Cosa sta succedendo in Campania
Per giorni governo, regione e sindaco di Napoli hanno detto cose contrastanti su chi possa istituire le "zone rosse": ora le cose sembrano sul punto di sbloccarsi
Aggiornamento: Nel pomeriggio di venerdì 13 novembre, in seguito ai nuovi dati del monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità, la Campania è stata inserita nelle aree rosse, cioè quelle a maggior rischio di contagio. La decisione, che dovrà essere ufficializzata con un’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza, è stata annunciata in anticipo su Facebook dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris.
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Da giorni la discussione italiana sulla gestione del coronavirus gira intorno a una regione in particolare: la Campania, dove la situazione sembra essere bloccata. Qualche giorno fa il ministero della Salute ha mandato alcuni ispettori in regione, per capire se i numeri dei contagi trasmessi al governo dall’Unità di crisi locale siano stati messi insieme correttamente, e per valutare l’impatto che l’epidemia sta avendo sugli ospedali di Napoli. Il video di un paziente morto in un bagno nell’ospedale Cardarelli di Napoli, circolato molto online pur non dicendo di per sé nulla di preciso delle condizioni degli ospedali, ha fatto parlare molto e aumentato le pressioni sulla regione e sul governo.
Secondo i giornali, il governo sta valutando di spostare la Campania dall’area gialla all’area arancione o rossa, cosa che potrebbe avvenire già nella giornata di oggi, venerdì 13 novembre. E da giorni circola l’ipotesi di trasformare in zona rossa almeno l’area di Napoli e Caserta, dove si stanno registrando i numeri più alti di nuovi contagi e di ricoveri in ospedale. Su chi avrebbe le competenze per prendere questa decisione, però, si sono susseguite dichiarazioni contrastanti, accuse tra i principali protagonisti della politica campana, e silenzi: con il risultato che per giorni non è stato fatto alcun rilevante e concreto intervento da parte di nessuno. Ora sembra che le cose si stiano sbloccando.
Restrizioni
Lo scorso 8 novembre Walter Ricciardi, consulente scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza, aveva detto che «in certe aree metropolitane» il lockdown andava «fatto subito». Qualche giorno prima lo stesso Ricciardi aveva fatto l’esempio di Napoli, spiegando che pur essendo all’interno di una regione gialla, era un’area a rischio: «La Campania è in zona gialla perché è stata fatta una media sui dati regionali» ma i dati, aveva precisato, andrebbero estrapolati a livello provinciale. A quel punto, il ministro della Salute Roberto Speranza aveva chiarito che «il DPCM prevede che il ministro possa intervenire su una regione, non su una provincia», e che sull’area metropolitana di Napoli dovesse dunque «intervenire il presidente De Luca, come ha fatto Zingaretti a Latina».
All’inizio di ottobre il presidente del Lazio Nicola Zingaretti aveva firmato un’ordinanza per la provincia di Latina che introduceva una serie di restrizioni, non paragonabili però a quelle attualmente in vigore nelle aree rosse. Ordinanze simili sono state annunciate e firmate nelle ultime ore anche a Palermo, Catanzaro, Roma, Benevento, Taranto, Genova, Verona, Bologna: vanno dalla chiusura delle scuole all’istituzione del senso unico per le vie pedonali. Una serie di restrizioni sono state decise in autonomia anche a livello regionale: ieri il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, quello del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga e quello del Veneto Luca Zaia hanno infatti firmato tre ordinanze che prevedono per le loro regioni – che restano “aree gialle” – nuove norme per cercare di rallentare l’aumento di casi di coronavirus.
In Campania, la situazione sembra essere meno lineare.
Chi può fare cosa
Dal punto di vista formale, il decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) approvato martedì 3 novembre ha introdotto la divisione dell’Italia in tre aree, a seconda della gravità della situazione epidemiologica locale: una rossa, una arancione e una gialla, dalla più grave alla meno grave, e ciascuna con le proprie misure restrittive. La decisione di inserire le regioni in ciascun contesto spetta al ministro della Salute in accordo con i presidenti di regione, in base a una serie di parametri e dati.
Nella bozza del DPCM circolata prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale agli articoli 2 e 3 – che si occupano delle aree arancioni e rosse – si diceva che al ministro della Salute, sentiti i presidenti delle regioni interessate, spettava il compito di «individuare le Regioni o parti di esse che si collocano» in quello specifico scenario. «Abbiamo previsto anche la possibilità nel DPCM che ci possa essere, a ragion veduta, una differenziazione all’interno delle regioni: in astratto è possibile una differenziazione, abbiamo i meccanismi per operarla», aveva detto a sua volta Conte nella conferenza stampa di spiegazione del DPCM.
Dal testo ufficiale del DPCM, però, la specifica “parti di esse” è scomparsa. Negli articoli 2 e 3 del DPCM, al comma successivo, si precisa anche che dal ministro della Salute «d’intesa con il presidente della regione interessata, può essere prevista, in relazione a specifiche parti del territorio regionale, in ragione dell’andamento del rischio epidemiologico, l’esenzione dell’applicazione delle misure» restrittive specifiche delle aree arancioni e rosse.
Riassumendo: al ministro della Salute spetta il compito di intervenire a livello regionale; sempre il ministro della Salute, d’intesa con il presidente della regione interessata, può prendere la decisione di allentare le restrizioni a parti del territorio regionale; non si specifica chi debba eventualmente prendere la decisione di trasformare in zona rossa parti del territorio regionale, ma non si nega a nessuno la possibilità di farlo. Il sindaco di Napoli De Magistris infatti ha detto: «La zona rossa possono dichiararla per legge il governo nazionale o il governo regionale, e il governo regionale può anche individuare singole aree all’interno della regione».
Finora, e già dalla prima ondata, le regioni hanno deciso e continuano a decidere in modo autonomo di introdurre restrizioni particolari all’interno del loro territorio. Rispetto alle indicazioni fissate dal DPCM hanno dunque sempre agito in senso restrittivo: nella maggior parte dei casi, d’intesa con il ministro. Durante la prima ondata, solo per fare un esempio, Vo’ Euganeo, in provincia di Padova, venne dichiarata zona rossa «con la firma del ministro Roberto Speranza», aveva detto Zaia. Anche le ultime ordinanze di Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Veneto, secondo quanto riportato dai rispettivi presidenti, sono state approvate dal ministro della Salute.
Oltre alla questione sulle competenze di ciascuno, le decisioni di un certo rilevo sembrano essere state politicamente condivise. Ma è anche vero che finora non sono state istituite, su iniziativa regionale, zone rosse estese come lo sarebbe quella sulla città di Napoli.
La Campania
In Campania, scrivono i principali giornali, è in corso uno scontro tra il presidente De Luca e il governo, ma anche tra il presidente De Luca e il sindaco di Napoli Luigi De Magistris.
De Luca critica da tempo il governo chiedendo «misure omogenee e semplici su tutto il territorio nazionale, dato che il contagio è ormai diffuso in tutto il paese». A fine ottobre, prima ancora che venisse istituita la distinzione tra regioni, aveva annunciato un lockdown regionale (evidentemente pensando di poterlo fare), ma poi aveva cambiato idea perché a livello governativo si era deciso di non «assumere drastiche misure restrittive» nazionali e a quelle condizioni sarebbe diventato «improponibile realizzare misure limitate a una sola regione», chiudere cioè in solitudine. De Luca, insomma, vorrebbe che fosse il governo nazionale a prendere una decisione.
Nel frattempo, scrive Repubblica, De Magistris ha detto che De Luca dice di voler chiudere la regione ma vorrebbe che fosse il governo a farlo: e pur potendo, «in realtà» non lo vuole fare. De Magistris sostiene che servano misure immediate e diffuse anche senza attendere il governo, e contesta a De Luca il fatto di averle annunciate e di non averle concretamente applicate. A sua volta, De Luca critica De Magistris per non aver emesso sufficienti ordinanze di divieto nella città di cui è sindaco, e si è dunque rivolto al prefetto per chiedere «la definizione di un piano» anti-assembramenti.
Ieri la situazione sembra essersi sbloccata. La regione ha fatto sapere che sta decidendo «l’istituzione di zone rosse» nelle città «dove si registra un livello alto di contagi e dove è indispensabile una drastica riduzione della mobilità, in coordinamento con le Prefetture competenti e con i Comuni per garantire l’indispensabile impiego delle Forze dell’Ordine per il controllo sui territori». La regione sta anche definendo, si dice nel comunicato, «misure di limitazione, per attività commerciali non essenziali, nei fine settimana». Non si sa ancora se il provvedimento riguarderà la zona metropolitana di Napoli e Caserta, o aree più limitate del territorio.
Sempre ieri il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, ha detto a L’Aria che Tira su La7: «Vediamo il monitoraggio e poi si deciderà quale colore per la Campania e per altre regioni (…) Le misure arriveranno tra sabato e domenica, ma si daranno sempre 24 ore di tempo dopo l’ordinanza del ministro della Salute per l’organizzazione territoriale». A breve, o per iniziativa regionale o governativa, si dovrebbe dunque capire come andranno le cose.