Cosa sta succedendo a Italo
Durante il primo lockdown aveva praticamente azzerato le corse, e da allora non si è più ripresa
A partire da martedì 10 novembre, Italo S.p.A. sospenderà la maggior parte delle corse dei suoi treni e richiederà la cassa integrazione per il proprio personale.
Lo ha annunciato la società mercoledì 4 novembre con un comunicato stampa non troppo dettagliato, nel quale ha specificato che rimarranno attivi solo 2 servizi al giorno sulla tratta che collega Roma a Venezia e 6 al giorno su quella che va da Napoli a Torino passando per Milano. Otto in totale, quindi. Prima della pandemia le corse erano 112 al giorno mentre nell’ultimo periodo, dopo un’interruzione quasi totale durante il lockdown primaverile, erano state portate prima a 87, e poi a 58 dallo scorso 3 novembre.
La decisione è stata presa in seguito all’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) che vieta gli spostamenti in entrata e uscita dalle regioni ad alto rischio epidemico salvo che per esigenze lavorative, necessità o motivi di salute. Il divieto riguarda al momento (oltre alla Valle d’Aosta) Piemonte, Lombardia e Calabria, tre regioni in cui hanno capolinea diverse delle corse ad alta velocità gestite da Italo. Con tutta probabilità perciò il decreto ridurrà ancora di più la domanda di posti a sedere sulle sue tratte di lunga percorrenza, già scesa del 90 per cento secondo il comunicato di Italo (anche se non è indicato su che arco temporale).
Italo è un’azienda privata non quotata, ma nelle sue scelte ci sono comunque in ballo soldi pubblici. La cassa integrazione riguarderà circa 1.500 dipendenti. A questi si aggiungono circa 3.500 persone che lavorano nell’indotto, le quali potrebbero avere presto o tardi bisogno di sussidi simili.
Alla società dovrebbe comunque arrivare una parte degli aiuti economici destinati dal governo al settore ferroviario con il decreto Rilancio di maggio scorso. Si parla di circa 70 milioni di euro per il 2020 e altri 80 all’anno dal 2021, da dividere sostanzialmente fra Italo e Trenitalia. A fine ottobre i soldi non erano ancora arrivati sul conto della società, e il suo presidente, Luca Cordero di Montezemolo, aveva detto che «senza aiuti pubblici subito» Italo avrebbe interrotto il servizio. La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, aveva risposto assicurando che il decreto di assegnazione delle risorse, necessario per sbloccare i fondi del decreto Rilancio, fosse stato già firmato da lei e dal ministro dell’Economia, perciò i soldi sarebbero arrivati. Al momento non è chiaro se Italo abbia realmente ricevuto i fondi.
Il secondo motivo per cui questa storia interessa tutti è che, se Italo dovesse interrompere il suo servizio, il trasporto ferroviario ad alta velocità in Italia tornerebbe di fatto a essere un monopolio di Ferrovie dello Stato attraverso la sua controllata Trenitalia. E la concorrenza sul mercato dell’alta velocità ha finora ridotto i prezzi e anche fatto crescere il numero di passeggeri che scelgono questo tipo di trasporto invece di altri più inquinanti. Inoltre, la concorrenza spinge tutti gli operatori (quindi anche Trenitalia) a provare a migliorare costantemente il proprio servizio.
In Italia il mercato del trasporto ferroviario è stato liberalizzato nei primi anni Duemila recependo direttive europee che andavano in quella direzione. La gestione della rete ferroviaria e il servizio di trasporto, due attività distinte, erano fino ad allora un unico monopolio in mano a Ferrovie dello Stato. Con la liberalizzazione, lo Stato ha diviso le due attività assegnando la gestione delle strutture ferroviarie in monopolio a Rete Ferroviaria Italiana (una nuova società creata appositamente e controllata da FS), e aprendo invece il mercato del trasporto alla concorrenza (pur continuando di fatto a detenerne il monopolio tramite Ferrovie).
Nello stesso decennio lo Stato mise in esercizio nuove linee ad alta velocità. Si creò così un nuovo mercato: quello del trasporto passeggeri ad alta velocità su tratte di lunga percorrenza. Per competere con Trenitalia su questo mercato, nel 2006 un gruppo di imprenditori (tra cui Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle, imprenditore già noto per le aziende calzaturiere) fondò Italo – Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A. (in breve: Italo S.p.A.).
La società iniziò a fornire servizi di trasporto nel 2012 e da allora ha ottenuto quote di mercato sempre maggiori. In un primo momento aveva investito molto sulla differenziazione del proprio servizio rispetto a Trenitalia, tentando di offrire un servizio migliore cosicché i clienti fossero disposti a pagare di più. Dal 2015 in poi la sua strategia è cambiata, e ha iniziato a competere con Trenitalia anche sul prezzo. La strategia portò i prezzi ad abbassarsi e la domanda totale per l’alta velocità in Italia a salire: da 8 miliardi di passeggeri-chilometro nel 2010 si è arrivati a 15 miliardi nel 2017 (ultimo dato disponibile sul sito dell’azienda, unica a fornire una stima del mercato). Nello stesso periodo, la quota di mercato di Italo è cresciuta da zero a 35 per cento.
I primi bilanci della società si erano però chiusi in perdita, prevedibilmente, a causa degli alti investimenti iniziali. Solo nel 2016 dopo una ristrutturazione del debito e una ricapitalizzazione da 100 milioni di euro, Italo aveva iniziato a fare profitti: 32,7 milioni di euro. Due anni dopo, forti dei guadagni crescenti, gli azionisti avevano deciso di vendere Italo al fondo d’investimenti statunitense Global Infrastructure Partners (GIP), che pagò la società 1,98 miliardi di euro. Alcuni dei fondatori avevano poi ricomprato una parte minore della società, ma GIP ne mantiene il pieno controllo col 72,6 per cento. Nel 2019, ultimo esercizio prima della pandemia di COVID-19, Italo è arrivata a fatturare 681 milioni di euro con un utile di 151 milioni.
Come tutti i trasporti, anche quello ferroviario ha risentito pesantemente delle restrizioni alla mobilità adottate nel tentativo di contenere la pandemia di COVID-19. Il 10 aprile 2020, durante il lockdown, l’amministratore delegato di Italo Gianbattista La Rocca aveva dichiarato in un’intervista a Teleborsa che la domanda era crollata di oltre il 99% rispetto a prima dell’epidemia e che il numero di passeggeri era sceso da circa 60 mila a 300 al giorno. Di conseguenza la società aveva ridotto i suoi servizi a due sole corse al giorno sulla tratta Roma-Venezia.
Per far fronte alle difficoltà, nella stessa intervista La Rocca chiedeva che lo Stato sospendesse parte del canone annuo che Italo deve pagare a RFI per poter usare la rete delle ferrovie. Un aiuto da circa 200 milioni di euro l’anno, stando a La Rocca (anche se a bilancio risultano costi di 161,6 milioni di euro per pedaggio e trazione), a fronte del quale l’amministratore faceva notare come la società avesse a sua volta fatto sacrifici, sospendendo la distribuzione ai soci del dividendo di 151,42 milioni già deliberato e tagliando del 20 per cento i compensi dei manager (va detto però che l’anno prima aveva distribuito dividendi per 343 milioni di euro).
Il 21 maggio, dopo l’allentamento delle misure di contenimento della pandemia, Italo ha iniziato a reintrodurre diverse corse, anche se con la capienza massima del 50 per cento derivante dalle imposizioni del governo sul distanziamento interpersonale sui treni a lunga percorrenza. Una iniziale deroga del ministero dei Trasporti che aveva portato la capienza all’80 per cento è stata immediatamente annullata in estate. In una riunione del 15 settembre, il Comitato Tecnico Scientifico del governo, valutata la questione, ha deciso che i treni ad alta velocità non hanno i requisiti perché i limiti alla capacità massima vengano rimossi. Un’ipotesi di usare i treni Italo per i trasporti locali a oggi non sembra sia stata presa in considerazione.
A settembre La Rocca ha quantificato l’impatto della pandemia sul bilancio di Italo in una perdita di 200 milioni di euro, stimando che possa arrivare a 400 milioni entro fine anno. L’azienda ha una riserva di circa 1,5 miliardi di euro, ma ha debiti per circa un miliardo.