C’è il rischio di una guerra civile in Etiopia?
È considerato uno scenario possibile, a causa dello scontro sempre più duro tra governo federale di Abiy Ahmed e governo locale della regione del Tigrè
Questa settimana il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha ordinato all’esercito di iniziare un’offensiva militare contro il governo del Tigrè, una delle dieci regioni che formano l’Etiopia, e ha imposto lo stato di emergenza sul territorio regionale per sei mesi. La decisione di Abiy è arrivata dopo mesi di tensione tra governo federale di Addis Abeba e governo locale, e in particolare dopo un attacco compiuto dalle forze fedeli al governo locale contro alcuni soldati dell’esercito federale che si trovavano nella caserma principale di Macallé, la capitale della regione del Tigrè. Giovedì ci sono stati i primi attacchi aerei, ma non si sa con precisione quale siano stati gli obiettivi e i danni. Da alcuni giorni si parla del rischio che lo scontro tra i due governi possa trasformarsi in una guerra civile, che a sua volta potrebbe alimentare malcontenti e ribellioni in altre regioni del paese.
– Leggi anche: Abiy Ahmed si è meritato il Nobel per la Pace?
L’Etiopia sta attirando molte attenzioni, e non solo perché è il secondo stato più popoloso del continente africano e il più potente nella regione del Corno d’Africa. Nel 2019 il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, aveva vinto il premio Nobel per la Pace per avere fatto la pace con la vicina Eritrea e per avere avviato un processo storico di riforme e democratizzazione. L’entusiasmo però non era durato a lungo, e nel corso dell’ultimo anno Abiy era stato accusato più volte di essere scivolato di nuovo nell’autoritarismo violento dei suoi predecessori.
La questione è piuttosto complicata, e non si limita solo alle presunte pratiche autoritarie di Abiy. Le tensioni con il governo regionale del Tigrè arrivano da lontano e sono legate per lo più all’esclusione del partito dominante della regione, il Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF), dal governo federale. Il TPLF era stato escluso con l’arrivo al potere di Abiy, dopo che per decenni era stato la più influente forza di tutta la politica etiope, nonostante rappresentasse un’etnia, quella tigrina, che corrispondeva solo al 6 per cento dell’intera popolazione nazionale.
In Etiopia le regioni iniziarono ad avere enorme autonomia grazie alla Costituzione del 1995, scritta quando al governo c’era il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope, una coalizione il cui partito principale era proprio il TPLF. La Costituzione garantiva tra le altre cose che le regioni potessero imporre l’uso della lingua locale e prevedeva la possibilità della secessione tramite referendum (possibilità che però non ha mai trovato concretezza e che è sempre stata limitata dal governo centrale). Il fatto che il governo fosse dominato da una forza politica che rappresentava una piccola percentuale della popolazione, unito alle numerose discriminazioni che venivano applicate contro altre etnie, come quella degli oromo, provocarono una serie di violente proteste nel 2015, soprattutto nelle regioni di Oromia e Amhara (dove vivono rispettivamente il 53 e il 27 per cento della popolazione nazionale).
Nel 2018, per cercare di risolvere la crisi, la coalizione di governo fece il nome di Abiy Ahmed, l’attuale primo ministro, di etnia oromo. Per i tigrini quella scelta fu un duro colpo, e l’inizio di un progressivo declino politico, almeno a livello nazionale.
A dispetto di quello che si aspettavano alcuni, Abiy non promosse politiche per favorire gli oromo, ma iniziò a lavorare per garantire l’unità nazionale e creare una forte identità etiope. I suoi sforzi però non ebbero l’esito sperato. Diversi governi regionali dell’Etiopia, tra cui quello del Tigrè, videro minacciata la propria autonomia e sfruttarono le nuove libertà garantite dalle riforme democratiche di Abiy per sviluppare campagne d’odio incentrate sull’appartenenza etnica, ha raccontato il Financial Times. All’inizio dell’anno l’ostilità verso Abiy crebbe ulteriormente quando il suo governo annunciò il rinvio delle elezioni previste per agosto. Il governo disse che la decisione era stata rimandata a causa dell’epidemia da coronavirus, ma i critici sostennero che l’intenzione di Abiy fosse quella di prolungare il suo mandato.
Le politiche governative trovarono opposizione soprattutto all’interno del TPLF, il partito politico dominante nella regione del Tigrè. A settembre, nonostante il divieto imposto dal governo federale, il governo regionale organizzò le elezioni per rinnovare i seggi del parlamento tigrino: il TPLF ottenne 152 seggi su 152 disponibili. Da parte sua, il TPLF aveva espresso la sua opposizione verso il processo di pace avviato da Abiy con il presidente eritreo Isaias Afwerki, che nella regione del Tigrè è considerato un nemico (i due territori sono confinanti).
Secondo il presidente della regione del Tigrè, Debrestion Gebremichael, la decisione di Abiy di attaccare militarmente le forze regionali sarebbe il risultato delle elezioni di settembre.
La situazione attuale viene vista con molta preoccupazione da molti esperti e analisti. Una delle cose che si teme di più è l’inizio di un conflitto esteso e molto violento, e potenzialmente lungo. L’esercito etiope si troverebbe di fronte a una milizia e un corpo di polizia tigrini molto ben armati e addestrati. Inoltre, altre regioni dove è forte il risentimento verso il governo di Abiy, per esempio le regioni del sud che vorrebbero più autonomia, potrebbero diventare particolarmente instabili e potrebbero iniziare nuove violenze tra diversi gruppi etnici.
C’è un’ultima considerazione da fare. L’Etiopia è il paese più potente e influente del Corno d’Africa, e quello che succede in Etiopia condiziona molto frequentemente gli eventi in Somalia, Sud Sudan ed Eritrea. Un’Etiopia più instabile potrebbe produrre maggiore instabilità in tutta la regione.