Le donne che praticavano il Ju Jitsu a inizio Novecento
Era uno strumento di difesa e di emancipazione molto popolare nei movimenti femministi: lo racconta anche il film "Enola Holmes"
Lo scorso 23 settembre è uscito su Netflix Enola Holmes, un film in cui Mille Bobby Brown – la Eleven della nota serie TV Stranger Things – interpreta la sorella minore di Sherlock Holmes. Il film è ambientato in Inghilterra nell’anno 1900 e racconta delle avventure di Enola, che ha 16 anni e usa il talento per l’investigazione che condivide col celebre fratello per rintracciare la madre, scomparsa. Come mostrato nel trailer del film, a un certo punto Enola incontra un gruppo di donne che praticano le tecniche di difesa del Ju Jitsu, e capisce perché la madre le aveva insegnate anche a lei quando era bambina: è una scena che molti potrebbero trovare bizzarra, soprattutto visto che le donne in quell’epoca dovevano essere posate e remissive, ma nell’Inghilterra di inizio Novecento il Ju Jitsu era davvero una pratica comune. E lo era anche tra le donne, che lo usavano per difendersi, ma anche come strumento di emancipazione.
Tra le arti marziali orientali più note, il Ju Jitsu era la tradizionale disciplina praticata dalla casta nobile dei guerrieri giapponesi (bushi) nel medioevo, ma si hanno testimonianze del suo utilizzo già attorno al 700 avanti Cristo. I principi fondamentali del Ju Jitsu sono raccolti nella frase “Ju yoku go o sei suru”, che si può tradurre come “la flessibilità domina sulla forza”: la tecnica del Ju Jitsu prevede infatti movimenti morbidi che consentono di “assorbire” il colpo dell’avversario e di trasformare la sua forza in una mossa di attacco.
Le prime scuole di Ju Jitsu in Inghilterra iniziarono a diffondersi attorno al 1900. Il Ju Jitsu era stato introdotto da Edward William Barton-Wright, un uomo d’affari che era rimasto impressionato da questa particolare tecnica di difesa mentre si trovava in Giappone per lavoro. Quando tornò in Inghilterra, nel 1898, Barton-Wright perfezionò la pratica, adattandola alla società inglese; in più invitò a Londra il maestro giapponese Yukio Tani, che lo aiutò a diffondere l’interesse per il Ju Jitsu. Il “bartitsu” (il “Ju Jitsu di Barton”), ovvero la versione del Ju Jitsu modificata da Barton, venne peraltro ripreso da Conan Doyle nei racconti de L’avventura della casa vuota (1903) per spiegare come Sherlock Holmes fosse riuscito a sconfiggere in una lotta il Professor Moriarty, il suo noto nemico.
Nello stesso anno, un articolo del Daily Mirror suggeriva alle lettrici di seguire le lezioni di una certa Miss Roberts alla scuola di Sadakazu Uyenishi, un altro tra i primi istruttori a insegnare la pratica al di fuori del Giappone. Allo stesso tempo si iniziarono a vedere anche dimostrazioni e spettacoli: uno di questi fu The Ju-jitsu Waltz, una sorta di danza atletica e teatrale interpretata proprio da una donna, l’attrice francese Gaby Deslys, che “lottava” con un maestro di arti marziali giapponese, S.K. Eida.
Secondo la storica Emelyne Godfrey, esperta dell’epoca Vittoriana – che corrisponde al periodo in cui governò la regina Vittoria del Regno Unito, cioè dal 1837 al 1901 –, la diffusione del Ju Jitsu in Inghilterra fu favorita da un «cambio di visione culturale».
A partire dalla fine del Settecento, con la crescita della popolazione e lo sviluppo delle grandi città dovuti alla Rivoluzione Industriale, erano aumentati molto i crimini violenti, e di conseguenza crebbero parecchio anche la violenza e l’uso delle armi per difendersi. Tuttavia, a poco a poco le forme di autodifesa violente iniziarono a essere mal viste, perché nella società Vittoriana si dava molta importanza alla morale, all’equilibrio e alla rispettabilità.
Il Ju Jitsu era una pratica di difesa meno aggressiva e oltretutto poteva essere praticato anche dalle donne qualora avessero avuto bisogno di difendersi dagli uomini perché non richiedeva una grande forza muscolare: per portare l’avversario a terra, infatti, si usano apposite tecniche che gli impediscono di usare la sua, di forza. In più, le donne avevano un ruolo secondario rispetto agli uomini e la maggior parte degli sport non erano ritenuti adatti a loro; il Ju Jitsu però era ben visto perché «sviluppava le parti più nobili del cervello», come aveva scritto il medico Lauder Brunton nel libro The fine art of Jujutsu nel 1906. Tra le altre cose, le donne che lo praticavano potevano rafforzarsi, aumentare la propria autostima e soprattutto difendersi in una maniera più «elegante», ha osservato Godfrey.
Una delle funzioni che ebbe il Ju Jitsu nei primi anni del Novecento fu inoltre quella di consentire alle donne di diventare più indipendenti.
Durante le prime proteste per il riconoscimento dei diritti alle donne, attorno al 1910, molte si erano trovate impreparate allo scontro fisico con le forze dell’ordine. Una delle figure chiave a questo proposito fu quella di Edith Garrud, una delle prime donne a insegnare Ju Jitsu a donne e bambini. Garrud, che aveva iniziato attraverso una serie di dimostrazioni di Ju Jitsu col marito William nei primi anni del Novecento, divenne un punto di riferimento per le “Suffragette”, ovvero le donne che lottavano per l’emancipazione femminile e la conquista del diritto di voto in Inghilterra. Attorno al 1910, Garrud illustrò le potenzialità della pratica scrivendone su Votes for Women, il giornale delle attiviste, e cominciò a insegnare il Ju Jitsu anche al “Club di autodifesa delle Suffragette”.
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Garrud peraltro è il soggetto di una trilogia di fumetti chiamata Suffrajitsu, che parla dell’importanza del Ju Jitsu in questo periodo storico e per il movimento delle Suffragette. L’attrice Helena Bonham Carter, che interpreta sia la madre di Enola in Enola Holmes sia il personaggio inventato di un’attivista femminista nel film Suffragette (2015), ha detto che Garrud era una «donna straordinaria» e che il suo metodo non prevedeva l’uso di forza bruta, ma era tutta una questione di «abilità».
Le donne in Inghilterra ottennero il diritto al voto nel 1928 e il Ju Jitsu continuò a essere molto praticato anche negli anni successivi.