La prima campagna presidenziale di Joe Biden
Fu 33 anni fa, quando si candidò alle primarie Democratiche e ne uscì malissimo: ma per certi versi era già il Biden di oggi
Durante la sua prima campagna elettorale per le presidenziali statunitensi, il prossimo presidente degli Stati Uniti Joe Biden era solito ripetere che la storia della Casa Bianca è fatta di cicli, alcuni di rapido ed esplosivo progresso, e altri di assestamento con presidenti scelti per «far respirare l’America». Era il 1987, gli Stati Uniti stavano uscendo dal secondo mandato di un popolarissimo e anziano presidente conservatore, Ronald Reagan: Biden, allora nemmeno 45enne, si era candidato alle primarie Democratiche come giovane spavaldo e carismatico, un presidente del primo tipo.
Oggi, 33 anni dopo, Biden diventerà il più anziano presidente mai eletto alla Casa Bianca, superando di 8 anni il record stabilito quattro anni fa da Donald Trump. A 77 anni, Biden ha costruito la sua intera campagna elettorale presentandosi come un candidato della seconda categoria, tra quelle che individuò durante la sua prima campagna elettorale: sarà un presidente che ridarà fiato all’America, dopo i caotici e stancanti quattro anni di Trump.
Quella prima candidatura, sebbene non finì bene, anticipò per molti versi alcuni tratti della figura di Biden ben visibili ancora oggi, come aveva notato il New York Times.
Biden aveva già considerato di candidarsi a presidente addirittura nel 1984, dopo dieci anni in cui si era fatto conoscere come brillante e giovanissimo senatore del Delaware. Alla fine rimandò, decidendo di preparare meglio il terreno per arrivare alle primarie del 1988 con una certa autorevolezza e visibilità, che si guadagnò mettendo in mostra le sue abilità da oratore agli eventi del Partito Democratico.
Alla vigilia della campagna elettorale per le primarie era considerato uno dei candidati favoriti perché appartenente alla generazione dei baby boomers, cioè gli americani nati tra gli anni Quaranta e Cinquanta e che erano (e sono ancora oggi) molto numerosi e influenti. Oltre alla sua età e al suo carisma giocava a suo favore l’essere un candidato moderato: gli Stati Uniti alla fine degli anni Ottanta erano un paese molto conservatore, tanto che alla fine vinse le presidenziali il Repubblicano George H. W. Bush, raro caso di un nuovo presidente dello stesso partito di quello uscente.
La sua campagna elettorale cominciò bene, raccogliendo molti fondi e posizionandosi molto avanti nelle gerarchie, dietro al grande favorito, il senatore Gary Hart, e perfino con più chances di altri candidati famosi come il reverendo Jesse Jackson e il governatore del Massachusetts Michael Dukakis. Le cose si misero ancora meglio quando, nel maggio del 1987, Hart si ritirò per uno scandalo.
Ma non appena le primarie entrarono nel vivo, le cose iniziarono ad andare storte. Biden ebbe innanzitutto un problema di messaggio: si presentò come candidato moderato, distante dalle richieste della sinistra del partito, ma per sua stessa ammissione non riuscì a comunicare davvero chi fosse e cosa volesse: «il mio messaggio era un po’ opaco, come se la gente mi vedesse attraverso un velo».
Ma i guai veri arrivarono quando Biden iniziò infatti a dare esempi di quello che sarebbe stato un suo grande difetto anche nei decenni successivi: la tendenza a parlare troppo liberamente in pubblico – sebbene per alcuni suoi sostenitori non sia un difetto, anzi – ma anche ad avventurarsi in temi delicati trattandoli con troppa leggerezza, a usare citazioni altrui senza attribuirle, e soprattutto ad esagerare e addirittura inventare dati e dettagli personali.
In un’occasione usò un discorso di Robert Kennedy senza citarlo, e in un’altra lo fece con il discorso inaugurale di John Fitzgerald Kennedy. Durante un altro evento elettorale se la prese con un uomo nel pubblico che gli aveva chiesto conto della sua carriera universitaria, rispondendogli che probabilmente aveva un quoziente intellettivo superiore al suo. E mentendo anche sul suo voto di laurea, esagerandolo. Erano tempi diversi, e inciampi di questo tipo giravano molto meno sui giornali e sulle televisioni: non era roba da compromettere un’intera campagna elettorale, insomma.
Ma questi intoppi ed errori proseguirono: in un dibattito tra i candidati, Biden copiò infatti un passaggio di un discorso del leader del Partito Laburista britannico Neil Kinnock, che qualche mese prima aveva usato la storia delle famiglie sua e di sua moglie, famiglie di minatori, per riflettere sulle opportunità date ai figli della classe operaia. Biden citò Kinnock quasi letteralmente, usando anche la stessa gestualità per indicare sua moglie nel pubblico. Biden aveva già usato quel discorso in altre occasioni, ma aveva citato Kinnock: al dibattito non lo fece.
Una videocassetta con il discorso di Biden e quello di Kinnock fu passata dallo staff di Dukakis alla stampa (in seguito Dukakis disse che non ne sapeva niente, e licenziò il suo braccio destro). Il nastro fu trasmesso e raccontato sui giornali, attirando un certo scandalo su Biden, anche perché non erano primarie molto attraenti e vivaci. In seguito, lui disse che avrebbe potuto cambiare la sua vita introducendo quel passaggio con due parole, “Come Kinnock”, anche se in realtà fu criticato anche per aver lasciato intendere che alcuni dettagli della storia familiare di Kinnock fossero anche suoi.
Dopo quello scandalo ne emerse un altro, riguardo a un episodio di plagio che risaliva all’università. Poi si scoprì che aveva esagerato anche la sua partecipazione al movimento per i diritti civili: aveva detto in diverse occasioni di aver preso parte alle marce, quando in realtà partecipò soltanto a una piccola manifestazione locale.
Nel settembre del 1987, Biden dovette convocare una conferenza stampa al Campidoglio per scusarsi e provare a spiegarsi: «Ho fatto delle cose stupide, e ne farò altre». Disse però che non aveva intenzione di ritirarsi dalle primarie: meno di una settimana dopo lo fece comunque.
Alle primarie vinse Dukakis, che poi avrebbe perso disastrosamente contro George H. W. Bush. Nonostante rimanesse uno dei politici più importanti e rispettati del Partito Democratico, non si candidò a presidente per vent’anni: fino al 2008, quando partecipò alle primarie Democratiche senza mai riuscire davvero a imporsi su Hillary Clinton e Barack Obama, e ritirandosi dopo un disastroso risultato ai caucus dell’Iowa.