La difficile gestione delle persone migranti durante la pandemia
Il problema più rilevante è la mancanza di spazi adeguati per isolare i positivi ed evitare soluzioni emergenziali come le “navi quarantena”
La gestione dell’accoglienza e delle persone migranti durante l’emergenza coronavirus sta presentando, di nuovo, diverse criticità: hanno a che fare con la gestione sanitaria e operativa delle strutture, con la gestione dei casi sospetti o positivi, con la mancanza di spazi adeguati per l’isolamento e con il ricorso a soluzioni emergenziali come quelle delle “navi quarantena”, giudicate illegittime da diverse associazioni e movimenti che si occupano di migrazione.
I trasferimenti sulle “navi quarantena”
Tra fine settembre e inizio ottobre, diversi stranieri risultati positivi al coronavirus già titolari di protezione umanitaria o richiedenti asilo o comunque regolarmente soggiornanti da tempo in Italia erano stati prelevati dai centri di accoglienza di diverse città e, di notte, trasferiti in pullman a bordo di alcune navi attraccate a Trapani, Palermo e Bari. A inizio ottobre, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) aveva fatto sapere che i trasferimenti erano stati fatti «senza alcuna informazione e/o comunicazione preventiva e senza alcuna valutazione legata ad eventuali condizioni di vulnerabilità, fragilità, integrazione sul territorio e presenza di legami familiari e alla necessità di garantire accesso tempestivo all’assistenza sanitaria».
Non solo. Dalle testimonianze raccolte in un’inchiesta di Redattore Sociale grazie ad alcune associazioni, era emerso che durante la permanenza sulle navi i richiedenti asilo non avevano ricevuto un’adeguata assistenza medica o igienico-sanitaria: avrebbero cioè utilizzato la stessa mascherina e le stesse lenzuola per giorni.
Per Gianfranco Schiavone, giurista dell’Asgi, la predisposizione di navi da parte del ministero dell’Interno «era nata anche dagli allarmismi sui “migranti untori” che scapperebbero dai centri di accoglienza invece che stare in quarantena. Questo allarmismo ha fatto leva sulle angosce collettive, ma la logica seguita è stata quella della paranoia collettiva, molto poco razionale».
Il 20 ottobre, il caso dei trasferimenti era arrivato anche in Parlamento grazie a un’interrogazione presentata dal deputato di LEU Erasmo Palazzotto: «Il trasferimento coatto, finalizzato ad un periodo di isolamento, è un atto illegittimo e discriminatorio che viola la libertà personale garantita a tutti dall’articolo 13 della nostra Costituzione», aveva detto. L’illegittimità della procedura e i rischi sanitari che comportava erano stati denunciati anche da varie associazioni, che ne avevano chiesto la sospensione immediata. Ricevendo, circa due settimane fa, una risposta positiva da parte della ministra Lamorgese.
“Navi quarantena”, comunque, e ritardi
La navi quarantena continuano ad essere utilizzate per l’isolamento fiduciario e la sorveglianza sanitaria delle persone soccorse o arrivate autonomamente via mare, come previsto dal decreto del capo della Protezione civile del 12 aprile 2020. Le associazioni e le organizzazioni che fanno parte del Tavolo Asilo Nazionale e del Tavolo Immigrazione e Salute, cioè le maggiori realtà attive nella tutela dei diritti di migranti e rifugiati e nella promozione della salute e della cura, ne stanno chiedendo però la sospensione.
Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione per Arci e portavoce del Tavolo Asilo, pensa che le navi quarantena non siano in alcun caso delle soluzioni praticabili: «Non ci risultano, ad oggi, persone a bordo delle navi mandate da terra. Possiamo dunque ragionevolmente sostenere che la ministra abbia mantenuto la promessa fatta e sappiamo che anche per i minorenni in arrivo sarebbero state trovate altre soluzioni. Le navi continuano però ad essere utilizzate ed è per questo che abbiamo chiesto al governo un piano strutturato per la gestione della quarantena dei migranti e una programmazione dell’emergenza sanitaria legata all’accoglienza».
La proposta, spiega Miraglia, «è quella di distribuire le persone sul territorio. Veniamo invitati a mantenere il distanziamento, ma poi si ricorre a soluzioni collettive quando si tratta di persone migranti: esattamente il contrario di quanto raccomandano gli esperti». Le navi quarantena, spiega, «hanno poi spinto in una direzione ben precisa: quella della stigmatizzazione delle persone migranti e della conseguente minore disponibilità all’accoglienza». Per quanto riguarda il sistema di accoglienza, Miraglia dice che la richiesta del Tavolo «è quella di un allargamento dei posti per gestire l’emergenza e di un coordinamento per una gestione unitaria della situazione: per evitare dunque prassi improvvisate e gestioni che, dopo mesi, sono spesso lasciate al caso o al buon senso dei singoli».
Gianfranco Schiavone, dell’Asgi, parla di «inerzia» della pubblica amministrazione. Lo scorso marzo, il ministero dell’Interno aveva inviato ai prefetti una circolare per prevenire la diffusione del coronavirus nell’ambito del sistema di accoglienza e dei centri di permanenza per il rimpatrio. Tra le altre cose si sottolineava l’importanza di individuare degli «appositi spazi» che garantissero l’isolamento delle persone risultate positive o di chi dovesse restare in isolamento fiduciario. «La circolare di marzo, al pari del decreto del ministero della Salute del 17 marzo, conteneva indicazioni generiche poco stringenti e vincolanti e che sono state sottovalutate dalle prefetture. La sensazione è che una cosa molto semplice come quella di prevedere degli spazi anche in vista della seconda ondata non sia stata fatta. I richiedenti asilo sono stati messi in situazioni promiscue che hanno poi portato a focolai: ricordiamoci della situazione nell’ex Caserma “Silvio Serena” di Treviso o quella dell’ex caserma di Udine Cavarzerani dove solo ora è in programma l’allestimento di moduli abitativi separati per le persone in quarantena. Ma siamo a ottobre, quindi la predisposizione di spazi realmente separati per l’isolamento fiduciario, come previsto dal decreto di marzo, non c’è mai stata».
Lo scorso agosto, l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà (Inmp) ha pubblicato un’indagine nazionale Covid-19 nelle strutture del sistema di accoglienza per migranti. La ricerca è stata condotta in 5.038 strutture di accoglienza, sulle 6.837 censite dal ministero dell’Interno, con una copertura pari al 73,7 per cento. I risultati mostravano che l’isolamento di soggetti positivi al tampone si era verificato presso la struttura in ben un quarto dei casi e che, di questi, solo il 54 per cento era stato eseguito in una stanza singola con servizi esclusivi.
Il problema, spiega Daniele Todesco, coordinatore dell’