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  • Giovedì 5 novembre 2020

Il paese messo peggio in Europa con il coronavirus è la Repubblica Ceca

Sta registrando una mortalità altissima, dopo non avere avuto una vera "prima ondata": cosa è successo?

(Gabriel Kuchta/Getty Images)
(Gabriel Kuchta/Getty Images)

Questa settimana l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha accettato di mandare un gruppo di propri operatori sanitari in Repubblica Ceca, a seguito di una richiesta di aiuto del governo ceco per affrontare l’epidemia da coronavirus. La Repubblica Ceca è in una situazione di grande emergenza e da giorni sta facendo registrare i numeri peggiori d’Europa, insieme al Belgio. L’epidemia sta provocando enorme pressione sugli ospedali, spesso poco attrezzati, e ha già costretto più di 10mila operatori sanitari a rimanere a casa, dopo essere risultati positivi al tampone. Quello che sta accadendo è ancora più rilevante se si considera che in Repubblica Ceca la prima ondata dell’epidemia non c’era praticamente stata, grazie per lo più a una serie di misure restrittive imposte tempestivamente dal governo.

La grave situazione in cui si trova la Repubblica Ceca, paese con poco più di 10 milioni e mezzo di abitanti, si vede anzitutto dalla media mobile su sette giorni del numero dei nuovi contagi giornalieri e dei morti per Covid-19 per milione di abitanti: la media mobile serve per considerare una tendenza, e non basarsi sui numeri di un solo giorno, che per qualsiasi ragione potrebbero essere sballati; e il calcolo sul milione di abitanti serve a considerare l’incidenza dell’epidemia in rapporto alla popolazione, senza usare numeri assoluti spesso poco indicativi.

Secondo i dati raccolti dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ed elaborati da Our World in Data, il 4 novembre la media mobile su sette giorni dei nuovi contagi in Repubblica Ceca era pari a 1.053 ogni milione di abitanti: un numero molto più alto di quello registrato in Francia (665), in Italia (461) e in Germania (193), superato solo da quello del Belgio (1.200), che però fa molti più tamponi della Repubblica Ceca.

Un altro numero indicativo è la media mobile su sette giorni del numero dei morti per Covid-19 ogni milione di abitanti. Il 4 novembre in Repubblica Ceca era 18, contro 6 della Francia, 4 dell’Italia e 1 della Germania. Significa che oggi in Repubblica Ceca si muore molto di più di Covid-19 rispetto a quello che avviene in altri paesi europei.

Questi dati fanno ancora più impressione se si osserva l’andamento del contagio in Repubblica Ceca durante la prima ondata, nei mesi tra marzo e maggio, quando in altri paesi europei si parlava di assoluta emergenza e si ipotizzava il collasso dei sistemi sanitari nazionali. Durante quel periodo, in territorio ceco la pandemia non era praticamente arrivata.

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La Repubblica Ceca fu uno dei primi paesi europei a chiudere i propri confini, introdurre un lockdown totale e rendere obbligatorio l’uso della mascherina in qualsiasi luogo fuori da casa propria. Lo scienziato ceco Petr Ludwig ha raccontato a CNN che l’idea di rendere obbligatoria la mascherina arrivò da lui, prima ancora che lo raccomandasse l’Oms. Nella prima metà di marzo Ludwig pubblicò su YouTube due video – uno in ceco e uno in inglese – in cui veniva spiegata l’importanza di questa misura (i video ottennero rispettivamente 600mila e 5 milioni e 700 mila visualizzazioni).


Pochi giorni dopo, il governo di Andrej Babiš introdusse l’obbligo: «Non convincemmo il governo, convincemmo il pubblico dei social media e il governo seguì quella strada, perché il nostro governo è leggermente populista. Seguì l’opinione degli elettori», ha detto Ludwig a CNN. Babiš fece anche un tweet rivolgendosi a Donald Trump, con scritto: «Prova a fermare il virus come sta facendo la Repubblica Ceca. Indossare una semplice mascherina riduce la diffusione del virus dell’80%» (l’account non è verificato, ma è quello ufficiale del primo ministro ceco).

La misura fu largamente rispettata, e grazie anche al lockdown e alla chiusura dei confini, la Repubblica Ceca di fatto non ebbe alcuna “prima ondata”. Parlando in numeri assoluti, il picco dei nuovi contagi fu raggiunto alla fine di marzo, 408, mentre quello dei morti per Covid-19 fu raggiunto ad aprile, 18 (numeri lontanissimi da quelli registrati in Italia nello stesso periodo, anche al netto della differenza del numero di abitanti, quando si registravano ogni giorno migliaia di nuovi positivi e centinaia di morti).

A partire dall’estate, il governo ceco iniziò a riaprire tutto – teatri, bar, ristoranti – ma non solo: aprì i confini, permettendo di andare in vacanza all’estero, e tolse l’obbligo della mascherina. Molte delle precauzioni adottate nei paesi più colpiti dalla prima ondata dell’epidemia, inoltre, non furono adottate in Repubblica Ceca, dove non si era vista alcuna emergenza di grande portata. Il microbiologo ceco Omar Sery, tra i primi a raccomandare l’uso della mascherina, ha detto: «Non avevamo visto i morti, non avevamo visto le persone con il coronavirus andare in ospedale; la popolazione ceca pensava che tutto questo non avesse senso e che non c’era più bisogno di indossare la mascherina».

Ad agosto, in concomitanza con i primi aumenti di casi e l’imminenza della riapertura delle scuole, l’epidemiologo Ratislav Madar chiese al governo misure più strette, tra cui la reintroduzione dell’obbligo di mascherina: convinse l’allora ministro della Salute, Adam Vojtěch, ma non il capo del governo, Babiš, che non volle andare incontro alla diffusa ostilità per nuove misure restrittive. I nuovi casi positivi iniziarono a crescere a settembre, e si impennarono a partire da ottobre. Il 13 ottobre il governo impose un nuovo lockdown.

Una strada deserta nel centro di Praga durante il lockdown (Gabriel Kuchta/Getty Images)

Nelle ultime settimane, il rapido aumento di nuovi casi e di nuovi ricoveri ha provocato enormi sofferenze nel sistema sanitario nazionale, e in particolare nelle terapie intensive, dove vengono trattati i pazienti più gravi.

La richiesta di aiuto all’Oms non è stata l’unica mossa eccezionale fatta dal governo per mettere una pezza sulle inefficienze di un sistema sanitario già provato, indebolito da anni di tagli. Migliaia di studenti di medicina sono stati mandati negli ospedali del paese, spesso per svolgere compiti infermieristici (anche in Italia negli ultimi mesi c’è stato un grosso problema di mancanza di infermieri); e moltissimi altri sono stati mandati nei posti allestiti per effettuare i tamponi sui sospetti positivi. Il sindaco di Praga, Zdenek Hrib, con una laurea in medicina, si è offerto volontario per svolgere gli esami a cui vengono sottoposti i malati di Covid-19 una volta arrivati in ospedale. Nel paese sono arrivati anche 28 operatori sanitari provenienti dallo stato americano del Nebraska, e dovrebbero arrivare presto alcuni riservisti della Texas National Guard che saranno destinati a un ospedale militare della capitale.

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Nonostante da qualche giorno i numeri sui nuovi contagi sembrino essere in lieve miglioramento – probabilmente grazie agli effetti del lockdown – la situazione negli ospedali è ancora molto critica e uno dei principali problemi continua a riguardare la mancanza di personale, sia di medici che di infermieri. Alla fine di ottobre il presidente ceco Miloš Zeman ha nominato Jan Blatný come nuovo ministro della Salute, il terzo nelle ultime tre settimane. Babiš ha detto che il compito di Blatný sarà quello di «stabilizzare l’attuale situazione epidemiologica e rafforzare la capacità degli ospedali».