A chi non piace la vittoria di Biden
Alcuni leader internazionali avevano creato rapporti stretti con Donald Trump, altri avevano approfittato del suo isolazionismo, e faticheranno ad adattarsi alla nuova America
Dopo la vittoria di Joe Biden alle elezioni americane, la maggior parte dei leader mondiali ha fatto le congratulazioni al presidente eletto. Quelle di Angela Merkel, Emmanuel Macron e Justin Trudeau sono arrivate pochi minuti dopo che i network avevano annunciato che Biden aveva superato la soglia necessaria di grandi elettori. Altri leader mondiali, invece, hanno preferito aspettare. Alcuni ci hanno messo qualche ora a congratularsi con Biden, altri qualche giorno, altri non l’hanno ancora fatto. Molti di questi leader riluttanti guidano paesi che, per una molteplicità di motivi, hanno ragioni per essere scontenti dell’elezione del candidato del Partito democratico, e che probabilmente faticheranno nei rapporti con la nuova amministrazione.
Russia
Vladimir Putin, il presidente russo, non ha ancora fatto commenti sul risultato delle elezioni, e Dmitri Peskov, il suo portavoce, ha detto che il presidente ritiene appropriato «aspettare finché il risultato delle elezioni non sarà definitivo». Ci sono buone ragioni per pensare che Putin non sia contento del risultato. Donald Trump non ha mai fatto mistero della sua ammirazione nei confronti del presidente russo, mentre Biden, al contrario, durante la campagna elettorale ha definito Putin come un «teppista del KGB», e Trump come il suo «cagnolino».
Non sempre Trump si è comportato come il cagnolino di Putin, anzi: ha mantenuto le sanzioni contro la Russia imposte dal suo predecessore Barack Obama dopo la crisi in Ucraina, ed è uscito da un importante trattato sugli armamenti nucleari dopo aver accusato Mosca di non rispettarlo. A parte questo, però, la politica “America First” di Trump è stata favorevole a Putin. Gli Stati Uniti hanno trascurato le alleanze fondamentali dentro alla NATO e con l’Unione Europea, lasciando alla Russia molto spazio di manovra: si è visto ancora in questi giorni, quando Putin ha negoziato da solo un accordo per porre fine alla guerra in Nagorno-Karabakh, spartendosi il potere con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan e lasciando gli Stati Uniti fuori dalle trattative. Biden, al contrario, intende fin dal primo giorno riallacciare i rapporti con gli alleati della NATO e rassicurarli del fatto che l’America «è tornata».
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Brasile
Jair Bolsonaro, il presidente del Brasile, ha modellato la sua carriera politica su quella di Donald Trump, e la sua elezione, nel 2018, fu vista come un segnale di forza dei populisti in tutto il mondo. Bolsonaro ha coltivato molto la sua relazione con Trump, e al contrario si è già scontrato con Joe Biden: durante il primo dibattito presidenziale, Biden disse che gli Stati Uniti avrebbero dovuto fare di più per convincere il governo brasiliano a proteggere la foresta amazzonica. Bolsonaro, che in questi anni ha allentato le misure di protezione della foresta, rispose che le dichiarazioni di Biden erano «disastrose». Anche Bolsonaro non si è ancora congratulato con Biden.
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Regno Unito
Donald Trump è sempre stato un sostenitore di Brexit, e più volte ha promesso a Boris Johnson, il primo ministro britannico, che non appena il Regno Unito fosse uscito dall’Unione Europea sarebbe stato pronto per lui un accordo commerciale molto vantaggioso (che non si è mai materializzato). Al contrario, Barack Obama, di cui Biden era il vicepresidente, disse implicitamente di essere contrario a Brexit: in un evento a Londra, poco prima del referendum, disse che in caso di Brexit il Regno Unito sarebbe finito «in fondo alla fila» nei negoziati commerciali.
Da allora, e dopo la sua nomina a primo ministro nel 2019, Johnson ha coltivato i rapporti con Trump. Un articolo del Times uscito pochi giorni fa, con fonti anonime dentro al comitato elettorale di Biden, sostiene che il team del presidente eletto considera «Boris e [Dominic] Cummings come Trump e Bannon». Cummings è il più stretto consigliere di Johnson, Bannon è stato lo stesso per Trump, prima di cadere in disgrazia. Una fonte del Partito democratico ha detto al Times, riferendosi al comitato di Biden: «Non pensano che Boris Johnson sia un alleato, pensano che il Regno Unito sia un alleato». Biden tempo fa aveva anche definito Johnson come «un clone fisico e psicologico di Donald Trump». Inoltre il presidente eletto ha origini irlandesi: un accordo sulla Brexit che metta in pericolo la pace tra Irlanda e Irlanda del Nord non sarebbe bene accolto dalla sua presidenza.
Sembra inoltre che Biden non si sia dimenticato di un’offesa razzista fatta da Johnson a Obama nel 2016: commentando il fatto che Obama aveva rimosso il busto di Winston Churchill dallo Studio ovale, Johnson disse che l’allora presidente aveva un «disprezzo ancestrale» per l’impero britannico perché sarebbe «in parte keniota».
Israele
La presidenza Biden non ridurrà il sostegno degli Stati Uniti allo stato di Israele, che è forte da sempre, ma probabilmente ridurrà l’allineamento americano all’agenda politica di Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, che in questi anni ha ricevuto sostegno politico da Trump praticamente in ogni sua azione, e che ha tratto enorme beneficio da numerose decisioni dell’amministrazione, tra cui lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e l’uscita dall’accordo sul nucleare iraniano, che Netanyahu considerava pericoloso per la sicurezza di Israele. L’amministrazione Trump ha anche spinto molti paesi a maggioranza musulmana a riconoscere Israele.
Biden, che fu tra gli ideatori dell’accordo sul nucleare, ha detto che intende «recuperare la strada della diplomazia» con l’Iran, e probabilmente riaprirà gli uffici diplomatici dei palestinesi a Washington, che Trump aveva fatto chiudere.
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Arabia Saudita
La monarchia saudita aveva sviluppato un rapporto molto stretto con l’amministrazione Trump, in alcuni casi anche personale: Jared Kushner, il genero di Trump e suo consigliere su molti temi, è particolarmente vicino a Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita. Dal punto di vista strategico, gran parte di questa vicinanza era dovuta all’avversione comune nei confronti dell’Iran: come nel caso di Israele, i sauditi erano molto contrari all’accordo sul nucleare voluto dall’amministrazione Obama-Biden, e hanno celebrato la decisione di Trump di uscirne.
Trump inoltre non fece ritorsioni nei confronti dell’Arabia Saudita dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, cosa per cui è stato molto criticato da Biden, che inoltre ha promesso di ritirare l’appoggio degli Stati Uniti nella guerra in Yemen (combattuta per procura tra Arabia Saudita e Iran) e di «rivalutare» tutto il rapporto diplomatico, perché gli Stati Uniti, ha detto lo scorso ottobre, non devono rinunciare ai loro valori «pur di vendere armi o comprare petrolio». L’Arabia Saudita è il principale compratore di armi americane. Nonostante le differenze, tuttavia, il paese è un alleato degli Stati Uniti da decenni, e difficilmente un’amministrazione Biden cambierà drasticamente questa realtà.
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Polonia e Ungheria
I due governi populisti europei hanno sempre avuto in Trump un alleato accondiscendente, che ha riempito i due paesi di cortesie diplomatiche: ha visitato la Polonia nel 2017 e ad agosto di quest’anno il presidente polacco Andrzej Duda è stato il primo capo di stato ospitato alla Casa Bianca dopo la crisi da coronavirus. Trump un anno fa ha ospitato nello Studio Ovale anche Viktor Orbán, il primo ministro ungherese, e gli ha fatto i complimenti per il suo «lavoro eccezionale»: «Sei rispettato in tutta Europa. Forse, come me, sei considerato un po’ controverso, ma va bene», gli ha detto. A unire Trump ai governanti di Polonia e Ungheria ci sono il populismo, le politiche contro l’immigrazione e l’antieuropeismo.
Orbán ha tifato apertamente per la rielezione di Trump, e lo stesso ha fatto anche un altro populista europeo, il primo ministro della Slovenia Janez Jansa, che probabilmente è stato l’unico capo di governo del mondo a congratularsi con Trump e non con Biden (sia Orbán sia Mateusz Morawiecki, il premier polacco, si sono congratulati con Biden).
It’s pretty clear that American people have elected @realDonaldTrump @Mike_Pence for #4moreyears. More delays and facts denying from #MSM, bigger the final triumph for #POTUS. Congratulations @GOP for strong results across the #US @idualliance pic.twitter.com/vzSwt9TBeF
— Janez Janša (@JJansaSDS) November 4, 2020
E la Cina?
Nemmeno il presidente cinese Xi Jinping si è ancora congratulato con Biden. Questo non deve essere necessariamente considerato un segnale negativo. Anche nel 2000, quando le elezioni presidenziali americane rimasero in forse fino a dicembre, l’allora presidente Jiang Zemin attese fino alla completa risoluzione di tutte le controversie per congratularsi con il vincitore. È difficile, quindi, dire se la Cina trarrà beneficio o meno dall’elezione di Joe Biden. Da un lato, la guerra commerciale di Donald Trump è stata dannosa per l’economia cinese (anche per quella americana), e specie per alcune aziende come Huawei. D’altro canto, l’isolazionismo di Donald Trump in politica estera ha giovato alla Cina: per esempio, Trump decise all’inizio del suo mandato di abbandonare il TPP, l’accordo di libero scambio tra paesi del Pacifico che l’amministrazione Obama aveva pensato, tra le altre cose, come mezzo di contenimento dell’espansionismo cinese nell’area. L’uscita degli Stati Uniti dall’accordo ha molto favorito la Cina.
In generale, in parte a causa delle politiche di Donald Trump, l’atteggiamento di tutto l’establishment americano nei confronti della Cina si è molto indurito di recente, e questo vale anche per Biden (lo stesso è avvenuto in Cina, a parti inverse). Probabilmente il nuovo presidente sarà una controparte più affidabile, ma nel suo programma ci sono molte proposte severe contro la Cina.