Primark resiste al coronavirus senza vendere online
La grande catena di abbigliamento contrasta la crisi rifiutando l'e-commerce e affidandosi ai prezzi bassi e alla fedeltà dei clienti
I grandi magazzini e le catene di moda sono stati duramente colpiti dalla pandemia da coronavirus perché le persone hanno comprato meno vestiti e perché sono rimasti chiusi a lungo: molti hanno dovuto affrontare grosse perdite, licenziamenti, altri hanno chiesto l’amministrazione straordinaria o hanno addirittura chiuso. Tra tutti spicca invece il caso di Primark, una catena di fast fashion irlandese con 387 negozi in tutto il mondo. Primark non vende online e le sue perdite sono state ingenti nei quasi tre mesi di chiusura, pari a 2 miliardi di sterline di mancate vendite (circa 2,2 miliardi di euro) e a 650 milioni di sterline (oltre 728milioni euro) di mancati profitti; dopo la riapertura, però, i clienti hanno fatto la fila per entrare in negozio e i ricavi sono tornati quasi ai livelli pre-pandemia. Secondo alcuni analisti il successo sarebbe dovuto alla filosofia che ha guidato Primark sin dalla fondazione: i prezzi bassissimi e imbattibili dai rivali, che spingono a comprare in massa e continuamente.
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Dalla riapertura dei negozi, avvenuta a inizio maggio in tutto il mondo e a metà giugno in Inghilterra, Primark ha ricavato 2 miliardi di sterline (2,2 miliardi di euro). I suoi rivali, come Zara e H&M, hanno subìto perdite di circa il 15 per cento rispetto all’anno precedente, ma va considerato che hanno potuto contare anche sulle vendite online e sui saldi durante il lockdown, un periodo in cui Primark non aveva guadagnato un solo centesimo. Il risultato è che nel 2020, che si è chiuso fiscalmente il 12 settembre, i ricavi di Primark sono stati di 5,9 miliardi di sterline (6,6 miliardi di euro), il 24 per cento in meno rispetto all’anno precedente, e i profitti di 362 milioni (405 milioni di euro), il 63 per cento in meno. Nonostante questo, l’azienda e la sua strategia sembrano tenere molto bene: il direttore esecutivo George Garfield Weston ha detto che si aspetta di aumentare vendite e profitti entro la fine dell’anno e che non ha intenzione di introdurre l’e-commerce visto che «abbiamo dimostrato che non ci serve».
Primark ha cancellato i dividendi, ha pagato 98 milioni di sterline ai dipendenti in congedo e ha tagliato i salari per ridurre le perdite; ha anche promesso di pagare ai produttori tutti gli ordini per le collezioni invernali, contrariamente a quanto aveva deciso a marzo, ricevendo molte critiche. È riuscita a vendere le collezioni estive facendo pochi sconti; in particolare, le vendite dei vestiti per bambini, di pigiami e di abbigliamento per il tempo libero sono tornati a livelli pre-pandemia dopo la riapertura dei negozi, mentre quelle dei vestiti formali da uomo e della valigeria sono diminuite, a causa dello smart working e delle restrizioni ai viaggi. Vendono molto bene i negozi nei centri commerciali e nelle città di provincia, mentre risentono di più, anche a causa della mancanza di turismo, quelli nei grandi centri cittadini, come per esempio quello a Birmingham: è il più grande di tutti e dentro ha tre bar e un salone di bellezza dove farsi la manicure.
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Nonostante la ripresa, la situazione potrebbe peggiorare con le nuove restrizioni in vigore in molti paesi e con il secondo il lockdown in Inghilterra, che durerà almeno dal 5 novembre al 2 dicembre: qui Primark ha 153 negozi e si aspetta di perdere 375 milioni di sterline (420 milioni di euro) a causa degli acquisti sfumati per le feste.
Secondo alcuni esperti, la mancanza di un e-commerce potrebbe rendere più fragile l’azienda, anche se Weston ha detto di avere risorse per poter resistere a un altro anno con molteplici lockdown. In effetti, sempre più persone si stanno abituando a comprare online: secondo un rapporto di BoF e McKinsey & Company, a giugno 2020 le vendite online del settore abbigliamento erano il 16 per cento del totale, ad agosto erano il 29 per cento, con una crescita che senza la pandemia sarebbe avvenuta in circa sei anni.
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Un altro fattore da considerare è che i gusti delle persone potrebbero cambiare: molti potrebbero comprare cose più costose ma di maggiore qualità e durata, oppure rivolgersi al mercato dell’usato. È anche vero che ci sarà ancora più bisogno di abiti a buon mercato e che le persone più colpite dalla crisi sono, spesso, quelle meno interessate all’impatto ambientale e sociale delle aziende da cui comprano le merci. In questo, Primark ha pochi rivali: vende magliette per bambini a due euro e pigiami a 7 euro, ed è la prima scelta per le famiglie con molti bambini. Secondo Weston, Primark ha una clientela talmente fidelizzata che per metà non ha comprato niente durante il lockdown, preferendo aspettare la riapertura. Grazie a questa strategia, Primark era un’isola felice anche prima del lockdown e mentre le altre catene erano in difficoltà, continuava a espandersi rapidamente: dal 2014 al 2019 le vendite erano cresciute del 57 per cento.
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Primark si può permettere questi prezzi bassissimi in parte perché non vende online e non ha costi ulteriori di manodopera, imballaggio e trasporto. Anche il passaggio all’e-commerce sarebbe complicato e dispendioso, per esempio dovrebbe riconvertire tutti i suoi centri di distribuzione e confezionare ogni singolo articolo anziché inviarne in massa in un unico negozio. «Non è un gioco semplice se hai dei margini di guadagno molto bassi e prodotti che si smerciano velocemente» ha spiegato a Business of Fashion Michelle Beeson, analista e ricercatrice di mercato a Forrester. Primark non punterà quindi sull’online ma continuerà a investire nei negozi fisici: ha in programma di aprire 13 nuovi negozi entro il settembre 2021, tra cui 4 negli Stati Uniti, il primo in Repubblica Ceca e il sesto in Italia, a Roma.
Il primo negozio di Primark fu aperto nel 1969 a Dublino da Arthur Ryan per conto della famiglia Weston, con il nome di Penneys. Nel 1973 arrivò il primo negozio in Regno Unito, a Derby, dando il via all’espansione fuori dall’Irlanda: per l’occasione venne introdotto il nome Primark, mentre i suoi 37 negozi in Irlanda si chiamano ancora Penneys. Dal 2006 ha iniziato ad allargarsi in Europa, con il primo negozio in Spagna, negli Stati Uniti è arrivato nel 2015 e l’anno dopo in Italia, con il primo negozio ad Arese.