Il vaccino di Pfizer sembra più efficace del previsto

In una prima analisi sulla fase finale di test in corso ha dato buoni risultati nel 90 per cento dei casi: è una buona notizia, ma serviranno ulteriori conferme

(Pfizer)
(Pfizer)

Il vaccino sperimentale contro il coronavirus sviluppato dall’azienda farmaceutica statunitense Pfizer, in collaborazione con la tedesca BioNTech, ha dato risultati sopra le aspettative, rivelandosi più efficace di quanto atteso. La notizia segna un importante progresso nelle sperimentazioni dei vaccini per contenere la pandemia, ma saranno ancora necessari test e verifiche per assicurarsi che la soluzione sviluppata da Pfizer sia efficace nel medio termine e sicura.

Un’analisi preliminare dell’ultima fase (su tre) della sperimentazione del vaccino, svolta da un gruppo di lavoro terzo ed esterno a Pfizer, ha rilevato alti livelli di efficacia. Il risultato più interessante riguarda gli individui che hanno ricevuto due dosi del vaccino, a distanza di tre settimane, e che in oltre il 90 per cento dei casi non hanno sviluppato i sintomi della COVID-19, rispetto a chi aveva invece ricevuto una sostanza che non fa nulla (placebo).

Lo studio di fase 3 è ancora in corso e sta portando alla raccolta di ulteriori dati, che potrebbero modificare l’attuale analisi. Il risultato è ritenuto incoraggiante, considerato che fino a qualche settimana fa numerosi esperti avevano ipotizzato che un vaccino contro il coronavirus sarebbe stato efficace nel 60-70 per cento dei casi, secondo le valutazioni più ottimistiche.

Per ora le informazioni sui risultati dell’analisi sono comunque scarse. Non è per esempio ancora chiaro se il vaccino contribuisca a prevenire i casi più gravi di COVID-19, riducendo quindi la letalità del coronavirus, i ricoveri e di conseguenza il carico di lavoro per i sistemi sanitari. Non è inoltre noto se il vaccino di Pfizer renda meno probabile che gli asintomatici trasmettano il coronavirus. Infine, essendo stato analizzato per pochi mesi, a oggi non è possibile dire per quanto tempo il vaccino offra una copertura contro il rischio di sviluppare la COVID-19, nel caso di un contagio.

I risultati dell’analisi non sono stati inoltre sottoposti a una revisione alla pari, e non sono stati nemmeno pubblicati su qualche rivista scientifica. Sarà quindi necessario attendere la diffusione di altre informazioni per avere un quadro più completo.

Il vaccino di Pfizer è, insieme a quello della concorrente Moderna, tra i più avanti nella sperimentazione su migliaia di individui. Entrambi i vaccini sono basati sull’RNA messaggero (mRNA), la molecola che si occupa di codificare e portare le istruzioni contenute nel DNA per produrre le proteine. Semplificando molto, i vaccini basati su questo sistema impiegano forme sintetiche di mRNA – quindi create in laboratorio – che contengono istruzioni per produrre alcune proteine specifiche del coronavirus. In questo modo il sistema immunitario impara a riconoscerle e a contrastarle nel caso in cui si entri in contatto con il virus.

A oggi nessun prodotto basato sull’mRNA è stato mai messo in commercio, e anche per questo negli ultimi mesi erano stati sollevati diversi dubbi su questo approccio per contrastare il coronavirus. Decine di altri centri di ricerca e aziende farmaceutiche stanno lavorando a vaccini più tradizionali, che impiegano per esempio versioni inattivate, quindi innocue, del coronavirus, ma sufficienti per indurre il sistema immunitario a riconoscerle e a serbarne il ricordo.

Pfizer sta scommettendo molto sul vaccino sviluppato con BioNTech e negli ultimi mesi ha avviato diverse iniziative per assicurarsi di avere, e potere comunicare, risultati ancora prima della conclusione della fase finale di test clinici. Per questo ha nominato un gruppo di lavoro indipendente incaricandolo di esaminare i primi dati ottenuti dai test che stanno interessando circa 44mila volontari.

Il gruppo di lavoro avrebbe dovuto produrre un primo rapporto sui primi 32 volontari che avrebbero contratto il coronavirus, e ai quali fosse stato somministrato o il vaccino o il placebo. Pfizer aveva intenzione di annunciare l’efficacia della sua soluzione se meno di sei volontari vaccinati avessero sviluppato la COVID-19 (almeno un sintomo e un tampone positivo). La società aveva ricevuto numerose critiche da diversi esperti, perché dati su così pochi casi non avrebbero avuto una particolare rilevanza statistica.

Dai test sui volontari svolti finora sono stati rilevati 94 casi di COVID-19, circostanza che offre una maggiore affidabilità dei dati. Di questi, meno di nove avevano ricevuto le due dosi del vaccino, circostanza che sembra indicare una notevole efficacia del vaccino.

Pfizer ha confermato che non svolgerà altre analisi con la fase 3 ancora in corso, e che sta per concludersi. L’azienda potrebbe chiedere l’autorizzazione per il proprio vaccino alla Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di farmaci, entro la terza settimana di novembre. Molto dipenderà dalla disponibilità della FDA di accettare i dati raccolti in due mesi su metà dei volontari che hanno partecipato allo studio.

Nel complesso la fase 3 interessa 43.538 volontari, 38.955 dei quali hanno ricevuto la seconda dose (del vaccino o del placebo). Pfizer ha come obiettivo il raggiungimento di almeno 164 volontari malati di COVID-19.

Finora non sembrano essere emersi particolari problemi sulla sicurezza del vaccino. Le iniezioni possono causare in alcuni soggetti febbre, spossatezza e dolori muscolari, ma sono nel complesso ben tollerate come avviene già con altri vaccini impiegati negli adulti. Dai dati, la rilevanza degli effetti collaterali transitori sembra essere un poco più marcata rispetto ai vaccini contro l’influenza stagionale.

Come diverse altre aziende farmaceutiche nella fase finale di sperimentazione, anche Pfizer ha già avviato la produzione del vaccino, in modo da metterlo a disposizione da subito nel caso di un’approvazione da parte delle autorità sanitarie. La società dice che già entro fine anno potrebbe fornire circa 50 milioni di dosi, mentre nel 2021 potrebbe arrivare a produrne 1,3 miliardi.

La sfida logistica per la distribuzione sarà enorme, anche perché a differenza di altri vaccini sperimentali quello di Pfizer deve essere tenuto a -70 °C. La società ha sviluppato scatole termiche particolari, raffreddate con il ghiaccio secco, per mantenere le fiale alla giusta temperatura, ma ci sono dubbi sulla possibilità di poter impiegare un vaccino di questo tipo in aree remote e difficilmente raggiungibili. Un’ipotesi è che il vaccino di Pfizer possa essere utilizzato negli ospedali dei grandi centri urbani, solitamente più attrezzati, mentre per aree rurali e isolate si dovranno impiegare altri vaccini ancora in fase di sperimentazione, ma che richiedono metodi di conservazione meno dispendiosi.