La Russia è sempre più aggressiva nel mare di Bering
Negli ultimi mesi ha compiuto diverse azioni intimidatorie nelle acque di fronte all'Alaska: c'entra la competizione per l'Artide
Negli ultimi mesi la Russia è diventata sempre più aggressiva nel mare di Bering, quel pezzo di mare che si trova tra Alaska e Russia e che attraverso lo stretto di Bering, a nord, permette di accedere al mare Glaciale Artico. Navi e aerei militari russi hanno compiuto azioni intimidatorie nei confronti degli Stati Uniti, e in particolare di pescherecci statunitensi che stavano operando nella zona economica esclusiva del proprio paese, quindi che non avevano sconfinato nelle acque di competenza russa: hanno intimato loro di andarsene, minacciando ritorsioni, obbligando i comandanti delle imbarcazioni statunitensi a rinunciare a milioni di dollari di possibili guadagni.
L’importanza del mare di Bering è legata all’enorme tema dello sfruttamento delle risorse nella regione dell’Artide, che negli ultimi anni ha provocato una serrata competizione tra diversi paesi che si affacciano sui mari del nord, tra cui Russia e Stati Uniti. Non è quindi una sorpresa che la scorsa estate la Russia abbia intensificato le sue operazioni militari nel mare di Bering, ha detto al New York Times l’ammiraglio Matthew Bell Jr., comandante della Guardia costiera statunitense nella zona che include l’Alaska: «la sorpresa è stata piuttosto quanto [i russi] siano stati aggressivi all’interno dei nostri confini marittimi».
Le azioni intimidatorie sono state diverse ma il culmine è stato raggiunto alla fine di agosto, quando i russi avevano iniziato un’esercitazione militare – la più grande nel mare di Bering dalla fine della Guerra Fredda – che si era svolta in parte nelle acque della zona economica esclusiva statunitense (Zee): la Zee è quell’area che si estende fino a 200 miglia dalle coste di un paese, in cui lo stesso paese può svolgere attività di pesca e sfruttamento delle risorse senza la competizione di altri stati, ma non può proibire il passaggio di navi straniere (la Russia poteva quindi transitarvi ma non intimare alle imbarcazioni americane di andarsene).
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Lo scorso agosto, per esempio, l’equipaggio del peschereccio Bristol Leader fu contattato via radio dai piloti di un aereo militare russo mentre si trovava all’interno della Zee statunitense, a circa 20 miglia dal confine marittimo con le acque di competenza russa. Una voce che parlava un misto tra russo e inglese disse che la nave era in pericolo e che doveva andarsene: li vicino c’era un sottomarino ed erano stati sparati dei missili, nell’ambito di un’esercitazione militare che includeva circa 50 navi da guerra e 40 aerei. Un messaggio simile fu ricevuto da un altro peschereccio americano che si trovava a circa 100 miglia dalle coste dell’Alaska, e che fu avvicinato da tre navi da guerra russe, che intimarono al comandante di lasciare l’area.
I comandanti dei pescherecci si misero in contatto con la Guardia costiera americana, che però sostenne di non sapere niente e disse loro che erano responsabili della sicurezza degli equipaggi (in un secondo momento funzionari della Guardia costiera dissero di essere stati avvisati dell’esercitazione, ma la comunicazione non fu trasmessa a tutti).
Quella al largo delle coste dell’Alaska, nel mare di Bering, è un’area marittima molto importante per gli Stati Uniti, e non solo perché è la porta d’accesso al mar Glaciale Artico: è la più importante per l’industria ittica americana, perché qui si pescano grandi quantità di granchio reale rosso e merluzzo.
Anche dopo l’esercitazione militare, comunque, le azioni aggressive russe continuarono. In diverse occasioni aerei militari americani furono mandati a intercettare aerei da guerra russi in rotta verso lo spazio aereo degli Stati Uniti. Il generale canadese Scott Clancy, che dirige le operazioni di NORAD – acronimo inglese di Comando di Difesa Aerospaziale del Nord America, organizzazione che include Stati Uniti e Canada e ha l’obiettivo di sorvegliare lo spazio aereo del Nord America – ha detto al New York Times che le operazioni aeree russe diventarono via via sempre più complesse: come se la Russia stesse testando le capacità di NORAD, e le proprie.
Le operazioni sono state interpretate come parte di un più ampio tentativo della Russia di ottenere o consolidare il proprio controllo nelle aree del Pacifico settentrionale e dell’Artide, dove lo scioglimento dei ghiacci – accelerato negli ultimi anni a causa del riscaldamento globale – ha fatto emergere nuove rotte commerciali e nuove opportunità di sfruttare le risorse energetiche che offre il sottosuolo marino. La Guardia costiera statunitense si è trovata a dover sorvegliare sempre più attività, tra cui un traffico crescente di mezzi militari. Dal canto suo, la Russia ha riattivato decine di postazioni militari nella regione artica, tra cui anche quelle sull’isola di Wrangel, che si trova a circa 300 miglia dalla costa dell’Alaska, e ha accelerato i piani per garantirsi il controllo delle nuove rotte marittime che stanno emergendo grazie al maggiore sfruttamento dello stretto di Bering.
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All’inizio di novembre il presidente russo Vladimir Putin ha ribadito che è intenzione della Russia mantenere la sua “superiorità” nella regione artica e ha annunciato il rinnovo della flotta delle navi rompighiaccio. Il governo ha inoltre intensificato gli sforzi per potenziare il cosiddetto “passaggio a Nord-Est“, cioè la rotta che attraverso lo stretto di Bering arriva a Murmansk, città russa poco distante dal confine con la Finlandia, e che negli ultimi anni è diventata sempre più importante nel commercio internazionale.