Come sarà il prossimo Congresso americano
È probabile che i Repubblicani manterranno la maggioranza al Senato, e questo metterà nei guai un eventuale presidente Biden; alla Camera i Democratici tengono, con qualche delusione
Alle elezioni di martedì negli Stati Uniti le speranze del Partito Democratico al Congresso di mantenere una maggioranza solida alla Camera e conquistare la maggioranza al Senato, che adesso è controllato dai Repubblicani, sono probabilmente andate deluse: è quasi sicuro ormai che i Repubblicani manterranno la maggioranza al Senato, e che riusciranno perfino ad aumentare i loro seggi alla Camera, riducendo ma non ribaltando la maggioranza dei Democratici.
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Al Senato
Attualmente al Senato i Repubblicani hanno una maggioranza di 53 voti contro 47 (due dei voti dei Democratici sono ufficialmente definiti come indipendenti), e alle elezioni di martedì si votava per il rinnovo di 35 seggi, 23 dei quali appartengono a senatori Repubblicani. I Democratici, per ottenere la maggioranza, avrebbero dovuto conquistare almeno tre o quattro seggi e mantenere tutti quelli che già hanno: quattro seggi per ottenere la maggioranza di 51 senatori; tre seggi per conquistare la parità 50-50, sperando poi che Joe Biden vinca la presidenza. Quando il voto al Senato è in parità, infatti, il vicepresidente può esprimere il suo voto per decidere la maggioranza.
I Democratici sapevano che ribaltare la maggioranza quest’anno non sarebbe stato facile: i 35 seggi in gioco si trovano in stati da sempre vicini ai Repubblicani, e anche Chuck Schumer, il leader dei Democratici al Senato, ha detto per mesi che le speranze del partito sarebbero state migliori alle elezioni di metà mandato del 2022. Ma i sondaggi a un certo punto erano a tal punto spostati a favore di Biden – e i sondaggisti continuavano a dare il Senato come contendibile: FiveThirtyEight diceva che le possibilità di conquistare la maggioranza erano 3 su 4 per i Democratici – che anche Schumer, a pochi giorni dalle elezioni, aveva cominciato a crederci: «Stiamo bussando alla porta della maggioranza al Senato», ha detto.
Con pochissimi seggi ancora da attribuire, i Democratici per ora sono riusciti a ribaltare due gare: in Colorado, il Democratico John Hickenlooper, ex governatore dello stato e per breve tempo anche candidato presidenziale, è riuscito a ottenere il seggio occupato dal Repubblicano Cory Gardner. In Arizona il Democratico Mark Kelly, ex astronauta e marito di Gabby Giffords, ha vinto il seggio che fu di John McCain, e che era occupato dalla Repubblicana Martha McSally, ex pilota di aerei da combattimento. In Alabama, però, i Democratici hanno perso un seggio: quello del senatore Doug Jones, vinto dal Repubblicano Tommy Tuberville.
Finora, dunque, i Democratici hanno aumentato la loro maggioranza di un solo senatore (hanno conquistato due seggi ma ne hanno perso uno), e con quattro seggi ancora da assegnare i due partiti sono in perfetta parità: 48 a 48.
Di questi quattro seggi, però, due dovrebbero essere conquistati dai Repubblicani: uno in Alaska, dove il Repubblicano Dan Sullivan è in vantaggio di 30 punti, e uno in North Carolina, dove il Repubblicano Tom Tillis è in vantaggio di 1,8 punti percentuali. Questo porterebbe i Repubblicani a 50 senatori. Rimangono due seggi da contare, entrambi in Georgia, dove secondo la legge elettorale se nessuno dei candidati ottiene più del 50 per cento dei voti si va al ballottaggio. In uno dei due seggi – in cui c’erano in gara due Repubblicani e un Democratico – è già sicuro che si andrà al ballottaggio. Nell’altro il Repubblicano David Perdue è al 50,1 per cento delle preferenze con il 95 per cento dei voti scrutinati.
In pratica se Perdue rimane sopra al 50 per cento il Senato resterà dei Repubblicani: altrimenti i Democratici dovranno sperare nei due ballottaggi in Georgia per ottenere la parità 50 a 50. I ballottaggi si terranno a gennaio.
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Per i Democratici al Senato la delusione è stata notevole. Da un lato perché hanno perso in alcuni stati considerati contendibili, come il Maine, dove la Repubblicana moderata Susan Collins ha vinto anche se i sondaggi pre elettorali avevano dato la sua sfidante Sara Gideon in netto vantaggio (in alcuni casi anche di più del 10 per cento). In generale, poi, in molti seggi che prima delle elezioni erano considerati in bilico, come quelli in Iowa, Montana e South Carolina, i Repubblicani hanno fatto molto meglio del previsto. Dall’altro lato, c’è stata delusione perché il Partito democratico e i suoi elettori hanno speso moltissimi soldi in alcune gare molto visibili, senza ottenere risultati. Per esempio, sono stati spesi centinaia di milioni di dollari per cercare di cacciare i senatori Mitch McConnell, il capo della maggioranza Repubblicana, e Lindsey Graham, uno stretto consigliere di Trump, ma entrambi hanno vinto piuttosto agevolmente.
Se il Senato rimarrà Repubblicano e Biden vincerà la presidenza, Biden sarà il primo presidente dai tempi di George Bush senior a entrare in carica senza avere tutto il Congresso dalla sua parte. Questo potrebbe essere un problema, anzitutto perché dal Senato passa la gran parte delle nomine governative: anche soltanto per nominare il segretario di Stato o qualsiasi altro ministro, Biden avrà bisogno dell’approvazione del Senato. Tutte le nomine dell’esecutivo e le nomine giudiziarie passano per il Senato. Per non parlare dei progetti, finora soltanto abbozzati, di aumentare il numero dei giudici della Corte suprema. Un ramo del Congresso controllato dai Repubblicani, ovviamente, potrebbe provocare un blocco o un forte rallentamento anche dell’attività legislativa, un po’ come avvenne in sei degli otto anni della presidenza di Barack Obama.
Alla Camera
Attualmente alla Camera i democratici hanno una maggioranza di 233 contro 201, e martedì si è votato per il rinnovo dell’intera assemblea. Come con il Senato, anche alla Camera i Democratici avevano molte speranze di allargare la propria maggioranza. I sondaggi parlavano di un guadagno potenziale di circa 10 deputati.
Ci sono ancora circa 40 seggi da assegnare, ma per ora sono i Repubblicani quelli che hanno fatto meglio, conquistando ben otto seggi detenuti in precedenza dai Democratici: perfino in alcuni distretti, come in Florida e in South Carolina, dove i Democratici si aspettavano di vincere. Molte gare sono ancora da decidere, ma è probabile che, alla fine, i deputati Democratici alla Camera saranno tra i cinque e i dieci di meno. Questo significa che i Democratici manterranno la maggioranza dell’Aula, per la quale bastano 218 seggi, ma che sarà un po’ più risicata.
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Alcune sconfitte per i Democratici sono state particolarmente dure. Sono stati sconfitti alcuni deputati che erano stati eletti per la prima volta nel 2018 e che facevano parte della cosiddetta «blue wave» che portò i Democratici a conquistare la Camera, come Joe Cunningham in South Carolina, Abby Finkenauer in Iowa e soprattutto Donna Shalala in Florida. Quest’ultima era stata segretaria alla Salute durante la presidenza di Bill Clinton, e nel 2018 si era candidata alla Camera, aveva vinto un seggio controllato dai Repubblicani.
Ci sono anche alcune buone notizie per i Democratici, però: tutte e quattro le partecipanti alla cosiddetta «Squad», deputate di sinistra e spesso controcorrente molto criticate da Trump e di cui i giornali parlano molto, sono state rielette con margini superiori al 30 per cento. La più famosa tra loro è Alexandria Ocasio-Cortez, le altre sono Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib. Inoltre, sono stati eletti i primi due deputati afroamericani gay, entrambi a New York: sono Ritchie Torres e Mondaire Jones.
Se la maggioranza Democratica alla Camera si restringerà ma rimarrà solida non dovrebbero esserci particolari conseguenze politiche, anche se è possibile che la speaker della Camera, Nancy Pelosi, possa incontrare qualche difficoltà in più nel farsi scegliere ancora dal partito per questo ruolo. Come ha scritto Politico, molti deputati sono rimasti delusi dalla performance del partito, e non è da escludere che ci saranno lotte interne.