I cinema sono chiusi, il cinema no
Diverse produzioni sono ripartite, ma la pandemia sta cambiando tempistiche, regole sul set, format e tematiche: si parlerà anche di coronavirus?
di Gabriele Gargantini
In gran parte del mondo i cinema sono chiusi. E anche dove sono aperti, quasi sempre mancano grandi e nuovi film da mostrare. Dopo Tenet, arrivato in sala il 26 agosto, nessun altro film importante è arrivato nei cinema. Alcuni sono usciti o usciranno in streaming – con un costo extra rispetto all’abbonamento (è il caso del nuovo Mulan) oppure come parte del pacchetto esistente (è il caso del nuovo Borat). Per moltissimi altri, l’uscita è slittata al prossimo anno, anche se – come hanno mostrato gli ultimi mesi – ogni data di uscita annunciata è tutt’altro che sicura. Mentre i cinema sono fermi, il cinema – inteso come settore produttivo – si sta però muovendo, e sia in Italia che all’estero in certi set il lavoro è ricominciato. Seppur con tempi e costi più alti rispetto al passato, e con pochissime certezze su quello che succederà nei prossimi mesi, su come saranno i film che vedremo, e su dove li vedremo.
Prima di arrivare alle produzioni in corso, uno sguardo al recente passato.
Tenet
Tenet, atteso «come una luce nelle tenebre», ha incassato nel mondo 350 milioni di dollari. Sarebbe esagerato parlare di fallimento (solo in Italia ha avuto quasi un milione di spettatori), ma di certo non è stato un successo: 350 milioni sono meno di quanto, secondo le stime, è costato produrlo, distribuirlo e promuoverlo, e almeno per ora la sua uscita è un’operazione in perdita. Pandemia a parte, può essere che il film sia piaciuto poco. In ogni caso, Tenet più che una promessa di rinascita è diventato una promessa non mantenuta, anzi secondo il critico Guy Lodge è stato addirittura «un agnello sacrificale». Vedendo i risultati non entusiasmanti del film, infatti, nessun altro produttore o regista ha poi provato a “fare come Tenet“.
– Leggi anche: Non è bastato nemmeno Tenet
Vista la grande disponibilità di servizi che offrono contenuti in streaming (spesso direttamente legati a case di produzione), qualcuno ha provato quindi a far uscire i nuovi film in questo modo.
Borat e Mulan
Per un film come il nuovo Borat – dai costi relativamente contenuti e strettamente legato agli ultimi mesi (perché parla di coronavirus e per quello che aveva da dire su un paese che di lì a pochi giorni avrebbe eletto il suo nuovo presidente) – era quasi l’unica soluzione possibile.
Per un film come Mulan – molto più costoso e molto meno legato al qui-e-ora – la questione è più complicata. A settembre Disney, che aveva prodotto il film, aveva scelto di farlo uscire in streaming, in gran parte del mondo sul suo Disney+ (in Italia per un costo di 21,99 euro) e dove si poteva (per esempio in Cina) nei cinema. Non ci sono dati esatti, ma la convinzione prevalente è che anche l’uscita di Mulan non sia andata granché bene: non sono state molte le persone che hanno deciso di pagare soldi extra per vedere un film da casa, sapendo che dopo qualche settimana quel film sarebbe entrato nel normale pacchetto disponibile agli abbonati, senza costi extra. Con ogni probabilità, così come Tenet, anche Mulan ha portato meno soldi di quanti ne fosse costato. Di nuovo, può essere in parte colpa del film (non un capolavoro, e per di più con diversi problemi di altro tipo), ma anche in questo caso si può dire che Mulan abbia mostrato che, per film con un alto budget, rinunciare del tutto ai cinema è quantomeno molto problematico.
– Leggi anche: I problemi di Mulan
James Bond e gli altri
Gli esempi di Tenet e Mulan hanno portato diversi film “da cinema” (in particolare i blockbuster, i film della Marvel, i film dei grandi registi, i film da più di 100 milioni di dollari di budget) a prendere tempo in attesa di tempi migliori. Nel caso di No Time to Die – il nuovo film di James Bond e uno dei più attesi dell’anno – qualche settimana fa si era parlato di una possibile asta da parte dei principali servizi di streaming per ottenerne i diritti per mostrarlo via internet anziché nei cinema. Erano solo voci, seppur raccontate da fonti affidabili come Variety, ma sono utili per farsi un’idea di quanto potrebbe costare per Netflix o un suo concorrente, comprarsi il nuovo film di James Bond: secondo Variety, circa 600 milioni di dollari.
Sempre ricordando che si tratta di voci (e che al momento No Time to Die è previsto per aprile, nei cinema) 600 milioni di dollari sono quindi i soldi che, più o meno, chi l’ha prodotto si aspetta di poter raggiungere con i suoi incassi; e che anche una società come Netflix farebbe gran fatica a spendere. Perché è difficile pensare che quei soldi sarebbero recuperati attraverso nuovi abbonati (o vendendo il film a parte, come nel caso di Mulan). E anche perché, a differenza di Roma o The Irishman, No Time to Die sarebbe percepito solo come un film su Netflix, e non come un film di Netflix.
In lista d’attesa, insieme a No Time to Die, a oggi c’è gran parte del cinema che ci saremmo aspettati di vedere quest’anno. Tra i film che sarebbero dovuti uscire nel 2020 e che invece sono stati spostati al 2021 ci sono, tra gli altri: A Quiet Place II, Assassinio sul Nilo, Black Widow, Candyman, Deep Water, Dune, The Eternals, F9, The French Dispatch, Ghostbusters: Afterlife, Godzilla vs. Kong, In the Heights, Top Gun: Maverick e West Side Story, quest’ultimo direttamente spostato dal dicembre 2020 al dicembre 2021.
In molti casi, film previsti per la primavera di quest’anno erano stati spostati a dopo l’estate, e poi alla primavera del prossimo anno. La cosa ha generato un effetto domino, perché se un film previsto per settembre uscirà ad aprile, quello che la stessa casa di produzione aveva previsto per aprile dovrà uscire più avanti. E ancora: nessuno farà uscire un film d’azione nei cinema lo stesso giorno del nuovo James Bond, visto che si ruberebbero spettatori a vicenda. Inoltre per ogni saga o serie serve che passino alcuni mesi tra un film e l’altro, per promuovere e sfruttare al massimo sia uno che l’altro.
Ci sono eccezioni – il film di animazione Soul arriverà su Disney+ a Natale – ma in genere, per i film più attesi la scelta è stata di rimandarli, sperando che tra qualche mese uscire di casa e andare in un cinema sarà qualcosa di possibile e, soprattutto, percepito come sicuro dagli spettatori.
Intanto
Dopo che a marzo diverse produzioni, anche quelle più grandi, erano state sospese o rimandate, da qualche tempo gli ingranaggi del cinema hanno ricominciato a girare in gran parte del mondo, Italia compresa. Paolo Sorrentino ha iniziato e già ultimato le riprese del suo È stata la mano di Dio; tra Roma e Taranto si sta girando Mondocane, con Alessandro Borghi; Tom Cruise è impegnato a Venezia (dopo esserlo stato a Roma) per Mission: Impossible 7, il cui set era stato chiuso a febbraio; per Dwayne Johnson, invece, hanno ricostruito ad Atlanta un pezzo di Castel Sant’Angelo.
Nel Regno Unito sono finalmente finite le tortuose riprese di Jurassic World: Dominion, un blockbuster da 200 milioni di dollari; in Nuova Zelanda sono terminate le riprese di Avatar 2; sempre nel Regno Unito sono ricominciate (dopo una sospensione dovuta alla positività del protagonista Robert Pattinson) le riprese del nuovo Batman e in Australia Baz Luhrman ha riaperto il set del suo film su Elvis Presley, che era stato chiuso dopo che Tom Hanks era risultato positivo al coronavirus.
Non tutte le produzioni che erano state fermate o posticipate sono ripartite, e va detto che per ora, come si vede tra l’altro dagli esempi qui sopra, molti film “di Hollywood” stanno comunque scegliendo di restare alla larga da Hollywood, scegliendo di mettere altrove i set, magari in luoghi più isolati e quindi controllabili, meglio se in paesi con relativamente pochi casi nelle ultime settimane e con qualche tipo di incentivo e assicurazione per le produzioni: a Vancouver, per esempio, le produzioni sono maggiori di quelle di qualsiasi momento nel 2019. Ma anche dalle parti di Los Angeles i set e le macchine stanno riprendendo a girare.
Però
Non si può dire, però, che sui set sia business as usual, che sia tutto come prima. Perché, come disse durante l’estate il dirigente di una delle più importanti case cinematografiche di Hollywood, parlandone a Variety, chiedere alla macchina produttiva del grande cinema di ripartire «è come chiedere a un elefante sotto tranquillanti di rialzarsi». E inoltre perché girare durante una pandemia comporta comunque una lunga serie di costi e problemi. Ci sono protocolli da rispettare (quello base per le produzioni italiane è questo), regole da seguire, distanziamenti da mantenere.
– Leggi anche: La fase 2 di Hollywood
Durante l’estate, quando le riprese erano ancora in corso, il New York Times raccontò nel dettaglio le precauzioni prese sul set di Jurassic World: Dominion. Chiunque lavorasse sul set – al quale si poteva accedere solo dopo i test del caso e comunque dopo un isolamento di due settimane – doveva rispettare una serie di regole, presentate in un manuale da 107 pagine. C’erano due gruppi principali: quello degli attori e delle persone indispensabili durante le riprese vere e proprie, e quello di tutti gli altri. Durante gli oltre 100 giorni di riprese sono stati fatti circa 40mila tamponi complessivi (lo 0,25 per cento dei quali ha dato esito positivo).
Il vero problema, comunque, sono i soldi. Produrre film diventa più rischioso se un focolaio può bloccare le riprese, se la legge di uno stato può improvvisamente far chiudere un set o se mentre si gira un film non si sa come, dove e quando potrà arrivare agli spettatori. Oltre a queste considerazioni, ci sono poi dei veri e propri costi che prima non c’erano: per avere sul set tamponi e qualcuno che li faccia, per disinfettare oggetti e locali e per rispettare tutte le nuove regole. Inoltre, va da sé che più regole e limitazioni ci sono e più le riprese diventano lente, aumentando quindi i giorni di lavorazione, e di conseguenza i costi.
Nel caso di Jurassic World: Dominion è stato stimato che le spese aggiuntive in qualche modo legate alla pandemia siano state di 9 milioni di euro, cioè l’intero budget di un importante film italiano. A maggio, Variety scrisse che ci si aspettava un aumento dei costi fino al 20 per cento. Più di recente Meghan Durkin, analista di Credit Suisse, ha parlato all’Hollywood Reporter di come i soli costi di assicurazioni per le produzioni (un tempo pari a meno dell’1 per cento del budget totale) siano ora tra l’8 e il 10 per cento, e di come il possibile aumento dei costi potrebbe addirittura essere compreso tra il 21 e il 29 per cento.
E tutti questi discorsi valgono ovviamente per i film grandi, con attori famosi e produzioni importanti, straniere o italiane. Perché al momento, vista la situazione, è difficile pensare che una piccola casa di produzione riesca ad attrezzarsi per investire su un regista esordiente e sul suo film “indipendente”. Per tante grandi produzioni che riprendono, insomma, ci sono tante persone che non stanno lavorando, o che lo fanno con grandi precarietà.
Il cinema che arriverà
Finora, i primi film “girati durante la pandemia” che sono arrivati agli spettatori (quasi sempre in streaming) sono stati film sulla pandemia o comunque sul lockdown. Ma visto che ci sono produzioni iniziate (e addirittura già finite) durante la pandemia, si può già ragionare un po’ su come potrebbero essere i film dei prossimi anni.
L’opinione prevalente è che, come logico, c’è da aspettarsi meno riprese in giro per il mondo, meno scene affollate, e non troppi contatti fisici tra attori. C’è chi ipotizza, addirittura, che a questo scopo potrebbero essere privilegiate le coppie di attori che sono una coppia anche nella vita vera, per limitare i problemi di prossimità. Sono perlopiù ipotesi e ogni regola ha già la sua smentita (Tom Cruise a Roma e a Venezia sta girando scene all’aperto, per un film d’azione che si svolge in giro per il mondo), ma è chiaro che mettere l’attore protagonista, magari pagato milioni di dollari, in mezzo a 300 comparse in una scena di battaglia è un grande rischio, anche solo dal punto di vista economico. Come ha scritto il Washington Post, secondo diversi esperti un film come Braveheart, che usò 1.600 comparse, «non arriverebbe nemmeno vicino all’essere fatto, di questi tempi» (non tutto, non sempre, si può fare a computer).
Anche trovando il modo di girare ogni scena che si vuole girare, c’è poi un altro ordine di problemi. Che gira attorno a una domanda: i film girati in questi mesi devono fingere che la pandemia non ci sia stata, ambientando le loro storie in una sorta di mondo parallelo in cui ci si stringe la mano e si chiacchiera in metropolitana senza mascherina, o devono, nelle loro storie, prendere atto della situazione?
Jurassic World: Dominion ha un’uscita prevista per il maggio 2022: come sarà il mondo allora? Ci farà più strano, ipotizzando che andremo al cinema, vedere i visitatori del parco giurassico con o senza mascherina? E ci aspetteremo che il film – e ogni altro film – affronti la questione? La pandemia è arrivata anche nel mondo di Batman?
Usciranno di certo film e serie sulla pandemia, ma come dovranno muoversi tutti gli altri? Fare finta che non esiste il coronavirus potrebbe essere straniante e però portare un po’ di spensieratezza; rappresentare la pandemia potrebbe essere problematico, visti anche i tanti mesi (spesso anni) tra la fine delle riprese e l’uscita del film. Pensate, per esempio, a quanto male siano già invecchiati certi tormentoni musicali di quest’estate.
Lucas Foster, un noto produttore di Hollywood, ha detto, parlando col Washington Post, di aspettarsi semplicemente «molti film ambientati nel passato» e che persino «film scritti al presente e per il presente saranno cambiati, magari per essere ambientati negli anni Novanta», così da non doversi porre il problema relativo al 2020.
Un altro grande problema riguarda il tipo di film che saranno fatti. Negli ultimi anni la tendenza era chiaramente di fare film sempre più grandi, lunghi, costosi e strapieni di effetti speciali. O comunque di film che avessero una grandezza o un’urgenza tale da convincere gli spettatori ad andare nei cinema. Come mostrano però gli esempi di Tenet e Mulan, più un film è grande e costoso e più diventa difficile guadagnarci, specie se i cinema sono chiusi o anche solo a mezzo servizio. Qualcuno sostiene quindi che – un po’ per queste ragioni e un po’ per le limitazioni a come, cosa e dove si potrà girare – potrebbero tornare di moda film un po’ meno grandi: più commedie e drammi e meno supereroi e filmoni d’azione, quindi. Allo stesso tempo, però, le commedie e i film drammatici sono spesso produzioni “indipendenti”, che a loro volta potrebbero avere grandi problemi a gestire tutti i costi extra dovuti alla pandemia.
Il cinema – ancor più di altri settori – ha sempre funzionato provando oggi a prevedere cosa potrà piacere tra due-tre-quattro anni (i pirati, i supereroi, gli alieni) e anticipando grandi spese a fronte di possibili futuri guadagni, fatti con grandi uscite mondiali precedute da settimane di intense campagne pubblicitarie. Ora, invece, il cinema – quello che è ripartito – si trova a dover fare ipotesi complesse su un futuro molto incerto, senza sapere quando e come i cinema riapriranno, chi ci andrà e per vedere cosa. Persino il miglior scenario possibile, quello in cui per assurdo il virus sparisce e da maggio tutto ritorna come prima, comporterebbe problemi dovuti ai tanti film che dovevano uscire e non sono usciti, e ai tanti possibili approcci usati in questi mesi. Figuratevi ogni altro scenario.