Nell’Artico la formazione del ghiaccio è in ritardo
C'entrano la temperatura più alta della media in Siberia e il cambiamento delle correnti nell'oceano Atlantico
Il mare di Laptev, una sezione del Mar Glaciale Artico fondamentale per la produzione di nuovo ghiaccio stagionale, non si sta ghiacciando come dovrebbe in questo periodo dell’anno. È la prima volta – da quando si tiene traccia della formazione di ghiaccio nella zona – e secondo i ricercatori è un ulteriore indizio sull’aumento della temperatura media nell’Artico, area già in sofferenza a causa degli effetti del riscaldamento globale.
Il ritardo nella formazione del ghiaccio è stato attribuito al protratto periodo di temperature relativamente miti in Siberia, territorio la cui parte orientale delimita a sud il mare di Laptev. I ricercatori hanno inoltre rilevato un maggiore afflusso di correnti calde dall’oceano Atlantico, che ha probabilmente influito nel mantenere le acque della zona meno fredde rispetto al solito.
Le temperature sono state per diversi giorni fino a 5 °C superiori rispetto alla media, un aumento senza precedenti nella zona e che ha comportato diversi cambiamenti. All’inizio dell’estate, i ghiacci hanno iniziato a sciogliersi prematuramente e in minor tempo rispetto al solito, fenomeno che probabilmente ha influito sull’attuale situazione.
In condizioni normali, le calotte di ghiaccio riflettono i raggi solari (albedo) e contribuiscono a mantenere bassa la temperatura sull’acqua. Se i ghiacci si sciolgono precocemente e più rapidamente del normale, l’effetto si riduce, le acque si scaldano ed è poi necessario molto più tempo prima che riescano a dissipare il calore nell’atmosfera.
È un fenomeno che avviene ogni anno, ma secondo le analisi e i registri con i dati raccolti nei decenni precedenti, quest’anno è più intenso del solito. Anche se ormai il mare di Laptev è raggiunto dai raggi solari per poco meno di due ore al giorno, il processo di raffreddamento è in ritardo e di conseguenza non si assiste alla formazione di nuovo ghiaccio.
Il grafico qui sotto, realizzato dall’Economist, mostra come sia variata sensibilmente negli ultimi cinque anni la formazione del ghiaccio nel mare di Laptev. Durante il lungo inverno artico l’estensione è rimasta pressoché invariata, mentre sono cambiati i tempi che portano allo scioglimento e alla formazione: il ghiaccio tende a sciogliersi sempre più in anticipo e a formarsi in ritardo.
Secondo uno studio pubblicato lo scorso luglio, l’aumento della temperatura media rilevata in Siberia nella stagione calda è stato condizionato dal riscaldamento globale, con un’alta probabilità (praticamente certa) che al fenomeno abbia contribuito la maggiore emissione di gas serra – come l’anidride carbonica – dovuta alle attività umane. In alcune aree della Siberia si sono raggiunte massime di 38 °C, mai registrate prima. La temperatura più alta ha causato eventi di grandi dimensioni come incendi boschivi, la proliferazione di parassiti e una perdita consistente del permafrost, la parte di suolo perennemente ghiacciata.
Su una scala più grande, il rallentamento nella formazione di nuovo ghiaccio è dovuto agli effetti del cambiamento climatico sulle correnti oceaniche. Quelle dell’Atlantico, relativamente più calde, raggiungono con maggiore facilità l’Artico e compromettono gli scambi tra le correnti superficiali e quelle più profonde. In queste circostanze, il ghiaccio fatica a formarsi e a contribuire al raffreddamento del mare di Laptev grazie all’albedo.
Buona parte del ghiaccio più antico dell’Artico si sta perdendo, lasciando spazio a quello stagionale, meno denso e nel complesso più sottile. Secondo le analisi più recenti, lo spessore medio è circa la metà di quanto fosse negli anni Ottanta. Secondo gli esperti, a questo ritmo l’Artico potrebbe avere la sua prima stagione libera dai ghiacci tra 10-30 anni. Il processo è ritenuto ormai inesorabile e non più una questione di “se” ma di “quando”.
La mancata formazione del ghiaccio a fine ottobre nel mare di Laptev potrebbe incidere su queste circostanze, portando a un circolo vizioso in cui l’Artico cede il calore più lentamente. Di solito, le piattaforme di ghiaccio che si formano in questa zona vanno poi alla deriva verso ovest, portando con sé nutrienti che raggiungono lo stretto di Fram, il passaggio che separa le isole Svalbard dalla Groenlandia.
Formandosi in ritardo, le piattaforme hanno un minore spessore e si sciolgono più facilmente. Potrebbero quindi scomparire prima di raggiungere lo stretto di Fram, privando il plancton di importanti nutrienti. Una minore quantità di questi microrganismi disciolti nell’acqua riduce la capacità dell’oceano di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera, un processo essenziale per tenere sotto controllo l’effetto serra.
Gli esiti preliminari di una spedizione condotta al largo della costa orientale della Siberia aggiungono ulteriori preoccupazioni sullo stato dell’Artico. I ricercatori hanno rilevato che alcuni depositi di metano, altro gas che contribuisce all’effetto serra, intrappolati nei sedimenti hanno iniziato a disciogliersi nell’acqua marina.
Il team internazionale di ricercatori ha chiarito che per ora il fenomeno non ha un impatto rilevante sui processi che causano il riscaldamento globale, ma ricordano che il semplice fatto che si sia avviato non dovrebbe essere sottovalutato.
In un’area del mare di Laptev, a una profondità di circa 300 metri, la spedizione ha rilevato una concentrazione di metano circa 400 volte superiore a quella attesa (1.600 nanomoli per litro). In altri siti sono state rilevate concentrazioni simili, che secondo i ricercatori non erano mai state identificate prima.
I dati raccolti fanno parte di rilevazioni preliminari sulle quali i ricercatori dovranno ancora lavorare, una volta terminata la spedizione. Le evidenze raccolte saranno poi verificate da colleghi che non hanno partecipato alla ricerca (peer-review) e, se confermate, saranno poi pubblicate su una rivista scientifica.