Gli effetti della pandemia sull’accesso alla contraccezione
In diversi paesi la scelta delle donne in tema di salute sessuale e riproduttiva è messa in discussione dal virus, con conseguenze potenzialmente molto gravi
Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, che si occupa di uguaglianza di genere e salute sessuale e riproduttiva delle donne, ha recentemente ribadito come l’accesso ai contraccettivi orali – che dall’OMS sono riconosciuti come farmaci essenziali – sia costantemente minacciato, da stigmi radicati e da problemi strutturali tra i quali le difficoltà di approvvigionamento. Questo vale in generale, ha fatto sapere. Ma ora a questi fattori si è aggiunta la pandemia causata dal coronavirus, con «conseguenze catastrofiche» per le donne.
«La pandemia sta facendo aumentare le disuguaglianze, e milioni di donne e ragazze rischiano ora di perdere la possibilità di pianificare le loro gravidanze, di proteggere il loro corpo e la loro salute», ha dichiarato la direttrice generale dell’UNFPA, Natalia Kanem. L’Economist si è occupato della questione scrivendo che se da una parte è troppo presto per sapere quali saranno le conseguenze della pandemia sulla salute riproduttiva, dall’altra è già possibile vedere come stiano emergendo due modelli diversi in base al contesto sociale, politico ed economico in cui le donne vivono.
Nei cosiddetti paesi ricchi, le donne stanno rimandando la maternità perché il periodo è molto incerto e perché, in generale, ci sono le condizioni per poter fare questa scelta. Nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, o che hanno un servizio sanitario insufficiente, le donne hanno invece meno possibilità di scelta.
Nei cosiddetti paesi ricchi, spiega l’Economist, le donne tenderanno ad avere una maggiore attenzione alla pianificazione familiare: l’ansia causata dalla pandemia potrebbe cioè portare a un forte calo dei tassi di natalità, come dimostrano alcune ricerche condotte negli Stati Uniti. Quando a New York è iniziato il lockdown, molte persone hanno interrotto il trattamento per la fertilità. Alcuni ospedali non hanno poi consentito ai partner di entrare nelle sale parto e secondo Brian Levine, fondatore e direttore di una rete di cliniche per la fertilità negli Stati Uniti e in Canada, la prospettiva di affrontare il parto da sola ha spinto alcune donne a rimandare il fatto di fare dei figli. C’è poi la preoccupazione di contrarre il Covid-19 durante la gravidanza, mentre altre si sono trovate con un enorme carico di lavori domestici sulle spalle e non possono permettersi o non vogliono affrontare la cura di un eventuale neonato. Una responsabile della sezione di New York di Planned Parenthood, la nota organizzazione di cliniche non profit americane che fornisce servizi sanitari alle donne, ha poi raccontato che in molte hanno deciso di interrompere gravidanze che, in altre circostanze, avrebbero continuato a portare avanti.
L’Economist si chiede quanto potrà durare l’impatto della pandemia sui tassi di natalità, potrebbe cioè invertirsi rapidamente, come già accaduto nella storia, ma è difficile fare previsioni. Alcuni paesi stanno comunque già cercando di adattarsi: a Singapore, ad esempio, il governo ha offerto delle sovvenzioni speciali a chi deciderà di avere un figlio nei prossimi due anni.
Nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo” si potrebbe invece assistere a un aumento non pianificato della natalità, con conseguenze disastrose, per le donne. Il Guttmacher Institute, che si occupa di politiche sull’aborto, ha detto che la pressione sui sistemi sanitari causata dalla pandemia rischia di interrompere i servizi per la salute sessuale delle donne. L’organizzazione – che lavora principalmente negli Stati Uniti ma anche in altri paesi – ha stimato un calo del 10 per cento nell’uso di tali servizi in 132 paesi del mondo a basso e medio reddito. Questo significherà che 50 milioni di donne in più non riceveranno i contraccettivi di cui hanno bisogno e che ci saranno 15 milioni di gravidanze indesiderate, con conseguenze sull’istruzione e il reddito delle donne, sulla mortalità materna e sulla pratica degli aborti non sicuri. L’aborto, infatti, durante la pandemia, Europa compresa, è stato ridotto, non implementato, o sospeso, come ha mostrato un recente report pubblicato sul Journal of Family Planning and Reproductive Health Care. Le previsioni di una ricerca dell’UNFPA sostanzialmente confermano lo scenario del Guttmacher Institute.
Tra i principali problemi per la salute sessuale e riproduttiva delle donne durante la pandemia ci sono l’esaurimento delle scorte e l’interruzione delle catene di approvvigionamento di contraccettivi: le persone con poca disponibilità economica raramente acquistano in un’unica volta contraccettivi per diversi mesi, e anche una breve sospensione può portare a gravidanze indesiderate. In India, spiega l’Economist, tra dicembre e marzo la distribuzione di pillole contraccettive e preservativi è diminuita rispettivamente del 15 e del 23 per cento.
Altri problemi sono la mancanza di personale clinico, impegnato ora nella gestione del COVID-19, la chiusura delle strutture sanitarie o la limitazione dei servizi, la scelta delle donne di non andare nelle strutture sanitarie per paura di esporsi al virus o per le limitazioni imposte agli spostamenti, e un’autogestione che potrebbe avere conseguenze sulla salute.
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Tra i paesi in cui questi problemi sono rilevanti e sono stati accentuati dalla pandemia c’è anche l’Argentina. Come ha scritto El País, l’81 per cento delle donne argentine utilizza contraccettivi orali e sono molto poco diffusi metodi di più lunga durata. All’inizio del lockdown, scrive il giornale, il messaggio che maggiormente circolava era quello di non rivolgersi ai servizi sanitari a meno che non fosse strettamente necessario e «nell’immaginario collettivo, i contraccettivi non sono normalmente inclusi nella categoria dei servizi di emergenza». Nel paese, un milione di donne corrono il rischio di non riuscire ad ottenere i loro contraccettivi: il 65 per cento perché non potrà permetterselo, dato che le entrate sono diminuite, e il 35 per cento per difficoltà a ottenerli. Fernanda Moyano, che si occupa di salute delle donne a Buenos Aires, ha spiegato a El País che «le ragazze non vanno nell’ambulatorio del quartiere per cercare i loro contraccettivi per paura del contagio» e che «non ci sono entrate sufficienti per comprare le pillole in farmacia. Molte delle ragazze con cui ho parlato sono già incinte. Altre hanno cambiato metodo, su consiglio delle amiche, senza chiedere ad uno specialista». E altre ancora hanno testimoniato che le pillole contraccettive e la pillola del giorno dopo sono difficili da trovare.
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Il problema degli approvvigionamenti ha riguardato paesi come la Namibia, dove lo scorso maggio il ministero della Salute ha consigliato alle donne di astenersi dal sesso perché erano finiti contraccettivi e pillole, il Pakistan, dove le richieste di pianificazione sessuale sono aumentate, ma i servizi sono diminuiti. Ma ci sono preoccupazioni simili anche nel Regno Unito o in Nuova Zelanda, solo per citare qualche esempio: a metà ottobre, Pharmac, il corrispettivo neozelandese dell’AIFA, ha fatto sapere che le forniture di quattro pillole contraccettive di uso comune stavano per finire e che era molto alto il rischio di una loro indisponibilità fino a febbraio del prossimo anno.
Le maggior organizzazioni che si occupano di salute delle donne, nel mondo, sostengono che oltre a cercare di affrontare la pandemia, è necessario sovvenzionare l’accesso alla contraccezione, migliorare l’accesso alle interruzioni di gravidanza e cominciare a considerare davvero i diritti sessuali e riproduttivi delle donne non solo come una questione di salute pubblica, ma di diritti umani.