto.
I ricercatori hanno analizzato 959 campioni di sangue provenienti da altrettanti individui, che avevano partecipato a un test clinico di controllo sul tumore al polmone tra settembre 2019 e marzo 2020. Per ogni campione sono andati alla ricerca dell’eventuale presenza di anticorpi specifici (RBD) contro il coronavirus. Nel loro studio dicono di averne trovati in 111 casi, pari all’11,6 per cento degli individui da cui erano stati effettuati i prelievi.
Nei campioni di settembre 2019 i casi sono stati il 14,2 per cento, con percentuali ancora più alte a ottobre 2019 e soprattutto a marzo 2020, quando l’epidemia era sempre più diffusa nel Nord Italia, ma molto più basse nei mesi intermedi. La presenza degli anticorpi a settembre indicherebbe che il coronavirus fosse già presente almeno ad agosto del 2019, perché occorre del tempo da quando si contrae il virus a quando si sviluppano e poi si mantengono alcuni tipi di anticorpi per contrastarlo.
Nel riassunto dello studio, i ricercatori sostengono che:
Questo studio dimostra una circolazione inattesa e molto precoce del SARS-CoV-2 tra individui asintomatici in Italia diversi mesi prima che fosse identificato il primo paziente, e mette in chiaro l’avvio della diffusione della pandemia e della COVID-19. L’avere trovato anticorpi per il SARS-CoV-2 negli individui asintomatici prima dell’epidemia di COVID-19 in Italia potrebbe portare a una riscrittura della storia della pandemia.
Le conclusioni dello studio sono piuttosto categoriche e anche per questo motivo hanno fatto sollevare perplessità da alcuni ricercatori, che non hanno partecipato allo studio.
Stando alle ricostruzioni effettuate finora sulla circolazione del coronavirus sulla base di svariate evidenze scientifiche, il primo caso confermato di infezione fu rilevato in Cina il 17 novembre 2019, con un altro caso sospetto e meno facile da confermare in Francia verso la fine di dicembre.
Uno studio molto più ampio e documentato, basato sulla rilevazione delle acque di scarico, dove possono essere rilevate tracce del materiale genetico del coronavirus, ha segnalato che probabilmente il SARS-CoV-2 fosse presente in Italia a dicembre del 2019, e che potesse avere causato un certo numero di casi, non identificati perché all’epoca non si avevano praticamente informazioni o conoscenze su questo specifico virus.
Lo studio sui campioni di sangue porterebbe ad anticipare la presenza del coronavirus in Italia di tre mesi, possibilità che non convince tutti. Il direttore dell’Istituto di Genetica dello University College London (Regno Unito), Francois Balloux, ha spiegato che l’analisi genetica del SARS-CoV-2 indica che il passaggio da un animale ospite agli esseri umani avvenne tra ottobre e novembre del 2019 in Cina, e che successivamente il virus si diffuse con una certa velocità in Europa. Secondo Balloux, non ci sono evidenze né elementi per collocare la presenza del coronavirus in Italia ad agosto dello scorso anno.
Un’ipotesi è che nell’analizzare i campioni di sangue i ricercatori siano incappati in anticorpi che il nostro organismo impiega già da tempo contro altri coronavirus, che causano il raffreddore comune. Le informazioni sulla metodologia seguita per le analisi nel nuovo studio non sono però molte, e questo complica la valutazione dei risultati.
Altri esperti hanno fatto notare che il metodo di ricerca degli anticorpi possa avere compreso l’impiego di test poco accurati, che possono portare a rilevare anticorpi che il nostro organismo produce contro altri virus. Altri dubbi sono emersi nelle valutazioni statistiche, considerato che il 14,2 per cento riferito a settembre di presunti casi positivi sarebbe un dato molto alto, anche se rapportato alle aree del Nord Italia dove a inizio anno si sarebbe poi registrato il maggior numero di casi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è messa in contatto con gli autori della ricerca, in modo da ottenere dati per ulteriori approfondimenti.