Cosa succede in Perù
Il nuovo presidente, in carica da meno di una settimana, si è dimesso dopo giorni di proteste e due morti
Manuel Merino, che giovedì aveva prestato giuramento dopo la contestata rimozione del suo predecessore Martín Vizcarra, si è dimesso dall’incarico dopo meno di una settimana, costretto a farlo da giorni di proteste che avevano causato anche la morte di due persone.
Le proteste erano iniziate in modo spontaneo nella capitale Lima lunedì dopo il voto con cui il parlamento aveva deciso la rimozione di Vizcarra, ma si sono allargate a tutto il paese coinvolgendo soprattutto i più giovani. La polizia ha reagito usando in più occasioni gas lacrimogeno e proiettili di gomma, ferendo decine di persone e ricevendo accuse di violenze e abusi. Dopo che sabato due persone erano morte negli scontri, tredici ministri del nuovo governo di Merino si erano già dimessi. Domenica Merino ha fatto lo stesso, con un messaggio in cui ha chiesto «pace e unità per tutti i peruviani».
In Perù la situazione politica è molto precaria da anni. e diversi presidenti sono stati accusati di corruzione: due sono in carcere, uno è in attesa di processo e uno è indagato.
Dal 1990 al 2000 il paese fu governato da Alberto Fujimori, che terminò i suoi mandati tra accuse di corruzione e di violazione dei diritti umani, e che ora è in carcere dopo essere stato condannato in diversi processi a suo carico. Ollanta Humala fu presidente dal 2011 al 2016 ed è a sua volta stato accusato di corruzione: è stato arrestato nel 2018 e adesso è in attesa di essere processato. Pedro Pablo Kuczynski, economista e politico molto noto in Perù, fu eletto presidente nel 2016 ma si dimise due anni dopo: anche lui fu accusato di corruzione nell’enorme scandalo Odebrecht (lo stesso che in Brasile ha portato all’impeachment di Dilma Rousseff). È in carcere in attesa di processo.
Dopo le dimissioni di Kuczynski, diventò presidente il suo vice, Martín Vizcarra, un politico centrista e non affiliato ad alcun partito. La presidenza di Vizcarra è stata segnata dai tentativi di riformare il sistema giudiziario e dai molti conflitti con il parlamento, dove dal 2016 al gennaio 2020 ebbe la maggioranza Fuerza Popular, il partito di destra populista fondato da Keiko Fujimori (figlia dell’ex presidente).
Accusando i parlamentari di ostruzionismo, nel settembre 2019 Vizcarra aveva sciolto il parlamento e indetto nuove elezioni straordinarie, che lo scorso gennaio si erano concluse senza che nessun partito avesse la maggioranza e senza che il paese ne uscisse politicamente più stabile.
Nell’ultimo anno, mentre il Perù ha dovuto affrontare una grave crisi economica e la pandemia da coronavirus, anche Vizcarra è finito in mezzo a un’indagine per corruzione, per fatti legati a quando era governatore della regione di Moquegua: e per quelle accuse si è arrivati alla sua rimozione da presidente, lunedì 9 novembre.
Alcuni testimoni sentiti dai procuratori che stanno indagando su Vizcarra hanno sostenuto che tra il 2014 e il 2016, quando era governatore, Vizcarra ricevette 1.300.000 sol (circa 300.000 euro) in cambio dell’assegnazione di appalti edili. Le accuse sono state pubblicate sui giornali lo scorso ottobre, insieme ad alcuni documenti riservati della procura, e hanno dato nuova forza agli oppositori di Vizcarra in parlamento, che già a settembre avevano provato ad approvare una mozione di impeachment contro di lui, fallendo. Vizcarra ha sempre definito infondate le accuse, ma quando lunedì il parlamento ha votato a larga maggioranza per la sua rimozione ha accettato la decisione e non si è opposto.
La rimozione di Vizcarra, tuttavia, non è stata accettata dall’opinione pubblica. Non è chiaro se per un particolare apprezzamento nei suoi confronti, per lo sfinimento dovuto all’ormai cronica instabilità politica o perché in pochi credevano alle ultime accuse, come registrato da un sondaggio di poche settimane fa. Vizcarra, inoltre, è stato rimosso dall’incarico con uno strumento costituzionale previsto per casi di grave e provata inadeguatezza del presidente: le accuse nei suoi confronti non sono nemmeno arrivate a un processo, per ora.
Lunedì, dopo la notizia del voto contro Vizcarra, sono cominciate le prime proteste spontanee davanti alla sede del parlamento, a Lima. Le proteste sono continuate nei giorni seguenti, dopo che martedì il presidente del Parlamento, Manuel Merino – del partito di centrodestra Acción Popular –, aveva giurato come nuovo presidente come previsto dalla costituzione. Il passaggio di poteri a Merino è stato visto da molti come una sorta di colpo di stato, anche se Merino aveva garantito che sarebbe rimasto al potere solo fino alle elezioni previste per il prossimo aprile.
Le manifestazioni si sono allargate ad altre città, ci sono stati i primi scontri con la polizia e venerdì si è arrivati ad alcune delle proteste di piazza più partecipate dell’ultimo ventennio, ha scritto il Guardian. Ancora sabato, in tantissime città del paese ci sono stati cortei e proteste di vario genere, finite in più di un’occasione in scontri con la polizia. Durante le manifestazioni di sabato due persone, un ventiduenne e un ventiquattrenne, sono state uccise da colpi di arma da fuoco e decine sono state ferite. La polizia è stata accusata di non aver saputo gestire la situazione e di aver usato violenza eccessiva contro i manifestanti.
la Policía ha lanzado más de diez bombas lacrimógenas a la multitud que protestaba contra Merino en el cruce de Abancay con Colmena. Muchos han caído cuando intentaban huir. Aún siguen reprimiendo a la gente #12N #MerinoNoEsNuestroPresidente pic.twitter.com/I1wVGYcR8z
— Útero.Pe (@uterope) November 13, 2020
Ci sono diverse testimonianze dell’uso di gas lacrimogeni contro manifestanti pacifici e del fatto che la polizia abbia più volte sparato proiettili di gomma contro chi protestava, contrariamente a quanto sostenuto dal ministero dell’Interno.
Alonso Chero, reportero gráfico de @elcomercio_peru, muestra la canica que le dispararon en la espalda. Gravísimo esto. pic.twitter.com/jkUzVgYnc5
— Ricardo León (@erreleon) November 14, 2020
Alla notizia delle due persone uccise durante le manifestazioni, tredici ministri del governo appena formato si sono dimessi: tra loro anche il nuovo ministro dell’Interno Gastón Rodríguez, accusato di aver mentito sulle violenze della polizia. Sabato, Merino aveva sostenuto pubblicamente che le proteste non fossero contro di lui, e che fossero solo una manifestazione di scontento per il cattivo andamento del paese. Domenica ha infine rassegnato le sue dimissioni «irrevocabili» da presidente.