Il fuoco e la maledizione di Prometeo
Lo scrittore Magnason racconta, nel suo quarto testo per il Post, le conseguenze della bomba atomica sull'ambiente e una minaccia molto più attuale
Nel quarto testo che lo scrittore islandese Andri Snær Magnason ha scritto per il Post, racconta delle conseguenze della bomba atomica, «più potente di un vulcano», sull’ambiente e sull’immaginario delle persone. Ricorda che ora quella minaccia è poco sentita, com’è poco sentita un’altra, forse ancora più pericolosa: i fuochi invisibili che, nascosti nelle automobili, negli stabilimenti industriali e nelle centrali energetiche, producono emissioni inquinanti.
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Magnason è probabilmente l’intellettuale islandese più noto a livello internazionale. È autore di romanzi, saggi, poesie e libri per bambini, e da anni fa attivismo per l’ambiente, attraverso iniziative e attraverso i suoi libri. Il tempo e l’acqua, che è dedicato al cambiamento climatico, è stato il libro più venduto del 2019 in Islanda; in Italia è appena uscito per la casa editrice Iperborea. Magnason ha scritto per il Post cinque testi sul cambiamento climatico in cui riflette in modo particolare sulle parole per raccontarlo e sulla difficoltà che incontrano nel far comprendere davvero quali siano i rischi e le conseguenze del nostro comportamento attuale. Li pubblicheremo a cadenza settimanale: di seguito trovate il quarto, mentre qui potete leggere il primo, qui il secondo e qui il terzo. Tutti sono tradotti dall’inglese da Silvia Piraccini.
Parole/4
Robert Oppenheimer è probabilmente la figura del Novecento che più si avvicina alla dimensione del mito. Come nella mitologia greca Prometeo salì sulla vetta più alta dell’Olimpo per rubare il fuoco e regalarlo all’umanità, così Oppenheimer si addentrò nell’infinitamente piccolo della materia per regalare ai leader del mondo la bomba atomica, più potente di un vulcano. Ai capi di Stato, persone fallibili, fu conferito il potere divino di far saltare la Terra intera, uno strumento potenzialmente più distruttivo di quelli di tutti i tiranni della storia dell’umanità messi insieme. Al confronto, il fuoco di Prometeo ci sembra una fiaccoletta tremolante.
Tra gli scienziati c’è chi sostiene che Oppenheimer abbia inaugurato una nuova era nella storia geologica. Le radiazioni del Trinity Test produssero uno strato geologicamente rilevante, nel quale si può individuare l’inizio dell’Antropocene. Il 16 luglio 1945, le tracce lasciate dall’uomo cominciarono a essere tecnicamente misurabili su tutte le superfici terrestri: tutto il suolo, tutte le pietre, tutti i metalli. Le nostre attività iniziarono a ripercuotersi sul pianeta come fanno i grandi fenomeni geologici. Pochi esseri umani avevano il potere di distruggere tutta la vita. Intanto, altre attività dell’uomo si moltiplicarono al punto che al periodo iniziato nel secondo dopoguerra abbiamo dato il nome di «Grande accelerazione». Da allora il nostro impatto sulla Terra è cresciuto a un ritmo esponenziale e di pari passo si è ridotta la biodiversità. L’impressione è che stiamo perdendo una specie per ogni marchio: Apple®, Tiger®, Amazon®.
Oppenheimer stesso si accorse della portata mitica del suo operato quando assistette all’esplosione della prima bomba. Dichiarò:
«Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Qualcuno rise, altri piansero, i più tacquero. Ricordo una frase di un antico scritto hindu, il Bhagavad Gita: “Ora sono diventato Morte, il distruttore dei mondi”»
La scoperta di Oppenheimer ha causato alla mia generazione incubi ricorrenti. Tutte preoccupazioni inutili? O sono state proprio queste preoccupazioni a far sopravvivere il mondo? Sono cresciuto con le foto di Hiroshima davanti agli occhi e le parole «inverno nucleare» e «pioggia radioattiva» sopra la testa, come nubi nere.
Mi pare che ormai ci si preoccupi meno di Oppenheimer. La minaccia, oggi, arriva dal buon vecchio Prometeo. Lui rubò il fuoco agli dei, ma gli dei probabilmente sapevano che non saremmo riusciti a gestirlo. Parole come «emissioni» o espressioni come «415 ppm di CO2» e «35 Gt» restano molto vaghe, quando le leggiamo. La CO2 è invisibile, e trentacinque gigatonnellate di una sostanza invisibile equivalgono di fatto a zero. Forse allora sarebbe utile usare parole più antiche, come «fuoco». Le emissioni derivano in gran parte da fuochi invisibili, nascosti nelle automobili, negli stabilimenti industriali e nelle centrali energetiche.
Dietro ogni nostra attività c’è il fuoco, eppure per tutta la giornata non ne vediamo neanche una fiammella. Il traffico lo vediamo, ma non il fuoco nei motori. Al telegiornale vediamo navi cisterna incendiarsi, ne vediamo tutta la violenza, senza pensare che quel petrolio finirebbe bruciato comunque.
Quando nel 2010 l’Eyjafjallajökull eruttò, bloccando il traffico aereo in tutta Europa, le emissioni di CO2 del vulcano islandese furono all’incirca di centocinquantamila tonnellate al giorno. Le emissioni dovute alle attività umane sono di un centinaio di milioni di tonnellate al giorno. Le attività umane, dunque, tradotte in eruzioni, corrispondono grossomodo a 666 vulcani simili all’Eyjafjallajökull (e perdonatemi il numero diabolico, ho soltanto fatto i conti). Se chiediamo a un geologo quando ci furono sulla Terra 666 vulcani in eruzione simultanea, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, dovrà andare indietro nel tempo di milioni di anni, a ere di massimi sconvolgimenti in tutti gli ecosistemi del pianeta. E ora la situazione è la stessa.
Gli dei probabilmente hanno avuto ragione a punire Prometeo per il furto del fuoco: abbiamo appiccato i più grandi incendi che la Terra abbia mai visto. Come Oppenheimer, dovremmo guardare le fiamme e chiederci: «Siamo diventati Morte, i distruttori del mondo?»