Cosa sta succedendo in Calabria con il coronavirus
È tra le aree rosse pur avendo meno contagi di tutte le altre regioni: c'entra un sistema sanitario allo sbando, come confermato dalle recenti dimissioni del commissario alla Sanità Saverio Cotticelli
Tra le quattro regioni che il governo ha inserito nelle aree rosse, la Calabria presenta una situazione differente, e per certi versi paradossale, legata alla storia del commissariamento della sanità regionale, alle carenze infrastrutturali e ai ritardi nella spesa dei fondi del governo. Questa situazione si è complicata nei giorni scorsi a causa delle dimissioni di Saverio Cotticelli, commissario per la sanità in Calabria dal gennaio 2019, dopo che in un’intervista televisiva aveva detto di non sapere di dover essere lui a fare il “piano Covid” per la regione.
Il 4 novembre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato alcune nuove misure restrittive per contenere la cosiddetta “seconda ondata” di coronavirus nel paese. Da venerdì 6 novembre l’Italia è stata divisa in tre aree, a seconda della gravità della situazione epidemiologica locale: una rossa, una arancione e una gialla, dalla più grave alla meno grave. Nell’area rossa, quella in cui la trasmissibilità del virus è diffusa e più grave e necessita di misure restrittive più drastiche, ci sono Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta. Ma rispetto alle altre regioni la Calabria presenta caratteristiche particolari.
Le tre fasce con criticità moderata, medio-alta e alta sono state individuate in base all’indice Rt e a 21 parametri tra cui il numero dei ricoveri in ospedale e la percentuale dei tamponi positivi su tutti i tamponi effettuati. Nell’inserire una regione in una fascia piuttosto che in un’altra si tiene conto però anche dell’intera tenuta dei servizi sanitari regionali. È quello che è accaduto in Calabria, dove la situazione dei contagi è però meno grave che in Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta. Nelle ultime settimane i contagi settimanali in Calabria sono stati sempre intorno ai 100 ogni 100mila abitanti, molti meno che nelle altre regioni nelle aree rosse (in Lombardia e in Piemonte sono ormai oltre i 500, in Valle d’Aosta oltre 600), e anche l’indice Rt è inferiore a quello di molte altre regioni (tra il 19 e il 25 ottobre è stato in media 1,84, mentre in Valle d’Aosta è stato 0,92, in Lombardia 2,01 e in Piemonte 1,99), ma il servizio sanitario regionale è da mesi allo sbando e ha costretto il governo a inserire la regione nelle aree rosse.
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Nel comunicato del governo si legge che l’inserimento della Calabria nelle “aree rosse” è stato deciso «in ragione della situazione emergenziale in corso e verificato il reiterato mancato raggiungimento del punteggio minimo previsto dalla griglia dei livelli essenziali di assistenza (Lea) in ambito sanitario e degli obiettivi economico-finanziari previsti nei programmi operativi». La sanità calabrese è infatti commissariata dal luglio del 2010, dopo che già nel 2008 erano stati riscontrati casi di malasanità, bilanci truccati e infiltrazioni mafiose nelle aziende sanitarie locali.
Per quanto riguarda la situazione della sanità legata alla pandemia il problema principale sono i posti letto di terapia intensiva, che potrebbero rivelarsi largamente insufficienti nel caso in cui la situazione epidemiologica dovesse aggravarsi nelle prossime settimane. Con il decreto Rilancio dello scorso maggio il governo aveva predisposto nuove risorse per le regioni, in modo che riorganizzassero i sistemi sanitari e implementassero nuovi posti di terapia intensiva, circa 0,14 posti letto per mille abitanti. Alla Calabria, che prima della pandemia aveva in tutto 106 posti letto di terapia intensiva, erano spettati circa 65 milioni di euro con il fine di arrivare a un totale di 28o posti letto di terapia intensiva in vista dell’autunno.
Secondo un’analisi dell’HuffPost durante la prima fase dell’epidemia erano stati aggiunti 40 posti letto, e negli ultimi giorni si era arrivati a un totale di 161 posti di terapia intensiva, di cui 57 dedicati ai pazienti malati di COVID-19. Il piano per la riorganizzazione dei posti di terapia intensiva sarebbe spettato a Saverio Cotticelli, commissario per la sanità in Calabria nominato nel gennaio 2019, ma durante un’intervista al programma di Rai 3 “Titolo Quinto”, andato in onda venerdì sera, questi ha detto di non saperne nulla e di credere che il piano dovesse essere redatto dal presidente della Giunta regionale.
Quando il giornalista Walter Molino gli ha fatto notare che sarebbe stato suo compito redigere quel piano, Cotticelli ha dato alcune risposte confuse e poi messo di fronte a un documento di fine ottobre – ricevuto dal ministero dell’Economia e da quello della Salute – che ribadiva che nelle regioni commissariate il piano doveva essere preparato dal commissario, ha ammesso che doveva essere lui a preparare il piano anti-COVID.
In seguito alle polemiche suscitate da questa intervista, sabato mattina, su pressione del presidente del Consiglio, Cotticelli ha rassegnato le sue dimissioni. Al suo posto il governo ha nominato Giuseppe Zuccatelli, di cui però sono subito emerse alcune dichiarazioni particolarmente imbarazzanti. Nelle ultime ore è infatti circolato un video di alcuni mesi fa, quando era commissario dell’azienda sanitaria provinciale (ASP) di Cosenza, in cui tra le altre cose dice che «le mascherine non servono a un cazzo» nel limitare la diffusione del coronavirus. E poi aggiunge, alzando notevolmente la voce: «Sai cos’è che serve? La distanza. Perché per beccarti il virus se io fossi positivo tu sai cosa devi fare? Devi stare con me e baciarmi per 15 minuti con la lingua in bocca».
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