La Tanzania è sempre meno democratica
Il partito del presidente, che governa dal 1961, sta per vincere le ennesime elezioni, tra accuse di brogli e repressione delle opposizioni
Venerdì la commissione elettorale della Tanzania ha annunciato i risultati delle elezioni tenute due giorni prima, e anticipati da tensioni e violenze nel paese. A vincere è stato il presidente uscente John Magufuli, che cercava il secondo mandato, mentre il suo partito, il Chama Cha Mapinduzi (Partito della Rivoluzione), ha ottenuto la stragrande maggioranza dei seggi in parlamento nazionale e ha mantenuto il potere nella regione semiautonoma di Zanzibar con il 76 per cento dei consensi. Secondo la commissione, Magufuli avrebbe ottenuto 12,5 milioni di voti, mentre il suo principale sfidante, Tundu Lissu, del partito Chadema, solo 1,9 milioni.
Le opposizioni hanno parlato di brogli, hanno accusato la commissione elettorale di manipolare i risultati e Lissu ha detto di non accettare il risultato delle elezioni. Per molti osservatori, la vittoria di Magufuli consolida un processo già in corso: il progressivo allontanamento della Tanzania dagli ideali democratici, e il suo avvicinamento a modelli autoritari.
Le elezioni di mercoledì sono state viste per lo più come un referendum su Magufuli, 61 anni, presidente dal 2015 e conosciuto con il soprannome “Bulldozer”, sia per la sua passione per i grandi lavori pubblici, sia per la sua capacità di ottenere sempre quello che vuole, nonostante le opposizioni. Durante i suoi anni di presidenza, Magufuli è riuscito a far crescere l’economia della Tanzania, avviare importanti progetti infrastrutturali e tagliare gli sprechi nella spesa pubblica. È stato però anche accusato di avere aumentato la repressione, arrestato gli oppositori e approvato misure per limitare la libertà di stampa e l’attività dei gruppi che si occupano di difesa dei diritti umani.
Anche negli ultimi giorni si sono verificati episodi molto contestati, in alcuni casi ancora più preoccupanti di quelli visti negli ultimi mesi.
Martedì a Zanzibar, arcipelago con un certo grado di autonomia dal governo centrale di Dar es Salaam, era stato arrestato per la seconda volta nel giro di una settimana Seif Sharif Hamad, uno dei candidati alle elezioni presidenziali e appartenente al partito di opposizione ACT Wazalendo. Insieme a Hamad, erano stati arrestati altri leader del partito, mentre un funzionario, Ismail Jussa, era stato picchiato ripetutamente dai militari. Nei due giorni prima delle elezioni, a Stone Town, la principale città di Zanzibar, erano state inoltre arrestate 70 persone, secondo la polizia perché responsabili di incidenti e atti violenti.
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Mercoledì, giorno di elezioni, Tundu Lissu aveva sostenuto che ad alcuni suoi scrutatori era stato negato l’accesso ai seggi elettorati, e che nel porto di Dar es Salaam erano state trovate schede manipolate. Freeman Mbowe, presidente di Chadema, aveva detto che alcuni uomini armati avevano fatto un raid nel suo hotel, nella regione settentrionale di Kilimanjaro, e avevano sequestrato due delle sue guardie di sicurezza: Mbowe aveva sostenuto che la sua vita fosse in pericolo. Sempre mercoledì, moltissime persone avevano segnalato lentezze nelle reti Internet e interruzioni nel funzionamento di social media e piattaforme di messaggistica, tra cui WhatsApp, a causa di interventi diretti del governo per limitare le comunicazioni.
Segnali che il governo avesse intenzione di restringere ulteriormente gli spazi per le opposizioni, e in generale la libertà di espressione, si erano già visti a partire da gennaio, quando era stata ordinata la sospensione delle attività di sei media tanzaniani, per un periodo fino a undici mesi. Il governo aveva imposto restrizioni sui contenuti pubblicati online e aveva obbligato le emittenti di radio e tv a chiedere l’autorizzazione alle autorità per usare qualsiasi tipo di materiale prodotto da media stranieri. Il governo aveva inoltre negato a molte testate straniere i permessi per andare nel paese e seguire le elezioni, e aveva imposto a quelle accettate la presenza costante di un funzionario del governo.
Gli ultimi interventi delle forze di sicurezza e del governo hanno confermato qualcosa che molti esperti, tra cui alcuni citati da Associated Press, osservano da tempo: cioè che la Tanzania sta diventando un paese sempre meno democratico e libero.
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Deprose Muchena, dell’organizzazione Human Rights Watch, ha detto: «La Tanzania aveva promosso le libertà e l’indipendenza del continente, tra le altre cose guidando la formazione dell’Unione Africana. Molte persone guardavano alla Tanzania con un senso di prestigio e orgoglio. Oggi, tutti questi ideali sono messi in discussione». Secondo Muchena, la Tanzania starebbe diventando sempre più simile a paesi come lo Zimbabwe, cioè con regime autoritari. Giovedì Fatma Karume, avvocata tanzaniana a cui di recente è stato imposto il divieto di praticare la sua professione, ha scritto su Twitter, commentando il fatto che quel giorno compiva gli anni Magufuli: «Sta per ricevere il regalo che ha sempre voluto: nessuna opposizione in Tanzania».
Secondo Al Jazeera, molti esponenti dell’opposizione o critici nei confronti del governo non si aspettavano una repressione di tale portata durante le elezioni: «Penso che siamo passati dall’essere una democrazia ad avere un regime totalmente autoritario. Non ci saranno più voci critiche. Sarà molto difficile nei prossimi cinque anni».
Molti temono che la rielezione di Magufuli possa spingere il presidente ad adottare politiche ancora più autoritarie, per esempio introducendo cambiamenti al sistema politico e alla Costituzione nazionale per garantire mandati più lunghi e restringere ulteriormente le libertà civili.